Non si può riscrivere il passato. L’abbiamo sentita molte volte questa frase come un incitamento ad andare avanti e non restare fermi a un passato spiacevole, a gesti mancati, a esperienze tragiche e traumatiche. Oppure l'invito a superare situazioni: parole che forse si sarebbero potute evitare. Non restare fermi al passato dovrebbe consentire di scrivere nuove pagine del presente e del futuro. Ma cosa significa veramente l'impossibilità di riscrivere il passato? Davvero questo tipo di impossibilità, di non azione, regala la libertà di vivere e forgiare più creativamente il presente e il futuro?
Il passato, certo, non si può riscrivere ma si può reinterpretare. Ed è in questo processo di reinterpretazione che risiede una delle forme più creative non solo della scrittura ma anche dell’atto liberatorio che risiede nell’andare a ripescare in luoghi polverosi e dimenticati. Così non è tanto una questione di trovare nuovi materiali e dati soprattutto in questa nostra epoca ossessionata dalla datologia. Ma diventa cruciale la maniera in cui comprendiamo quelle cose che magari erano sotto i nostri occhi da sempre e a cui non avevamo dato nessuna importanza. Il passato lo si ripensa, rivive, re-interpreta nel contesto di strutture e processi storici e cognitivi che si evolvono e modificano continuamente.
La memoria è un processo selettivo e che si plasma con il tempo e così l’atto del cercare, dell’interpretare, del ripensare spazi e oggetti, di immaginare. Le tracce del passato tornano a visitare e formare nuove costellazioni e traiettorie del presente. Troviamo un oggetto, una vecchia foto o un abito smesso che ci rimanda a una persona o delle situazioni che torniamo a rivisitare o magari finalmente ci è data l’occasione di conoscere qualcosa, qualcuno che ci era completamente sfuggito. C’è un dettaglio forse nascosto dietro la piega di un sorriso oppure di una camicia. Eppure è da questa presenza, un particolare che interrompe il nostro andare frettoloso, che potrebbe snodarsi un percorso. Interrompere, vuol dire fermarsi per un momento ed è quindi un gesto che restituisce senso e spessore al suo opposto, il fluire, il movimento. La fotografia e il cinema e la rivisitazione che se ne fa oggi in piena era digitale sono la materializzazione del nostro essere al mondo. Andare, fermarsi e andare ancora, e così ad infinitum.

Alice Austen mentre scatta foto durante una gara di automobili. Foto: Courtesy Alice Austen House
Le immagini, la cultura materiale, la moda, gli oggetti portano alla luce nuove configurazioni e soprattutto nuove presenze nella storia delle donne. Le donne fotografe, per esempio. Mi vorrei soffermare su Alice Elizabeth Austen (1866-1952) una fotografa e un’artista straordinaria che abitava in una casa fatta costruire nel ‘600 (Clear Confort) a Staten Island, uno dei distretti di New York.
Oggi la sua residenza è diventata un museo grazie alla volontà e alle battaglie di cittadini coscienziosi che nel 1960 hanno recuperato la casa, il parco e il giardino su cui volevano costruire un complesso di appartamenti. Hanno salvato la casa e il mondo di Alice, rendendoli un luogo da aggiungere alla mappa dei visitatori di New York che non si accontentano, giustamente, della solita Manhattan. Ma Alice’s House è anche un luogo visitato da ragazzi, insegnanti, studenti e popolato durante l’estate di varie attività come i summer camps, i campi estivi per gli adolescenti.
Negli ultimi anni della sua vita, Alice, per ragioni di salute e ristrettezze finanziarie, dovette lasciare la sua adorata dimora che condivise prima con la sua famiglia (il nonno e la mamma) e poi, con la sua compagna di vita Gertrude Tate. Il crollo del 29 di Wall Street l’aveva pian piano condotta allo stento e alla povertà.
Alice scopre la fotografia a dieci anni grazie allo zio Oswald Müller, capitano della marina, che porta a casa un apparecchio fotografico. Alice rimane affascinata da questo nuovo strumento della tecnologia e quando suo zio lascia l’apparecchiatura fotografica nella casa di Alice, il suo destino è già segnato. Non se ne separerà mai e la fotografia diventerà il suo modo per capire la realtà ed esprimere e vivere la sua creatività e curiosità del mondo, delle persone, ma anche di se stessa. In molte foto vediamo la stessa Alice, in varie pose e circostanze in cui si nota la sua attenzione ai dettagli, agli abiti e la moda del tempo. Oltre ad amare fotografare gli altri, ad Alice piaceva farsi fotografare.

La ventiduenne Alice Austen posa con il suo abito della domenica. Foto scattata nel 1888 dal captano Oswald Müller. Courtesy: Alice Austen House
Bellissimo il suo ritratto scattato dallo zio, il capitano Oswald Müller, quando aveva ventidue anni nel giugno del 1888. Il suo corpo è definito dalla forma dell’abito e dal corsetto. Il gioco delle righe orizzontali e verticali e il suo sguardo fiero che guarda in macchina ne delineano una personalità volitiva e anticonvenzionale. Nonostante il modello e la stoffa del suo abito siano così emblematici della moda vittoriana, il suo non è il ritratto di una giovane donna convenzionale. Nella mano destra sembra che esibisca una palla da tennis, lo sport in cui eccelleva. Particolare non da tralasciare e, come direbbe Barthes, è questo dettaglio che identifica il punctum nel ritratto di Alice. Perché la palla da tennis insieme all’ombrellino? Di chi è stata l’idea di Alice, o del fotografo che l’ha ritratta?
Alice ha lasciato più di 8.000 foto alla Staten Island Historical Society e alcune si possono ammirare sul sito dell’organizzazione che amministra la sua casa museo. In alcune foto che la ritraggono con Gertrude Tate e con altri amici e amiche, si può notare come usi il travestimento come performance. Usa la fotografia per rappresentare una identità aperta al gioco. È la stessa messa in scena che viene presentata insieme al ritratto. Poi in altri esempi si vede come si registrano i cambiamenti del corpo femminile e del suo apparire negli spazi pubblici quando la comparsa della bicicletta rivoluziona e porta un nuovo dinamismo alla vita quotidiana. Alice stessa si muoveva in bicicletta e poi in macchina per andare a fotografare le strade e la gente della città di New York che stava trasformandosi in una moderna megalopoli. Non era facile portarsi dietro tutta quella pesante apparecchiatura mentre usciva per andare a fotografare. E poi con quegli abiti così ingombranti e costrittivi.
Ma Alice non demorde e ritrae la vita della strada e i suoi soggetti sono diversi, dagli immigrati che sbarcano a fiumi a popolare e fornire nuove braccia al progresso dell’America, ai bambini che vendono i giornali o i venditori alle bancarelle della frutta e verdure di Lower Manhattan. È Alice Austen l’autrice di questa stupenda wonderland e ci invita a fare un salto attraverso lo specchio.