Quando si pensa ai Musei Vaticani l'arte contemporanea non è la prima cosa che viene in mente. Eppure esiste un legame storico tra la produzione artistica del presente e la Chiesa. Di questo ha parlato lo scorso 6 ottobre, alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University, Micol Forti, studiosa di arte moderna e contemporanea e attuale direttrice della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani. Forti è stata nella Direzione esecutiva del primo Padiglione Vaticano alla 55ª Biennale d’Arte di Venezia nel 2013 ed è la curatrice del Padiglione Vaticano alla 56ª Biennale attualmente in corso.
Alla Casa Italiana, Micol Forti, attraverso la proiezione di immagini storiche e attuali, ha letteralmente incantato i presenti trattando una questione tanto complessa quanto affasciante. Il suo intevento è partito con una domanda: “Quando si è verificata, se si è verificata, una vera separazione tra Chiesa e arte?”. Nell’ora a sua disposizione, Forti ha cercato di dare una risposta a questo quesito, attraverso una prospettiva basata sulla storia e la critica dell’arte.

Il direttore della Casa Italiana NYU, Stefano Albertini, e la direttrice della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani, Micol Forti.
La storia secolare della Chiesa romana ha ampiamente dimostrato un profondo legame con il presente di cui l’arte è espressione. Un rapporto costante, a volte audace e spesso rivolto con un occhio al futuro. L’artista britannico William Blake definisce la Bibbia come il “Grande Codice” della cultura occidentale e questo inevitabilmente crea una sorta di alleanza spontanea e fruttuosa tra Chiesa e arte, che durerà molto a lungo: per secoli pittori e artisti intingeranno i loro pennelli nella Bibbia. “Ma – ha detto Forti – questa relazione aveva comunque dei paletti ben definiti”.
Per cercare risposta al quesito iniziale, la storica dell'arte si è servita di un esempio: dopo aver fatto apparire sullo schermo un’immagine a tutti familiare, gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, ha racconta un aneddoto che prezioso per comprendere il tema della discussione. All’inizio dei lavori, la notizia dei nuovi affreschi nella Cappella Sistina si diffuse così rapidamente che Papa Giulio II fu costretto ad acconsentire a che il popolo romano potesse visitare le stanze vaticane, nonostante la volta non fosse ancora completata. La notorietà di Michelangelo era indiscussa, ma il grande maestro aveva appena 30 anni quando iniziò l’opera, e nonostante avesse già prodotto alcune famosissime sculture, aveva fino ad allora dipinto solo un quadro (Il Tondo Doni che si trova oggi al Museo degli Uffizi di Firenze). Realizzare una volta di quelle dimensioni e dare all’artista completa libertà iconografica (in una lettera del 1523 Michelangelo scrive: “So che ha detto che potevo fare quello che volevo”), poteva essere un grande rischio. Ma fu, in realtà, un rischio calcolato. Il Papa, nonostante l’inesperienza del giovane artista, si sentiva sicuro sia culturalmente che “politicamente”. Giulio II, conclusa la Cappella Sistina, sapeva bene che si sarebbe scatenato un aspro dibattito critico. E sapeva, inoltre, che investire nell’arte contemporanea non è sinonimo di approvazione, ma crea discussione, provoca posizioni differenti, scontri anche accesi e questo porta benefici non solo all’arte ma anche al committente. Era consapevole di dover cambiare la capacità della Chiesa di affermarsi sulla scena internazionale, e capì che poteva farlo, non solo attraverso guerre di conquista e accordi diplomatici, ma anche attraverso l’arte. E così fu.
Ecco quindi che torna la domanda di partenza: “Perché mettere in discussione il rapporto tra Chiesa Romana e arte contemporanea? Quando si sono interrotti i rapporti tra queste due parti così strettamente legate?”.
Offrendo una serie di riferimenti storici, Micol Forti ha spiegato che fu a causa di una serie consecutiva di eventi storico-sociali che questo rapporto lentamente si incrinò. Nella seconda metà del XIIX secolo ci fu il crollo delle grandi monarchie europee e conseguentemente la crisi dell’aristocrazia. L’ascesa dell’Illuminismo, la Rivoluzione Industriale, la nascita di nuove classi sociali. A causa di tutti questi profondi mutamenti, anche il rapporto tra artista e mecenate cambiò inesorabilmente. Gli artisti iniziarono a fare riferimento a nuovi contesti sociali, che sapranno capirli e sostenere la loro arte. Mano a mano la Chiesa diminuirà il suo potere temporale e subirà pesanti saccheggi del patrimonio artistico accumulato nei secoli. Ci fu in sostanza un profondo cambiamento sociale e civile che la Chiesa, in quel momento, non era preparata ad affrontare.
Senza dubbio la separazione tra Chiesa e arte ha inizio in questo momento storico. Gli artisti che continuarono a lavorare all’interno del Vaticano erano pochi e lontani dai grandi dibattiti internazionali che diventavano sempre più ricchi e complessi. Questo portò ad un inevitabile divario tra le esigenze legate all’arte sacra e liturgica, che vede da un lato la Chiesa Romana e il suo ruolo conservatore e dall’altro la sperimentazione della giovane generazione di artisti.
La separazione divenne così profonda che sembrava destinata ad allontanare per sempre le due parti. Ma attraverso un altro importante episodio storico, Forti ha spiegato che ad un certo punto qualcosa è cambiato. Qualcosa, o meglio qualcuno, ha tentato di porre rimedio ad una incomunicabilità che ormai sembrava insormontabile. L’episodio in questione è legato al Pontificato di Paolo VI, un uomo colto, che sempre mostrò una straordinaria sensibilità verso le opere e gli artisti, ma soprattutto verso le relazioni tra Chiesa e contemporaneità, con tutte le implicazioni filosofiche e teologiche che ne conseguono. Dopo appena un anno dalla sua elezione, Paolo VI convocò il mondo degli artisti internazionali contemporanei, dei critici, dei commercianti, gli eredi e i collezionisti della Cappella Sistina, ad un incontro radicale ed innovativo, durante il quale tenne un discorso di straordinaria intensità. L’incontro pose le basi per la creazione di un nuovo museo di arte contemporanea da includere nel tessuto storico dei Musei Vaticani. Paolo VI chiese aiuto a tutti i presenti e fu il primo passo concreto, verso la riapertura di un dialogo, interrotto, come lui stesso disse, “dalla pigrizia, dall’ignoranza e dall’attaccamento alla tradizione visto come fissa ed inamovibile”.
Micol Forti ha poi spiegato che, dietro il cambiamento di rotta di Paolo VI, c'era una concezione dei Musei Vaticani come luoghi di cultura per eccellenza. I Musei sono territorio internazionale, dove epoche e culture provenienti da tutto il mondo convergono: egizi, etruschi, greci romani etc… I Musei Vaticani sono il cuore pulsante della storia e della tradizione della Chiesa Cattolica e non potevano rimanere ancora tagliati fuori dal presente. Paolo VI lo aveva capito e in soli nove anni, insieme al suo staff, raccolse oltre 1.000 opere d’arte del XX secolo provenienti da paesi diversi. Nella collezione erano presenti capolavori assoluti come Van Gogh, Gauguin, Ensor, Max Ernst, Rodin, Chagall, Matisse e altri furono doni di collezionisti come Gianni Agnelli, il Re Juan Carlos di Spagna. Il 23 giugno del 1973 la collezione d’arte contemporanea venne inaugurata e i lavori entrarono ufficialmente a far parte dei Musei Vaticani riaprendo definitivamente quel canale di comunicazione che si era interrotto tra la Chiesa Romana e l’Arte Contemporanea.

Padiglione della santa Sede alla Biennale di Venezia
Il forte messaggio di Paolo VI ha proseguito il suo cammino, sempre più proteso verso una più profonda integrazione della Chiesa nella contemporaneità. L’impegno fu profondo e non senza ostacoli. Finché nel 2007, il Cardinal Ravasi venne nominato da Papa Benedetto XVI, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Uno dei suoi primi progetti fu la realizzazione di un padiglione per la partecipazione del Vaticano alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, offrendo così la possibilità, ad artisti contemporanei, di prendere parte alla realizzazione dell’opera d’arte che avrebbe rappresentato il Vaticano alla più antica e prestigiosa rassegna internazionale d’arte contemporanea al mondo.
Bisognerà attendere il 2013 per poter ammirare alla Biennale di Venezia il primo padiglione della Santa Sede. Ovviamente il Vaticano sceglie la direzioni e i temi dei lavori artistici. Nessuna delle opera prese in considerazione, però, ha avuto carattere liturgico né nel padiglione 2013 né in quello del 2015. Micol Forti, ci tiene a sottolineare che l’obiettivo era quello di aprire la porta ad un dialogo: “Non abbiamo chiesto agli artisti quale fosse le loro religione, il loro credo. Abbiamo offerto loro testi sacri come spunto di partenza per una riflessione e una discussione comune. E il risultato è stato sorprendente. Ciò che contava era la ricerca del significato della bellezza e della verità, al fine di ricavare nuovamente un ruolo fondamentale per la Chiesa all’interno della cultura moderna. Percorso difficile ma per me necessario”.
Alla fine dell'intenso e affascinante intervento, Micol Forti ha lasciato il pubblico con una citazione da I demoni di Dostoevskij, appropriata conclusione dell’incontro: “L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non vi sarebbe nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”.