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March 18, 2015
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Titina Maselli e la sua arte “urbana” tra Roma e New York

Daniela Tanzj e Andrea BentivegnabyDaniela Tanzj e Andrea Bentivegna
Titina Maselli, Palazzo e semaforo verde, 1968, acrilico su tela, cm 124 x 146, Collezione Iasilli Roma

Titina Maselli, Palazzo e semaforo verde, 1968, acrilico su tela, cm 124 x 146, Collezione Iasilli Roma

Time: 4 mins read

Se per capire una città se ne devono percorrere tutti i quartieri, soprattutto quelli più diversi tra loro, allora per poter apprezzare Titina Maselli e comprendere il suo rapporto folgorante con le due metropoli che hanno influenzato la sua arte, ovvero New York e Roma, non possiamo che provare ad osservare tutte le innumerevoli sfaccettature del suo carattere per tentare di conoscere questa donna incredibile. Tratteggiare un profilo di un personaggio tanto complesso, è, il più delle volte, un’impresa vana, ma in questo caso Sabina de Gregori, con un libro che potremmo definire docu-grafico, tanto incisivo quanto dirompente, ci regala una descrizione, non del lavoro, bensì della persona Titina Maselli che spiazza e lascia increduli al punto di avere la sensazione che fosse una vecchia amica di famiglia.

titina

Titina Maselli durante l’allestimento di una mostra a Milano, 1967. Foto: courtesy Fototeca AAMOD/F&M, Roma

Modesta Maselli, questo il suo vero nome, nasce a Roma nel 1924 da una illustre famiglia della nuova borghesia intellettuale. È stata una grande pittrice del Novecento italiano eppure, questo nome, ancora oggi a dieci anni dalla morte, non dice molto al grande pubblico probabilmente perché fu lei stessa, per tutta la sua carriera, a rifiutare ostinatamente di essere identificata con uno stile o un movimento in un “isolamento forsennato e orgoglioso, sempre e solo uguale a sé stessa”. Sin da giovanissima, nel dopoguerra, quando iniziò a lavorare alle sue prime opere, Titina era solita uscire da sola di notte con il cavalletto in una Roma ancora piena di macerie, per andare a piazza Fiume dove trascorreva molte ore all’aperto a dipingere, del resto “era sempre stata attratta dalla città e dai temi urbani come fossero l’unico ambiente vivibile per l’uomo, l’unico habitat possibile”.

Si deve ricordare che proprio piazza Fiume è da sempre un luogo altamente simbolico per Roma e soprattutto in quegli anni rappresentava una sorta di terreno privilegiato per assistere ad un cambiamento repentino della città: qui dove sorgeva la porta Salaria che, ricostruita da Vespignani dopo i danneggiamenti della storica “breccia” del 1870 fu definitivamente demolita nel 1921 creando la piazza nel dopoguerra, proprio a ridosso degli anni in cui la frequentò Titina, c’era una sorta di laboratorio per la modernità. Fu proprio qui infatti che furono costruiti i primi sottopassaggi di Corso Italia e soprattutto l’edificio de La Rinascente, il capolavoro di Franco Albini, una delle architetture più importanti e decisive di tutto il secolo scorso.

Boxeur, 1981

Titina Maselli, Boxeur, 1981

La pittura di Titina Maselli ricerca ossessivamente questa modernità non letterale, ma attraverso un lessico più allusivo riproducendo i luoghi attraverso segni come gli scambi dei filobus, le grandi strade, il palazzo, le scritte al neon, quegli oggetti insomma che lei stessa definisce “archetipi di modernità” capaci di restituire una “percezione emotiva” più che una vera e propria raffigurazione della nuova Roma.

Ma fu il 1952 a segnare uno spartiacque nella storia professionale di Titina. Fu in quell'anno infatti che decise di partire, da sola e con pochi mezzi (“con ottantamila Lire sole in tasca”), per New York, città nella quale vivrà per alcuni anni e che, di fatto, rimarrà sempre visibile nei suoi lavori anche dopo molti anni che da lì sarà tornata. La Manhattan dell’epoca sarà per l’artista una vera e propria epifania e, per dirla con le parole di Sabina de Gregori, “per lei la metropoli statunitense offre la possibilità di spingere al limite estremo le esperienze romane: ai palazzoni ottocenteschi si sostituiscono i grattacieli, mentre ci si imbatte in forti e violenti neon, anziché nelle fioche luci delle notti italiane. La Maselli acquista qui la modernità che nei suoi dipinti romani si intravedeva soltanto”.

Notte a New York, 1989

Titina Maselli, Notte a New York, 1989

Del resto Titina era estasiata da New York, era irresistibilmente attratta dai forti contrasti che questa città possedeva al proprio interno, era affascinata ad esempio da un aspetto troppe volte ignorato, ma assolutamente imprescindibile per questa città: l’oceano. Affermava, con la sensibilità fuori dal comune di cui era dotata, che “il vento dell’oceano, il cielo nelle pareti dei grattacieli, questo non si può sentire nel cinema…questa città possiede la violenza della natura ma è assurdamente alimentata dalla speculazione più forsennata, dalla banconota regnante”. Ma proprio in America, dove l’ambiente artistico era più fervente e in cui si sarebbe, di lì a poco, affermata la Pop Art, Titina sceglie di ribadire, ancora una volta, la sua autonomia. Si affranca dalle tendenze del momento e sceglie un suo linguaggio, fortemente autonomo, che la spinge a raccontare la città non attraverso le immagini che poi negli anni avremmo imparato a riconoscere, bensì raffigurandone le emozioni, il dinamismo ma anche la solitudine e l’alienazione che la serialità della metropoli moderna produceva nei suoi abitanti, aspetti all’epoca, pionieristici per la pittura. “Roma è come New York, la dimensione comune è quella della grande città contemporanea”, è quanto afferma, commentando le sue tele, Morosini mentre Achille Bonito Oliva scrisse, parlando proprio delle opere newyorkesi della Maselli: “L’istante urbano è colto e surgelato, attraverso immagini che riproducono la sensazione del presente, la memoria del passato e l’impressione di una futura velocità che sintetizza dentro di sé spazio e tempo, rallentamento e accelerazione”.

Titina Maselli è stata dunque, attraverso le sue opere, una superba narratrice di queste due città e, a suo modo, una studiosa della realtà urbana che ha sintetizzato in modo personalissimo nelle sue opere mostrando, ancora oggi, l’essenza di due metropoli diverse, ma non divergenti. “Io vorrei dipingere tutte le cose note ma non guardate abbastanza” questo rispondeva Titina a chi le domandava quali erano i suoi temi prediletti ed è questo suo sguardo insolito a svelarci l’essenza sia di Roma che di New York, evitando le banalità che negli anni successivi, contribuiranno a consolidare l’immagine stereotipata della modernità urbana.

 

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Daniela Tanzj e Andrea Bentivegna

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