Una mattina Marlene Luce Tremblay si è svegliata con un unico pensiero fisso in testa: “Women of New York” – Donne di New York. Quando arrivò a New York anni fa, l’artista fotografa non solo stava affrontando un divorzio, ma stava anche lottando contro il cancro. Ma grazie all’amicizia e alla gentilezza delle incredibili donne che ha incontrato lungo il suo cammino, ha saputo riscoprire l’amore e la gioia di vivere. Tremblay ha vissuto in diverse città nel corso degli anni, ma quella particolare mattina si ritrovò a chiedersi: “Cos’è che rende le donne di New York così valorose?” Questa domanda, insieme alla morte dell’amata madre Candide, l’ha inspirato a creare una mostra per esaltare tutte le donne arrivate a New York, tutte con una storia diversa, intitolata Women of New York.
La mostra Women of New York sarà esposta alla sede centrale delle Nazioni Unite a New York dal 20 al 24 marzo. In questa mostra, le immagini e le parole si incontrano per raccontare la storia di 15 donne, ognuna con un passato ed una storia diversa e arrivate in questa città da paesi in tutto il mondo. Le loro storie sono testimonianza non solo del potere femminile, ma anche della bellezza che esiste nella diversità. Queste donne sono individui distinti ed eccezionali, eppure le loro differenze di opinioni, credenze, scopo, di lingua e nel modo di concepire il mondo e la vita si riconciliano per creare dei dipinti fatti di vivide sfumature e diverse consistenze. Da vicino, è possibile apprezzare i singoli elementi che formano le personalità dei singoli individui e che li rendono unici, ma facendo un passo indietro, questi effetti si mescolano l’un con l’altro e rivelano il ritratto di qualcosa di più grande, di qualcosa che noi tutti condividiamo: la nostra umanità.
Tremblay ci racconta che: “La mia speranza è quella di riuscire a mostrare che l’essere diversi è un fattore che arricchisce”. “Voglio mostrare l’importanza dell’amicizia, non della competizione, ma della collaborazione”.
Attraverso Pintogrphy, un processo artistico che caratterizza le sue opere, Tremblay unisce la fotografia con la pittura per creare ritratti accesi ed eterei che rispecchiano la sua interpretazione della realtà. Per questa mostra, dopo aver fotografato tutte le donne una per una, Tremblay ha tinto i ritratti al computer e sovrapposto a questi un’immagine raffigurante la natura, per esempio dei fiori in fiore, delle bolle fluttuanti o delle prosperose piante. I diversi livelli dei suoi dipinti vogliono rappresentare i numerosi e complessi strati che vanno a formare la nostra natura umana. Dopodiché, le immagini modificate sono state ingrandite e stampate su tela, per poi essere dipinte con i colori ad olio, accentuando in modo particolare le tonalità che l’artista ha scelto per concretizzare la sua personale visione della vita. Il risultato finale è un ritratto che, attraverso la stratificazione di immagini e i ricchi toni del rosso, dell’oro, del viola, del verde e del blu, porta con sé la potente e radiosa essenza del soggetto rappresentato. L’artista riesce a catturare la bellezza di ogni donna, ma non come qualcosa che è esterno, ma come qualcosa che è sepolto molto più in profondità e proviene dall’interno.
La mostra include anche degli estratti presi da una serie di interviste individuali condotte con ogni donna, per dare al pubblico un’idea più precisa di chi è la donna rappresentata, da dove viene e dove sta andando. Attraverso queste interviste, le donne hanno condiviso i ricordi del tempo passato nelle terre lontane dei loro paesi natii e tutti i problemi e gli ostacoli che hanno dovuto fronteggiare per diventare le donne che sono oggi. Sono donne che corrono rischi. Sono coraggiose, motivate, donne passionali e con delle convinzioni forti. Alcune di loro hanno dovuto fuggire dalle restrizioni che la loro cultura impone alle donne, così da poter trasferisti a New York City e finire il lavoro che si sentivano in dovere di compiere. Altre hanno dovuto superare il dispiacere di vivere ad un oceano di distanza dalle loro famiglie, essendo immigrate a New York da giovani. Altre ancora hanno mostrato di essere forti e di avere una grande capacità di recupero dopo aver superato un divorzio, lottato contro il cancro ed essersi riprese dopo la scomparsa di una persona cara. Però tutte hanno una cosa in comune: la convinzione che le donne si dovrebbero incoraggiare e farsi forza a vicenda e non competere l’un contro l’altra. Coltivano rapporti con persone di tutte le etnie, identità sessuali, orientamenti sessuali e religione. Non si sono solo messe alla prova per migliorare loro stesse, ma, attraverso il loro contributo alla società, si battono per migliorare il mondo. Questo è ciò che significa essere una donna a New York.
Patricia, il cui ritratto sarà tra i 15 esibiti alla mostra, ci racconta: “Donne, siamo così forti. Possiamo fare di tutto e di più. Siamo multitasking. Siamo intelligenti, ambiziose. Se solo ci incoraggeremmo a vicenda invece che competere l’un contro l’altra, credo che oggi potremmo essere in una posizione molto diversa. Penso che questo progetto rifletta molto questo modo di pensare”.
Chi sono questo donne e da dove vengono?
Zhuljeta Buja, ora ristoratrice, è cresciuta in Albania, dove la sua famiglia, composta da 7 persone, riusciva a fatica a mettere qualcosa in tavola ogni giorno. Nathalie Weschler è una psicoterapista cresciuta in una comunità ebrea a Montreal, nonostante lei non lo sia. Marianne Kosits, nata a New York, figlia di un sopravvissuto ai campi di concentramento polacchi, è la prima donna ingegnere a lavorare per la IBM a New York Citysu sistemi ingegnerizzati di larga scala. Maria Aiolova, cresciuta in Bulgaria, è un’urbanista e fondatrice di Terreform ONE, un’organizzazione no-profit che promuove progetti ecologici in zone disagiate che non hanno un accesso diretto ad architetti professionali e urbanisti.
Afaf Konja, nata a Baghdad da una famiglia caldea, parla aramaico ed è stata la portavoce del presidente della 68° Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Vivianne Laude, nata sull’isola di Cebu nelle Filippine, ma cresciuta a New York. Appassionata di tecnologia sin da piccola, è riuscita a crearsi una carriera in questa industria dominata dagli uomini e ora possiede un’impresa tutta sua. Bo Li, nata nel sudest della Cina, lavora per il Dipartimento della Pubblica Informazione alle Nazioni Unite. Amel Bennys è un’artista a tempo pieno, nata in Tunisia e cresciuta in Francia. Melanie Randisi, originaria di Montreal e nata in una tradizionale famiglia italiana. Randisi lavora per l’Associazione dei Corrispondenti alle Nazioni Unite e ha trovato un modo per esprimersi diventando istruttrice di pilates e fitness.
Valeria Robecco si è trasferita dall’Italia a New York a poco più di 20 anni. Robecco è la vice presidente dell’Associazione dei Corrispondenti alle Nazioni Unite e una giornalista che viaggia per tutto il paese seguendo le notizie di politica. Patricia Ramirez è nata a New York, ma ha passato qualche tempo in Colombia, il suo paese natale, dove ha anche imparato lo spagnolo. Ramirez è una stilista e, proprio per il suo lavoro, viene a contatto con molte donne che non riescono ad accettare l’immagine del proprio corpo.
Louise Laheurte, originaria della Cina, ma immigrata in Francia e poi in Germania da piccola. All’età di 11 anni, sapeva parlare e stava imparando 5 lingue diverse. Oggi, in pensione dopo 35 anni di carriera alle Nazioni Unite, fa volontariato alla New York University come consulente per gli specializzandi in affari internazionali. Soraya Hamiani è un’imprenditrice algerina. Nel 2007, è stata premiata dal Financial Time per essere nella top 25 delle donne leader e dirigenti d’azienda nel mondo arabo e nel nord Africa.
Ed infine, Candide, la madre dell’artista che è da poco venuta a mancare e che è stata un’importante fonte d’ispirazione per questo progetto. Tremblay la ricorda come una donna “con un cuore così grande che avrebbe potuto contenere l’intera umanità”.