Il luogo era Red Hook, Brooklyn. La chiesa risaliva al 1880 ed era stata costruita da marinai norvegesi. Il matrimonio era di quelli che si vedono una volta nella vita. Era il 2012 e Chico MacMurtrie e Luise si stavano sposando. Il pastore protestante, lo zio di Luise, indossava un ricco abito e pronunciò un sermone composto interamente di poesie, in piedi da sotto un arco di fortuna, creato per l'intima occasione. I familiari assistevano al gioioso evento dai banchi di legno allestiti nella navata della chiesa. A circondarli, nelle teche generalmente occupate da statue di santi, c'erano gli ospiti d'onore: Urge to Stand, Drumming and Drawing Subhuman, String Body, Transparent Man, Bellboy, e Rope Climber. Sibilando, mugulando, ronzando, stridendo e martellando, questi scheletrici, grotteschi e intriganti personaggi, assistevano il parroco nella funzione e fornivano l'intrattenimento musicale per la sera. Erano i robot di MacMurtrie.
Nato in New Mexico, Chico MacMurtrie realizza robot dal 1980. Si è laureato alla University of Arizona e ha preso un master alla University of California di Los Angeles. Nel 1992 ha creato Amorphic Robot Works, un gruppo, con sede a San Francisco, di artisti, ingegneri e tecnici che uniscono le forze per creare performance e installazioni robotiche.
L'anno 2000 ha segnato un cambiamento cruciale nel percorso artistico di MacMutrie. L'artista lo ricorda come l'anno in cui compì quarant'anni, l'anno in cui sua madre morì e l'anno in cui si trasferì da San Francisco a New York, un passo che gli cambiò la vita. “I prezzi degli immobili erano raddoppiati [a San Francisco]. Dovevo lasciare il mio studio e ho pensato che avrei potuto vivere a New York per quel prezzo”, spiega. Chico stava per scoprire che trovare a New York uno spazio adatto per creare le sue grosse opere sarebbe stata una sfida più grande del previsto. Si trasferì sulla East Coast con quelli che pensava fossero abbastanza soldi per comprare un suo proprio spazio: in realtà quella somma si rivelò appena sufficiente a vivere un anno in città. “La realtà del primo anno a New York è stata molto, molto difficile. È un posto veramente duro e se non hai un buon motivo per stare qui, è davvero difficile rimanere. Devi avere una motivazione o [la città] ti mangia vivo”.
In un primo momento si stabilì, non senza disagi, in un men che ideale magazzino, pieno di roba di altra gente. Poi, come un dono inviato da Dio, trovò la chiesa. La stessa chiesa nella quale avrebbe sposato sua moglie, la chiesa che sarebbe diventata il suo laboratorio e che è oggi la “casa” di oltre 35 dei suoi robot.
Il matrimonio segnò il primo ritorno alla vita dei robot dopo sei anni. Nel 2000 MacMurtrie fu incaricato di fare una mostra con questi umanoidi in metallo e creò un ambiente organico in cui le sue creature potessero vivere. Si chiamava Amorphic Landscape e girò tutta l'Europa fino al 2006, quando i robot furono messi in magazzino. “Quando ho creato la Chiesa robotica per il matrimonio, l'idea era di inaugurare i robot. Sarebbero diventati santi, in sostanza. Sono andati tutti sotto i ferri e sono stati restaurati, ma ora hanno esattamente lo stesso aspetto che avevano nella loro precedente incarnazione”, ha spiegato MacMurtrie.
Dal 9 all'11 ottobre la performance The Robotic Church, organizzata in collaborazione con Atlas Obscura, tornerà per la sua terza stagione. MacMurtrie presenta al suo pubblico un'esperienza inquietante e coinvolgente in cui robot umanoidi, dai 30 centimetri ai 4 metri e mezzo di altezza, orchestrano una performance musicale, parte pre-programmata, parte eseguita dal vivo. Un robot si rotola sul pavimento, altri percuotono tamburi, un altro ancora raggiunge il soffitto arrampicandosi su una corda. L'elettrizzante performance produce nello spettatore un temporaneo stato di disordine visivo e uditivo. Ad ogni movimento corrisponde uno stridere, uno sferragliare, uno stantuffare nell'aria: lo spazio si riempie di una vertiginosa cacofonia di suoni, offrendo allo spettatore qualcosa di insolito con cui riempirsi gli occhi.
Ma i robot non sono lì solo per fare rumore. Ognuno è dotato di una sua propria personalità e significati, alcuni ironici, altri più seri. Urge to Stand (letteralmente “bisogno di stare in piedi”), per esempio, apre la performance alzandosi in piedi su una Terra di ferro saldato. “Il suo obiettivo principale è quello di alzarsi in piedi ogni giorno. Urge parla di uguaglianza del genere umano”, spiega MacMurtrie. Per rappresentare questa idea, l'artista ha diviso il robot a metà lungo l'altezza: una metà rappresenta il lato maschile, una il femminile.
Per capire come MacMurtrie abbia iniziato a fare i robot bisogna andare indietro ai giorni in cui all'università studiava arti performative. Nelle sue performance si dipingeva il corpo con un materiale che prima si induriva e poi si spellava, come la pelle di un serpente: “Quando la pelle mi si staccava di dosso era come se si trasformasse in una figura a sé e mi fece pensare: 'In questa pelle è passata della vita, la vita che le ho dato io'”. La pelle diventò l'attore. MacMurtrie la trasformò in un fantoccio aggiungendovi una struttura. Creò poi un'imbracatura cui attaccò dei dispositivi che gli consentivano di muovere gli arti e far scuotere la testa del pupazzo, riproducendo il movimento umano.
Con Tumbling Man si spinse ancora più in là. Progettò una tuta telemetrica che gli consentì di liberarsi dell'imbracatura. Come un'immagine speculare, ora l'artista e la macchina si muovevano in modo indipendente, ma all'unisono. "[La tuta] era imbottita, in modo che potessi fare capriole sul cemento e [il robot] imitava il mio movimento e faceva anche lui capriole”, ha spiegato.
Alla fine l'artista ha smesso di andare in scena e ha iniziato ad usare tecnologie digitali per animare i robot a distanza. Quando ha intrapreso questo nuovo progetto a fine anni Ottanta i computer erano ancora tecnologie ostiche e dovette quindi assumere degli ingegneri informatici. Per cercare di far muovere le macchine usavano computer craccati, perché non potevano permettersene di nuovi. “L'era della robotica ha subito un bel cambiamento – ha detto MacMurtrie – Negli anni '80 eri innovativo, oggi è all'ordine del giorno. Di questi tempi l'informatica è così user friendly che si può andare online e ordinare Arduino e automatizzarsi la casa. Puoi programmarti la cucina a preparati la colazione!”.
I robot di metallo continuano a stupire il pubblico nelle disorientanti performance della Robotic Church, ma in questo periodo, MacMurtrie sta lavorando a un diverso tipo di robot. Le nuove macchine, fatte di plastica e di un tessuto ad alta resistenza, sono molto più grandi e decisamente più morbide dei loro cugini umanoidi di metallo.
Pur avendo vissuto a New York per quindici anni, MacMurtrie non ha dimenticato le sue radici. Lo ha reso evidente in uno dei suoi ultimi progetti, The Border Crossing. L'opera è una torre che, quando gonfiata, raggiunge un'altezza tale che si piega, attraversando il confine messicano, dove MacMurtrie è cresciuto. “Quando ero alle elementari i bambini venivano a scuola attraversando la recinzione. Al tempo era una recinzione di filo spinato. Ora è un confine fortificato. Questi bambini attraversavano il confine per andare a scuola e imparare l'inglese. Era una cosa positiva, bella! Ora quei ragazzi devono attraversare illegalmente il confine per lavorare, ma comunque contribuiscono alla nostra economia, non è una cosa interessante?”, ha riflettuto. Il progetto è ancora in fase di reperimento fondi, ma il suo obiettivo è quello di produrlo non solo sul confine del Messico, ma anche su varie frontiere in Europa. “Questo problema esiste in tutto il mondo, il concetto di confine e l'idea dell'appartenenza o meno delle persone a dei luoghi. Alla fine è così affascinante pensare a da dove veniamo dal punto di vista genetico. Veniamo tutti dallo stesso posto. Innalzare muri ha una connotazione così negativa”.
Al momento MacMurtrie sta lavorando a un altro robot gonfiabile. Una metà del suo corpo è già stata completata; l'altra metà è in fase di fabbricazione nella bottega della chiesa, grazie anche all'aiuto di Zia, l'assistente dell'artista. Quando sarà pronto, l'idea è di pompare aria nel robot per poi guardarlo mettersi a camminare nello spazio fino a quando non esaurirà l'energia e troverà un altro luogo dove accasciarsi. “Per farla semplice, si tratta del ciclo della vita e dell'importanza dell'aria che respiriamo. È una scultura che esiste solo in funzione della cooperazione con l'ambiente. In questo caso, si tratta di un ambiente metaforico, artificiale, che dice qualcosa su ciò di cui noi come esseri umani abbiamo bisogno per la sussistenza su questo pianeta”, spiega MacMurtrie
La natura gioca un ruolo significativo non solo nel lavoro di MacMurtrie, ma anche nella sua percezione del mondo. Il simbolismo della sua opera riecheggia non solo nei cigolanti movimenti dei suoi robot meccanici e nei respiri d'aria che espirano dalle sue sculture gonfiabili, ma nella Robotic Church stessa. Anche se da tempo non è più utilizzata per le funzioni religiose, c'è una certa aura spirituale che è impossibile ignorare, non appena si mette piede in questo spazio fatiscente. “[La Chiesa] è piena di riferimenti religiosi, ma non è uno specifico dio con una specifica denominazione, è l'onnipotente”, dice MacMurtrie, puntando il dito verso l'alto. Appeso a testa in giù e direttamente sopra la sua testa, c'è un grande albero metallico. I rami appuntiti, si allargano in tutte le direzioni, come se cercassero di afferrare qualcosa. “Alla fine è quello il simbolo. La natura è l'onnipotente. Dio è il nostro mondo”.
Per assistere ad una delle performance che andranno in scena dal 9 all'11 di ottobre, consultare il sito Internet dello spettacolo. Sulla pagina Facebook della Robotic Church, informazioni aggiorante sui prossimi eventi.