Per l'artista cubano-americano Emilio Perez il processo di pittura assomiglia molto a guadare l'oceano. “Sono su una spiaggia e vedo un'onda che sta per rompersi. Quell'onda ha viaggiato tutte queste miglia ed è stata causata da una tempesta si trova a metà del suo viaggio intorno al mondo”, dice con meraviglia. E quando dipinge ha la stessa sensazione. Proprio come quell'onda, generata da forze del passato, si blocca sulla riva, quando dipinge, eventi che si sono verificati anche prima della sua nascita, le sue radici cubane, il suo amore per la musica latina, e il suo bisogno di vivere sempre il momento, inconsciamente si riversano sulle sue tele.
Quando si trova in mezzo al mare, il suo corpo istintivamente risponde ai movimenti delle correnti, proprio come quando "disegna" o taglia: nei suoi dipinti la sua mano si muove in modo intuitivo rispondendo ai flussi e riflussi della composizione. “Mi piace essere spontaneo e lasciare che le forze mi guidino nella vita. C'è questa purezza nell'esistere nel qui e ora che cerco di catturare quando dipingo”, spiega.
Tele di grandi dimensioni ricoprono le pareti dello studio di Perez a Bushwick, Brooklyn. Basta dare uno sguardo ai drammatici vortici che riempiono le tele per ritrovarsi persi nel turbine di colore in movimento che vigorosamente rotea su di esse. Ci si può vedere una nube di tempesta, una rosa che sboccia, un'apocalisse… o è un gorgo impetuoso? È questo il bello della sua arte astratta: ognuno può viversela in maniera diversa e scoprirvi nuove immagini ed emozioni che non aveva visto o sentito prima. “Come quando guardi una nuvola e quella si muove e inizi a vederci cose diverse – dice – Alcuni cercano di trovarci forme riconoscibili, altri ci si perdono”.
I genitori di Emilio Perez si trasferirono negli Stati Uniti da una fatiscente Cuba, nel 1960 “e giurarono di non tornare indietro”, dice l'artista. Per un breve periodo ha vissuto in Brasile, ma è cresciuto a Miami, e, infine, si è trasferito a New York nel 1998, dove ha vissuto e lavorato negli ultimi 17 anni. Perez ha studiato al Pratt Institute e alla New World School of the Arts dell'Università della Florida. “Conoscevo un sacco di persone del mondo dell'arte di Miami, ma con il tempo ho capito che se volevo fare le cose sul serio dovevo trasferirmi a New York”, spiega. Appena arrivato in città, Perez cominciò a lavorare allestendo mostre per varie gallerie e nel frattempo aveva un proprio studio e quando riusciva a trovare del tempo, continuava a lavorare alla propria arte. Oggi è un artista a tempo pieno che ha esposto le sue opere a Parigi, in Italia, a New York, Cuba, Miami, Chicago e in Texas. Ma nonostante i riconoscimenti, la sua vita da artista non è diventata per niente più facile. Dopo aver impiegato 15 anni della sua vita verso una sola direzione, deve ancora capire come fare per farne il progetto di una vita. “È ingenuo pensare che il trambusto finirà – dice – Ora la posta in gioco è ben più alta. L'obiettivo ora è mantenere lo slancio e far sì che questo momento continui. Devi credere nel tuo lavoro e nelle tue capacità, perché sono quelle le uniche costanti”.
I suoi originali dipinti sono creati utilizzando in successione una tecnica additiva e sottrattiva. Prima prepara la tela bianca, un processo che consiste nel ricoprire un pannello di legno con uno sfondo di smalto a spruzzo. Poi aggiunge un secondo, denso strato di vernice di lattice. Ora la tela è pronta e, quando comincia a dare fluide pennellate di rosa, azzurro e verde, è come se la sua mano avesse una propria mente: “Sono in uno stato di trance. Sono in un altro luogo e non è la mia mente ma la mia mano che prende le decisioni”. Dopo aver impazientemente atteso che la vernice si asciughi, Perez inizia a segnare o incidere la pittura con un taglierino di precisione, staccando lo strato superiore per far emergere lo sfondo. “Uso la pittura come una road map per quello che sto per tagliare e spellare. Il disegno è una reazione alla pittura”.
Perez paragona il dialogo tra queste due forme artistiche, pittura e disegno, al fare musica. “Metti che ci siano due musicisti che improvvisano, ok? L'uno suona sull'altro senza sapere cosa suonerà pochi secondi dopo perché tutto accade sul momento”, dice. Il ritmo fluido, allegro e romantico della musica latina ha una forte influenza sui suoi dipinti (il che spiega la batteria e il jukebox d'epoca che arredano l'angolo vicino alla finestra). Proprio come i fianchi ondeggiano naturalmente al ritmo del Mambo, Perez vuole che gli occhi si muovano inconsciamente sulla superficie dei suoi quadri e si perdano negli infiniti tagli e incisioni: “Voglio stimolare l'immaginazione dello spettatore”.
Ma il suo legame con le radici latine va ben oltre l'interesse per la musica. Quando i suoi genitori lasciarono Cuba negli anni '60 presero la risoluta decisione di non tornare mai più. Quindici anni fa l'artista ha deciso che doveva crearsi una sua propria opinione sul luogo da cui veniva. “Quando ho visitato Cuba per la prima volta, stavo andando in un luogo che esisteva solo nella mia immaginazione e nelle storie che avevo sentito da altri. Sono arrivato e ho pensato, 'questa è casa'. Non c'era niente che mi sembrasse strano o estraneo” dice.
Lo scorso maggio è stato invitato a partecipare alla dodicesima Biennale de L'Avana. La mostra era intitolata Detras del Muro II (Dietro il Muro II) ed era allestita sul Malecón, il muro di 8 chilometri che protegge L'Avana dall'acqua e di fatto separa Cuba dal resto del mondo. È anche “il posto più romantico del pianeta – ricorda Perez – Gran parte di ciò che sta dietro quel muro sta cadendo a pezzi. Lì ho visto alcuni dei più fatiscenti edifici della città. Di notte un sacco di gente va al Malecón, è un po' il salotto de L'Avana. “Amanti appassionati, poveri pescatori e cubani di tutte le età si riuniscono lungo la diga per spettegolare, bere rum, baciarsi, fare musica, ballare, e dimenticare i problemi”.

Un Verso Sencillo, installazione per la dodicesima biennal de L’Avana
Si è trattato di un incarico che, per diverse ragioni, ha toccato un tasto particolarmente vicino al cuore dell'artista. “[Quando sono fuggiti da Cuba], i miei genitori si sono lasciati tutto alle spalle. Ho pensato che era appropriato che realizzassi un'opera da lasciarmi alle spalle, per le persone di lì”, dice. E così, in sole tre settimane, ha dipinto, tranciato e sbucciato, fino a quando ha creato un dipinto di 20 vetri dal titolo Un Verso Sencillo (un verso semplice), un nome ispirato dall'ultimo saggio di José Martí. Martí, padre dell'indipendenza cubana dalla Spagna e per questo molto amato dai cubani, fu esiliato dagli spagnoli e trascorse gran parte del suo esilio in America, come i genitori di Perez.
La sua impulsività rende impossibile per Perez sapere esattamente che cosa le sue opere diventeranno, fino a che non sono finite. E tuttavia c'è una lunga riflessione dietro la scelta dei giusti colori e materiali per comunicare un certo messaggio. Per quest'opera ha iniziato utilizzando colori pastello che riflettessero le dissolvenze del L'Avana e poi, dice, “ho scelto di farlo su un compensato scadente. L'idea era che con la pioggia e il sale del mare si sarebbe deteriorato. Volevo che si disfacesse come il resto de L'Avana. È un posto bellissimo ma allo stesso tempo molto tragico”. Le sue composizioni possono variare per dimensioni e combinazioni di colori, ma se c'è una caratteristica che rimane costante è l'innegabile senso di intenso movimento che evocano. E A Simple Verse è finito su quel tratto di strada su cui storicamente si dispiegano le strumentali manifestazioni politiche, le parate e i carnevali di Cuba.
Quando Perez va al mare, torna lì da dove viene. Lì dove può schiarirsi le idee e abbandonare il corpo al rollio delle onde, ma non solo. Quando è in acqua, si sente fisicamente connesso con le sue radici, la sua casa. Ed è per questo che creare un murales che si affaccia verso l'oceano è stata un'emozione particolare per Perez: “Non credo ci sia mai stato un momento in cui sono entrato in acqua e non ci ho pensato [a Cuba]. Tutte le molecole d'acqua da cui ero circondato prima o poi toccano le sue spiagge”.
TRaduzione dall'originale inglese di Maurita Cardone.