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Arte e Design
September 19, 2015
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September 19, 2015
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Giorgio Casu, pittore al limite dell’impossibile

Vincenza Di MaggiobyVincenza Di Maggio
El vuelo de Pakal, murale di Giorgio Casu, Tulum, Messico

El vuelo de Pakal, murale di Giorgio Casu, Tulum, Messico

Time: 8 mins read

Posi sullo sguardo su uno dei dipinti di Giorgio Casu e ti senti trasportare in un regno colorato che ricorda Oz, pieno di animali esotici, creature mitologiche, simboli spirituali e architetture fantasiose. In una città nota per stare con i piedi per terra, attraverso le sue opere, l'artista sardo Giorgio Casu rende possibile l'impossibile. “Voglio mostrare alla gente che se ci credi, puoi creare cose che non esistono in natura e trasformarle in arte” dice.

Giorgio CasuCapelli castani in disordine e barba indisciplinata, Casu sembra la quintessenza dell'artista newyorchese quando lo incontro su West 38th Street. Il giorno dopo deve partire per Milano per partecipare alla Biennale. Ma prima, ha da smontare la sua ultima mostra a New York City, One Perfect Darkness, esposta nel negozio Hueb su Madison Avenue dal 23 al 30 luglio 2015.

“Mi piacciono i periodi indaffarati, quando accadono cose. E in questo momento stanno accadendo tante cose”, mi dice mentre ci sediamo al tavolo di un ristorante tailandese. Tra dumpling di verdure e pad thai, Casu mi guida in un viaggio esotico lungo la sua carriera artistica.

La sua vita da artista a tempo pieno è iniziata in modo piuttosto inaspettato. “Non ho mai studiato pittura, nemmeno per un minuto” mi dice. Classe 1975, questo artista autodidatta è in realtà laureato in Pedagogia. Nel 1990 lavorava in un centro psichiatrico con bambini con disabilità e a sua insaputa stava per scoprire un talento pittorico che avrebbe cambiato il corso della sua carriera. “Ho iniziato a praticare l'arte-terapia [con i bambini]. Ho esplorato il disegno e la pittura. Nel 1999 ero pronto a lavorare con il colore”. Nel suo studio nella sua città natale in Sardegna, Casu produceva vasi, caricature, maschere e dipinti su legno. “Ho un fratello gemello, Giovanni, lui dipinge da quando aveva 18 anni la nostra casa era sempre piena di tele e opere d'arte”, ricorda. Ma Casu non ha cominciato a lavorare con la vernice acrilica fino al 2002, quando si è trasferito in Inghilterra, dove ha iniziato ad esporre il suo lavoro in varie mostre. Oggi, anche se si considera soprattutto un pittore, il talento di Casu si estende ben oltre la tela: organizza e partecipa a eventi musicali e culturali in tutto il mondo, fa body painting, e crea spettacoli di teatro di strada.

La sua arte e la sua passione per i viaggi lo hanno portato a condurre una vita nomade. Pennello in mano, ha peregrinato tra l'Australia e il Messico, il Costa Rica e l'Inghilterra, le Fiji, l'India e le Filippine. In ogni paese Casu si immerge completamente nella cultura, pratica le tradizioni, esplora le religioni e, con un tocco di innovazione, traduce il tutto nelle sue opere d'arte.

I suoi viaggi continuano ad avere un impatto ben visibile sul suo lavoro. Quando era in Australia ha lavorato con artisti aborigeni e svolto attività di ricerca etnologica sul territorio. L'arte aborigena si basa su simboli e antiche storie che sono state tramandate di generazione in generazione e sono incentrate sul Tempo del Sogno, l'era cui le genti indigene fanno risalire la creazione del mondo. Perciò non è un caso che, se si guardando le pitture acriliche di Casu che rappresentano coloratissime ambientazioni surreali, ci si sente come immersi in un mondo di sogno incantato. Un regno lontano dalla realtà, dove il tempo non esiste, gli eventi si svolgono in modo imprevedibile e le possibilità sono infinite.

Red Riding Hood, di Giorgio Casu

Red Riding Hood, di Giorgio Casu

L'opera di Casu indubbiamente evidenzia uno stile personale e una rottura visibile dai canoni tradizionali della pittura, ma non posso fare a meno di pensare al trittico del Giardino delle delizie del pittore olandese del XV Secolo, Hieronymus Bosch. Anche se questo quadro medievale è intriso di senso religioso e raffigura scene della Bibbia, come i quadri di Casu, è affollato di creature ibride e spesso mostruose, morfologie innaturali, architetture fantastiche. Nelle opere di Casu una piovra usa i suoi tentacoli per giocare con un cubo di Rubik, Cappuccetto rosso si innamora del lupo e una sirena, che nella religione yoruba rappresenta la maternità ed è protettrice dei bambini, appare nel mare.

Casu non si lascia semplicemente ispirare dai territori che visita, ma su di essi lascia un segno, spesso in forma di murales. Nel 2014 ha completato El vuelo de Pakal, un murale a Tulum, in Messico. Il lavoro è uno dei 14 nuovi murales dipinti sulle pareti della città come parte del'Art Project Tulum, un'iniziativa organizzata da alcune aziende del luogo e dalla comunità locale per rivitalizzare la città, attirare l'attenzione di artisti locali e internazionali e creare uno scambio tra la comunità e gli artisti. Il vivace murale, il cui completamento ha richiesto 13 giorni, si trova di fronte alla Chiesa Maya e raffigura una scena che ricorda quelle dipinte sugli antichi vasi Maya  in ceramica, rivelando miti della creazione, ritratti di divinità mitologiche e creature degli inferi. Nell'interpretazione di Casu, una figura Maya vestita con l'abito tradizionale vola su una carrozza o una navetta, trainata da una creatura simile a un uccello esotico dal becco appuntito. La loro destinazione (a quanto pare) è lo spazio, definito dalle stelle e le costellazioni raffigurate sul muro.

Casu ha realizzato murales anche a Miami, per Art Basel, e in Costa Rica, e dice: “Prima di morire voglio riempire la Sardegna con dieci o dodici enormi murales”.

Flatiron, di Giorgio Casu

Flatiron, di Giorgio Casu

L'abitudine di studiare la storia e la cultura del suo ambiente si applica a tutti i luoghi in cui si reca, tra cui New York: “Lo faccio per pormi in relazione con la storia del luogo in cui di volta in volta vivo”. Quando si è trasferito dall'Australia a Manhattan, otto anni fa, il passaggio dalla natura rigogliosa alla città di cemento non è stata l'unica cosa cui Casu ha dovuto adattarsi; si è acclimatato anche ad una città con una storia più moderna: “In Australia ho lavorato con un sacco di artisti aborigeni, e in Thailandia, con tanti artisti indonesiani. Lì mi affascinava il modo in cui potevo tradurre la ricerca etnica che la gente del posto aveva portato avanti per migliaia di anni [nella mia arte]. Qui a New York si è trattato di quello che persone come Basquiat e Warhol avevano fatto negli ultimi cento anni”.

Se c'è una cosa che Casu ama dell'essere un artista a New York è che il successo è dettato in primo luogo dal talento, e non da chi conosci: “Qui alla gente piacciono i tuoi quadri, piace quello che fai e non importa a nessuno chi è tuo padre”, mi dice paragonando la sua esperienza a New York a quella avuta in Italia. “Stai attento ad essere gentile, stringi amicizie… è una cosa che odio. Se il mio lavoro piace, bene! Se non piace, non me ne frega niente”, mi dice.

Anche se si considera ancora uno starving artist, dal momento del suo arrivo a New York City, Casu ha avuto diversi momenti di riconoscimento: un remunerativo evento con Amazon nel quel ha venduto 500 dei suoi dipinti, il suo murale ad Art Basel, un cartellone con le sue opere a Times Square, una mostra con The New York Times, e una mostra alla Casa Bianca nel 2010 a seguito della realizzazione di un ritratto del presidente Obama.

Giorgio Casu Obama

Barack Obama di Giorgio Casu

Quest'ultima mostra, per quanto abbiamo portato ottima pubblicità e un grande riconoscimento, non è tra quelle su cui preferisce concentrarsi: “Obama è il più grande nome al mondo, ma il mio lavoro non ha nulla a che fare con quello”, insiste. La mostra era stata organizzata per raccogliere fondi per Haiti dopo il terremoto e la curatrice, che era in cerca di qualcuno che potesse dipingere il miglior ritratto di Obama, andò nello studio di Casu una settimana prima dell'evento e gli chiese di partecipare. “A mostra terminata, il furgone che trasportava il dipinto da Washington a New York fu coinvolto in un brutto incidente. Le persone a bordo furono ricoverate in ospedale per quattro o cinque giorni. Il furgone è stato demolito. Pensavo di aver perso il dipinto”, racconta. Per fortuna tutti stavano bene e il dipinto ne venne fuori intatto, salvo per un paio di ammaccature. Dopo la mostra gli fu chiesto di donare l'opera alla collezione permanente della Casa Bianca, ma quando si rifiutarono di dargli un certificato che confermasse che si trattava del suo lavoro, Casu rifiutò l'offerta: “Ho ancora il dipinto nel mio studio, non l'ho mai esposto di nuovo. Ho chiuso con quel dipinto”.

In questo periodo, Casu sta lavorando su nuovi interessanti progetti. Il più recente è la sua mostra personale nel negozio Hueb. Anche se è durata solo una settimana, One Perfect Darkness è stata un successo. Allestita sulle pareti grigio scuro dell'elegante negozio, tra scintillanti diamanti che delicatamente rifulgevano dalle teche di vetro, l'opera di Casu è stata davvero presentata in una perfetta oscurità.

Nel cercare un nome per la mostra, Casu aveva due cose in mente, mi dice: la prima era il processo creativo generalmente compiuto da un artista. “Quando sei immerso in una percezione inconscia della realtà, non pensi alla realtà e, metaforicamente, nel tuo cervello c'è oscurità, la tua mente inizia a produrre idee creative”, spiega. La seconda cosa cui pensava è un momento del giorno: “Oscurità perfetta è il modo in cui definisco il momento dopo il crepuscolo, un attimo prima del tramonto, quando la luce è perfetta. I colori sono completamente saturi perché non c'è alcun riflesso dei raggi del sole”.

Giorgio Casu Peacock

Peacock, di Giorgio Casu

La mostra ha raccolto alcuni dei più ipnotici acrilici di Casu tra cui, Marlene, Red Riding Hood (Cappuccetto Rosso) e DoDo, oltre a una collezione di sciarpe e una chitarra a farfalla su cui sono stampati i suoi disegni: “Mi piace mettere arte in tutto ciò che vedo … magliette, orologi, chitarre, tavole da surf, sciarpe, abiti”.

Ma probabilmente il più grande successo della mostra è stata un'esperienza 3D creata da Giulio Serafini, designer multimediale e animatore di base a New York City. I visitatori sono stati invitati a indossare un paio di occhiali Google che rimandavano immagini di uno dei dipinti di Casu. Indossando gli occhiali, i visitatori potevano muoversi virtualmente nella capricciosa ambientazione dell'immaginifica opera di Casu: “È piaciuto così tanto che abbiamo deciso di farlo meglio”. Casu sta ora lavorando ad un progetto che verrà presentato in una mostra multimediale a New York il prossimo dicembre, in cui sta preparando cinque diverse maschere, ciascuna con un quadro diverso: “Vogliamo creare una mostra che offra nuovi modi di esplorare l'arte”.

Parte della mostra One Perfect Darkness erano anche le uova di elefante di Casu, che sembrano rappresentare al meglio il messaggio al centro di tutta la sua opera. L'elefante è il simbolo della divinità indiana Ganesh e rappresenta la conoscenza, il viaggio e la scoperta. Casu ha iniziato a creare una serie di 20 uova per la sua mosrta newyorchese del 2014 dal titolo Magical Realism. E spiega: “Gli elefanti ovviamente non depongono  uova, quindi il fatto stesso di creare uova e chiamarle uova di elefante rende possibile l'impossibile e rende il normale magico”.

Che dipinga nel Sud est asiatico, a New York o in Europa, su tela, su un muro di mattoni,  o su un corpo, c'è un messaggio di fondo che risuona in ognuna delle opere di Casu: “Si può sempre creare magia e rendere reale ciò che non ci si aspetta”. 

 

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Vincenza Di Maggio

Vincenza Di Maggio

È iniziato tutto con un dipinto, Venere e Adone di Tiziano. “Scrivi quello che vedi”, mi disse la mia professoressa di storia dell'arte. E con queste parole accese un fuoco che avrebbe guidato la mia carriera come scrittrice e storica dell'arte. Dopo il Master in History of Art and Archaeology dell'Istituto di Belle Arti della NYU, uno stage al MoMA e collaborazioni con Condé Nast Traveler, The Architect’s Newspaper e INSIDE F&B. Di origini siciliane, sono nata e cresciuta a New York. Quando non scrivo, mi immergo nella vivace scena artistica di Manhattan, divenendo testimone diretto dell'effetto trasformativo che l'arte può avere su una città e viceversa. It started with a painting. It was Titian’s Venus and Adonis. “Write what you see,” my college art history professor said to me. With those four words she ignited a fire within me that would drive my career as a writer, and as an art historian. I graduated with an MA in the History of Art & Archaeology from NYU’s Institute of Fine Arts, and recently completed an internship at MoMA. I have done freelance work for Condé Nast Traveler, The Architect’s Newspaper, and INSIDE F&B. Sicilian in origin, but I was born and raised in New York. When I’m not writing, I’m immersing myself in Manhattan’s vibrant art scene, witnessing first hand the beautifully transformative effect the arts can have on a city.

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