Upper East side, a due passi da Central Park. Nella sede dell’Istituto Ucraino d’America, un grande palazzo fin de siècle all’angolo tra la 79th Street e Fifth Avenue, è possibile vedere un insieme di opere dello scultore Alexander Archipenko. Si tratta di un gruppo di sculture, pitture, e disegni – di carattere assai eterogeneo per qualità e datazione – raccolti intorno agli anni Cinquanta da Augustin e Maria Sumyk, collezionisti e amici dell’artista. Il figlio, Dr. Borys Sumyk, ha deciso di darli in prestito all’Istituto Ucraino per un periodo di dieci anni al fine di renderli accessibili ad un pubblico più ampio.

Alexander Archipenko mentre lavora a Vase Woman, 1918. Foto: cartolina pubblicata dal Der Sturm 1918, per gentile concessione della Archipenko Foundation
È stato interessante scoprire questa mostra mentre ero a New York come borsista presso il Center for Italian Modern Art. Archipenko, artista su cui ho lavorato per la mia tesi di dottorato, è stato uno dei protagonisti della scultura moderna del Novecento. Inoltre, a New York si trovano alcuni dei rari esemplari ancora esistenti delle opere che l’artista realizzò a Parigi all’inizio del XX secolo, oggi conservati nelle collezioni del Museum of Modern Art e del Solomon R. Guggenheim museum. E' stata una grande gioia poter finalmente vedere queste opere dal vivo.
Nato a Kiev il 30 maggio 1887, Archipenko giunge a New York nel 1923, dopo un periodo giovanile in Europa, e trascorre il resto della sua vita negli Stati Uniti. La Fondazione Archipenko, a Bearsville nello stato di New York, diretta dalla seconda moglie, Frances Archipenko Gray, testimonia la sua presenza negli Stati Uniti e sviluppa studi e attività di ricerca sul suo lavoro.

A. Archipenko, Madonna delle Rocce, 1912, Gesso dipinto, Museum of Modern Art, New York
Interessato all’arte fin da ragazzo, Archipenko frequenta la scuola d’arte di Kiev e di Mosca. Tuttavia, il suo temperamento curioso e inventivo, lo spinge ad abbandonare presto l’insegnamento accademico e a preferire un confronto diretto con le opere, visibili nei musei e nelle collezioni private. Probabilmente impressionato dai quadri di Gauguin esposti nella sala da pranzo della dimora di Sergei Shchukin a Mosca e affascinato dal fermento creativo che arrivava dall’Europa, Archipenko lascia la Russia nel 1908 per Parigi, città nella quale vive e lavora fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nella capitale francese, l’artista stringe amicizia con numerosi colleghi, francesi e stranieri, come lui determinati a rinnovare il linguaggio artistico. Fernand Léger, i fratelli Duchamp-Villon, Henri Le Fauconnier, Jean Metzinger e Albert Gleizes, Frantisek Kupka, Joseph Csaky, Robert e Sonia Delaunay, sono solo alcuni degli artisti — noti al pubblico come Cubisti — con cui Archipenko espone le sue opere tra il 1910 e il 1914. Allo stesso tempo, Guillaume Apollinaire e André Salmon sostengono le loro ricerche dalle pagine dei quotidiani francesi sui quali scrivono per guadagnarsi da vivere.

A. Archipenko, Carrousel Pierrot, 1913, Gesso dipinto, Solomon R. Guggenheim museum, New York. Photo: David M. Heald ┬® Solomon R. Guggenheim Foundation

A. Archipenko, Medrano II, 1913-14, Latta dipinta, legno, vetro, e tela cerata dipinta, Solomon R. Guggenheim museum, New York. Photo: David M. Heald ┬® Solomon R. Guggenheim Foundation
Nel biennio 1912-1914 la scultura, in un dialogo serrato con la pittura e attraverso il tramite privilegiato del disegno, compie un ulteriore passo in avanti per affrancarsi dalla resa naturalistica del soggetto rappresentato. Pur restando fedele alla figura umana, Archipenko elabora allora da una parte, un vocabolario di forme lineari e sinuose che, in un continuo alternarsi di parti concave e convesse, delineano la silhouette e il volume della figura conferendole al tempo stesso un forte carattere dinamico. E’ il caso, tra gli altri, di Madonna delle rocce (1912), un gesso dipinto di rosso, appartenuto a Fernand Léger ed entrato a far parte della collezione del MoMA nel 1969, grazie alla donazione di Frances Archipenko Gray e delle Perls Galleries. Dall’altra, intorno al 1913-14, l’artista realizza delle sculture in gesso colorato e alcune costruzioni polimateriche, servendosi di materiali di recupero quali latta, vetro, legno e tela cerata. Tali opere, ispirate al mondo del circo e alle giostre popolari, infondono alla figura umana un carattere vitale, una natura mobile, e un aspetto meccanico. È il caso di Carrousel Pierrot (1913) e di Medrano II (1913-14) [fig.3]. Acquistate da Alberto Magnelli a Parigi nella primavera del 1914 per la collezione fiorentina dello zio, queste due sculture, insieme al gesso La Boxe, sono entrate a far parte della collezione del Guggenheim tra il 1955 e il 1957, grazie al gusto e alla lungimiranza dell’allora direttore James Johnson Sweeney. Nel marzo del 1914, quando Archipenko le aveva esposte per la prima volta al Salon des Indépendants di Parigi, tali opere avevano suscitato delle reazioni molto polemiche, a causa dell’ironica irriverenza del soggetto rappresentato, per il loro aspetto e i materiali utilizzati, com’è possibile vedere in una caricatura apparsa sul giornale satirico Le Bonnet rouge nella quale sono entrambe raffigurate all’interno di un articolo intitolato Uno scandalo. Apollinaire, per aver difeso Archipenko dalle colonne de L’Intransigeant, venne immediatamente licenziato dalla redazione del giornale!
Un scandale, in ÔÇ£Le Bonnet rougeÔÇØ, n. 16, 7 marzo 1914
Le sculture di Archipenko appartenenti al Museum of Modern Art e al Solomon R. Guggenheim museum non sono attualmente visibili nelle sale espositive. Tuttavia, in qualità di studiosa e specialista della materia, mi è stato dato un appuntamento nei depositi dei rispettivi musei per poterle vedere dal vivo, insieme alle opere di altri artisti contemporanei di Archipenko. Questo è stato uno dei momenti più emozionanti nel corso dei mesi trascorsi a New York, ed è sicuramente uno dei privilegi riservati a uno storico dell’arte: poter vedere di persona le opere selezionate attraverso il database del museo, in una sorta di esposizione personale, allestita grazie alla cura e all’abilità dello staff. Le opere sono lì, davanti a te, osservabili da vicino e sotto ogni angolazione, mentre spesso nelle sale dei musei vengono avvicinate alle pareti limitandone drasticamente i punti di osservazione! È così possibile percorrerne la forma intera con lo sguardo, osservare il colore, le sfumature, il materiale, la mano dell’artista che vi ha inciso sopra la firma e la data, e di conseguenza capirne meglio la logica di creazione, come anche le affinità e le differenze che collocano ogni pezzo sia all’interno del corpus di un artista, che in relazione al lavoro di altri.
Alla fine della mia visita, rientrando a casa per le strade affollate di New York, lascio correre nella mente nuove idee nutrite dalle immagini appena viste, grata al personale del museo e anche ad Alexander Archipenko. In questi ultimi anni, lo studio del suo lavoro mi ha permesso di spostarmi da Firenze a Parigi e da Parigi a New York, e chissà quali altre destinazioni ancora mi attendono!
*Ilaria Cicali è una dei fellow 2014-15 del CIMA.
Questo articolo viene pubblicato, nella versione inglese, anche sul blog del Center for Italian Modern Art.
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