Dopo tanta attesa, sapientemente preparata e indirizzata mediaticamente negli ultimi mesi, sabato 18 giugno sono stati inaugurati sul lago d’Iseo i Floating Piers di Christo e Jeanne-Claude, artisti celeberrimi soprattutto per gli impacchettamenti di monumenti ed edifici, tra cui il Reichstag.
Si tratta di un camminamento galleggiante rivestito di centomila metri quadrati di tessuto giallo oro cangiante, tre chilometri di passerella fluttuante stesa dal paese di Sulzano a Montisola e da lì, insieme a tratti di percorso urbano interni al paese di Peschiera Maraglio, all’isoletta di San Paolo: un’iniziativa di cui ormai in tutto il globo terracqueo sembra verosimilmente impossibile non aver sentito parlare grazie a una formidabile copertura mediatica, coronata dall’attenzione del New York Times.
Concepito nel lontano 1970 da Christo e dalla sua compagna nella vita e nell’arte Jeanne-Claude (scomparsa nel 2009), il progetto, totalmente autofinanziato dall’artista attraverso la vendita delle sue opere, è stato messo a punto dal 2014 e ha visto finalmente la luce dopo molti sopralluoghi alla ricerca del sito più adatto. Si tratta certo di un’interessante opera ingegneristica effimera (e viene in mente che sono sempre state effimere le costruzioni delle Esposizioni universali), un sistema galleggiante modulare costituito da 220.000 cubi di polietilene ad alta densità alti circa 35 centimetri, che dopo il 3 luglio verranno smantellati e riciclati industrialmente.
Un’opera da vivere
I pier, leggermente convessi, sono larghi 16 metri, affiorano a pelo dell’acqua e non hanno alcun parapetto o spalletta di protezione (ma molti addetti alla sicurezza vigili e preoccupati). L’idea è altamente suggestiva e alcune magnifiche foto a volo d’uccello, circolate rapidamente in rete, ne hanno confermato il potenziale poetico. Tuttavia Christo stesso ha dichiarato che l’opera non è stata pensata per essere vista dall’alto. Al contrario la sua natura è di essere percorsa, per appropriarsene entrando nel paesaggio. Camminare sui pier fluttuanti che si muovono come respirando, sostenuti da un movimento ondoso, camminare sui pier fluttuanti come sul dorso di una balena. È quindi percorrendoli camminando tra le acque del lago, in un certo senso sulle acque del lago (lasciamo perdere in questa sede tutte le battute fiorite dato il nome dell’artista), che i moli per così dire si sanno esprimere al meglio. Quindi inutile guardare foto e filmati, bisogna provare.
L’odissea
Parto martedì mattina, quarto giorno di apertura. Treno da casa, vicino a Milano, alle 8.44 per prendere il treno delle 9.35 da Milano Centrale a Brescia, come indicato sul dèpliant stampato e come confermato a voce da un’addetta, gentilissima e in evidente buona fede, della biglietteria Trenord a Porta Garibaldi dove abbiamo acquistato il biglietto dedicato Day Pass (tutto compreso, A/R, 13 euro), promosso da Trenord con un grande battage pubblicitario. Ma: prima sorpresa, il treno non c’è, e neppure quello delle 10.35 egualmente indicato in orario. Alla biglietteria Trenord in Stazione Centrale di Milano troviamo un gruppo di altri viaggiatori vittime della stessa disinformazione, scesi a protestare. Il primo treno per Brescia parte alle 11.25 (quasi due ore dopo). È questo l’inizio dell’odissea.
Su un treno strapieno di gente anche in piedi, arriviamo a Brescia alle 12.33, felici ma illusi. Da qui bisogna prendere un altro treno per Sulzano, punto di partenza dei Piers, e ci avviamo tutti al binario. Davanti al quale resteremo fino alle 13.35 in coda in piedi. Si scorre in avanti finché finalmente è il nostro turno. È fatta! Si va. Anzi no: a Iseo il treno si ferma e non dà più segni di vita (compresa l’aria condizionata). Dal finestrino (chi lascia il posto a sedere per cui ha strenuamente lottato è perduto) chiedo al capotreno cosa succede, perché siamo fermi e per quanto tempo. È un signore affranto e molto gentile, che vorrebbe aver scelto di fare un altro mestiere. Spiega pazientemente che non sa per quanto tempo: c’è un solo binario e i treni devono fare la spola uno alla volta, bisogna aspettare che tocchi a noi. Mi confida anche di essere sinceramente preoccupato per la sicurezza dei passeggeri: i treni sono stipati ben oltre la loro capienza e anche se il prefetto ha autorizzato a far salire e viaggiare in questo modo, teme che succeda qualcosa di cui alla fine sarebbe comunque lui responsabile. Non infierisco e mi risiedo. Nel frattempo molti scendono per rinfrescarsi, comprare qualcosa da bere e da mangiare, per andare in bagno o fumare.
Coi piedi sui pier
Da Iseo si riparte alle 14.42, in un quarto d’ora circa arriviamo a Sulzano. Davanti alla stazione sono stipate masse di persone che devono tornare a casa: cominciamo a preoccuparci per il rientro e a calcolare mentalmente la durata dell’attesa. Dopo una coda per un caffè e un’altra per una sosta in bagno, finalmente metto i piedi sui pier. Sono le tre e un quarto. Valuto di non avere più di un’ora e mezza per girare, se voglio tornare a Milano entro le dieci.
La prima sensazione è bellissima, malgrado tutti i disagi, la stanchezza accumulata ancora prima di essere arrivati e la folla da metro nell’ora di punta. Appena si comincia a camminare letteralmente in mezzo all’acqua si è invasi da un senso di calma, di liberazione e come di pacificazione con la realtà: ma non sarà un po’ perché finalmente ce l’abbiamo fatta, siamo in un magnifico posto all’aperto e poi anche perché in genere questo è l’effetto “neurologico” degli ambienti acquatici? I moli fluttuano, ma non molto a dire il vero: forse appesantiti dall’enorme quantità di gente, si sono “stabilizzati”? L’impressione è analoga a quella che si ha a Venezia sui pontoni su cui si aspetta il vaporetto, che però si muovono molto di più. Procediamo verso Montisola. Ed è subito chiaro che dell’evento (chiamiamolo così, in fondo è qualcosa che accade per due settimane sulle passerelle, non sono le passerelle in sé e basta) ci sono fondamentalmente due rappresentazioni.
Due rappresentazioni
La prima (anche in ordine cronologico) è nettamente oleografica. È quella generata dall’ufficio stampa e comunicazione del progetto e dall’artista stesso, da cui deriva quella apparsa sui mass-media nei giorni immediatamente precedenti l’inaugurazione: ovvero quella venuta fuori dalle visite riservate a giornalisti e autorità, con le passerelle completamente vuote. Senza pubblico. Dev’essere stato fantastico. Infatti erano visite assolutamente privilegiate, diciamo pure fuori dalla realtà (quotidiana) dell’installazione. Un po’ come visitare il concetto, l’idea originaria degli artisti.
Ma l’umile cronista deve andare a vedere e a sporcarsi le mani (non vale solo per il reporter di guerra che non deve restare chiuso in albergo) per capire come stanno le cose. Ergo, con lo spirito del Wallace di Una cosa divertente che non farò mai più, non restava che intrufolarsi tra la folla e fare il viaggio che fanno tutti, per fare l’esperienza che tutti fanno. Stiamo parlando di 80.000 persone nella sola giornata di martedì 21 giugno, primo giorno d’estate.
Pellegrinaggio sfatto
Andando a Montisola (meravigliosa) incrociamo gente sfatta e accaldatissima che va verso la terraferma, la maggior parte a piedi nudi: molti con i pantaloni lunghi risvoltati fino al ginocchio, signore di qualunque età e fisico con magliette arrotolate fino al reggiseno, ragazze che sono rimaste direttamente in reggiseno, uomini di ogni età e corporatura che hanno tolto la maglietta e l’indomani saranno ustionati gravemente. A occhio e croce, la temperatura è intorno ai 40 gradi. A Montisola la densità è come a Cadorna nell’ora di uscita dagli uffici.
Ristoranti, bar, esercizi commerciali e punti di ristoro sotto a tendoni si susseguono senza soluzione di continuità: è come una grande fiera gastronomica di paese. Gelati, pizze, macedonie, ma anche grigliate di salamelle e costine di maiale, birra e vini. La gente del posto gentilissima e i prezzi normali. Qualcuno propone un Floating spritz da asporto e i biscotti del Christo per pranzi al sacco. Si deve fare la coda per tutto: mangiare, bere, prendere acqua alle fontanelle, fare pipì, prendere un battello (qualcuno tenta la fuga sull’acqua).
Ci sono numerose persone anziane che hanno totalmente sottovalutato l’impresa e ora sono in difficoltà, diversi disabili su sedie a rotelle spinte faticosamente su una superficie irregolare e instabile. In tanti ci ripariamo aprendo l’ombrello portato in caso di pioggia, altri non avendo l’ombrello si sono messi in testa un fazzoletto o una maglietta legata coi quattro nodi come nella classica iconografia dei film “italiani brava gente” degli anni Cinquanta… Accanto a me una signora collassa a terra per un colpo di sole. Una mini-ambulanza cerca di passare a sirene spiegate.
Ovunque personale sanitario, protezione civile, addetti ai pier che smistano i flussi. Elicotteri in cielo, gommoni di salvataggio che fanno la ronda in acqua. Ci si chiede: com’è possibile che nessuno abbia pensato di regolare gli arrivi in base alla capienza del territorio e dell’installazione? Per esempio, si poteva immaginare un sistema di prenotazione a fascia oraria come è ormai prassi in tanti musei, prevedendo un biglietto gratuito (Christo ha voluto l’accesso assolutamente gratuito perché l’installazione è un dono a tutti), oppure con un costo simbolico, per esempio un euro, sufficiente a responsabilizzare.
Quale opera
La visita suscita anche altri interrogativi, di ordine diverso. Perché “tutti” ci vanno? Andare sui Floating Piers è diventato un must, una moda. Le cifre sono da fenomeno di massa. Molte scene viste potrebbero far venire in mente, anche se ci si sforza di non cedere a questa tentazione, l’innocenza di Alberto Sordi nell’indimenticabile scena con Anna Longo (Ermì) alla Biennale di Venezia nell’episodio Le vacanze intelligenti (dal film Dove vai in vacanza?). Ma soprattutto sembra di essere in un grande Luna Park acquatico nella natura, gratuito.
C’è qui il valore della strepitosa bellezza del Lago d’Iseo e delle sue isole: un lago poco conosciuto dagli stranieri (niente a che fare con la popolarità del Lago di Como), ma forse anche dagli italiani. I piers valorizzano indubbiamente il lago, lo fanno conoscere nel mondo, l’installazione in questo senso dà molto a Iseo e al suo territorio e la gente del posto lo sa bene, è paziente, gentile e accogliente (come mi dice il conducente della navetta che durante il viaggio di ritorno, altrettanto fortunoso, mi riporta a Iseo: “Non ci dà fastidio. C’è tanto lavoro in più per tutti, per due settimane”): è una formidabile operazione di marketing territoriale pagata da un privato. Ma il lago dà tanto a Christo e al suo lavoro, in un certo senso gli dà tutto. Nei comunicati stampa il lavoro di Christo e Jeanne-Claude viene definito una “reinterpretazione” del Lago d’Iseo: espressione molto suggestiva ma anche francamente pretenziosa.
È innegabile si tratti di un intervento artistico sul territorio che potrebbe dare esiti davvero molto poetici. Di fatto, per ora è più che altro un paradiso dei selfie, alla cui enfasi fa riscontro una produzione satirica sempre più gustosa e pungente sui social network.
La domanda “tecnica”, decisiva (ed evidentemente retorica), è però questa: se le condizioni di fruizione di un’opera e in particolare di un’opera praticabile, percorribile sono profondamente modificate, addirittura stravolte, rispetto al progetto degli autori, la mutazione radicale dell’esperienza estetica non mette al mondo un’opera totalmente differente? Fu vera gloria, ossia vera arte? Nell’attesa di una risposta, venghino siore e siori sulla giostra.