Il Fauvismo fu il primo movimento d’avanguardia del XX secolo, seppur di breve durata, comparso nel 1905 mentre a Dresda veniva fondato il gruppo Die Brücke. Cominciò a tramontare fra il 1907 e il 1908, quando Bracque realizza il Grande nudo che già dialoga con Picasso allontanandosi dalla lezione fauve per muovere i primi passi nel cubismo, la nuova avanguardia della quale l’artista francese e il pittore spagnolo saranno i maggiori esponenti.

Henri Matisse The Open Window, 1905 Oil on canvas National Gallery of Art, Washington Collection of Mr. and Mrs. John Hay Whitney © Succession H. Matisse/VBK, Vienna 2013
Simultaneamente, al quinto anno dall’inizio del Novecento, sia in Francia, sia in Germania, nasce l’espressionismo e con esso lo spirito dell’avanguardia quale Spirito dell’Utopia come recita il titolo dell’emblematica opera di Ernst Bloch, uscita nel 1918. Utopia della libertà interiore contro l’avvento imminente di un’epoca in cui la razionalizzazione tecnico-totalitaria d’ogni forma di civiltà si sarebbe estesa, con progressività inesorabile, ad ogni sfera, anche la più intima e recondita, dell’esperienza umana. Con l’espressionismo, tanto di Matisse e dei Fauves quanto di Kirchner e della comunità di artisti de’ Il Ponte, ebbe origine nella storia dell’arte europea lo spirito dell’avanguardia nel senso che si affermò, per la prima volta, l’utopia di un’espressione diretta della libertà con cui sempre la soggettività opera nell’atto della creazione artistica fino a indurne, ora, la mutazione critica in atto totale di vita ed, al contempo, di rivelazione della verità.

André Derain Henri Matisse, 1905 Oil on canvas Tate, London © VBK, Vienna 2013
La grande mostra, qui documentata, su Matisse e i Fauves, al Museo Albertina di Vienna (Matisse and the Fauves, in corso fino al 12 gennaio) che contiene ben 160 opere, alcune provenienti da prestiti concessi da ogni angolo del mondo, è stata la prima mostra di ampio respiro in Austria a rendere serio omaggio a questo importante movimento d’avanguardia francese, la cui poetica espressionista forse potrebbe distinguersi, eminentemente, per la sua ascendenza classico-mediterranea rispetto al carattere anticlassico ed alla costante disarmonica dell’espressionismo tedesco, volta alla contestazione del quadro come oggetto di fruizione superficiale ed edonistica.

Henri Matisse The Roofs of Collioure, 1905 Oil on canvas The State Hermitage Museum, St. Petersburg, Foto: The State Hermitage Museum /Vladimir Terebenin, Leonard Kheifets, Yuri Molodkovets © Succession H. Matisse/VBK, Vienna 2013
Dal 18 ottobre al 25 novembre del 1905 nella sala VII del Salon d’Automne al Grand Palais di Parigi, esposero i loro dipinti, oltre a Matisse, André Derain, Maurice De Vlaminck, Albert Marquet, Henri-Charles Manguin, Jean Puy, Louis Valtat, Kees van Dongen, Othon Friesz. Al di là dello scandalo e dell’assoluta incomprensione, da parte del pubblico e della critica, con cui vennero accolti Matisse e gli altri, conquistandosi il glorioso appellativo di “belve”, nato dalla malevola penna di Vauxcelles, oggi riesce fin troppo semplice non avere dubbi sul valore di quell’operazione svolta per porre in essere una riconversione totale della pittura, in quanto arte umanistica, protesa verso la rivelazione d’una nuova armonia. Ma l’atto di nascita del Fauvismo è da ricondursi all’inizio del luglio del 1905, quando Derain raggiunge Matisse, che si trova a Collioure da maggio, per una stagione di sperimentazioni pittoriche. Fu in quella stagione ed in quel luogo che i due artisti effettuarono la scoperta da cui ebbe origine una pittura che avrebbe superato l’impressionismo, giusto fino agli ultimi residui di mimesi realistica persistenti nella poetica simbolista ovvero, la scoperta della colorata effusione della luce mediterranea sul mare, come scrive Derain in una lettera a Vlaminck, “…una luce bionda, dorata che elimina le ombre”.

Henri Matisse Gipsy Woman, 1905/06 Oil on canvas Musée national d’Art moderne – Centre Georges Pompidou, Paris, Photo: Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais / Philippe Migeat © Succession H. Matisse/VBK, Vienna 2013
Ecco il punto, la negazione dell’ombra costituisce, esattamente, la scoperta decisiva per il passaggio, nella storia della pittura, dalla ricerca di un’armonia dei toni ad un’armonia di luce, la quale non può essere generata che attraverso relazioni di colore. “Si è fin qui diviso il tono per ravvivare separatamente i colori. – scrive Derain da Chatou, nel giugno del 1905 – Non è questa, io credo, la verità; credo che sia per aumentare la logica delle relazioni del valore cromatico e del colore. Insomma, è affermare questa tendenza che fa del colore una nuova materia nella quale si traspone come nel marmo o nel legno che si scompone in differenze logiche. Ma ciò che va fatto a ogni costo è riformare la concezione d’armonia che fa credere che per essere armonioso, bisogno essere grigio, ovvero presentare una superficie unita liscia senza scarti bruschi. C’è sempre armonia a partire dal momento in cui i toni si esprimono gli uni attraverso gli altri e la loro somma è un insieme assoluto ordinato” che è, perciò, luce pura come Derain scopre, al momento del suo arrivo a Collioure: “la negazione dell’ombra, tutto un mondo di luce abbagliante e di luminosità che si contrappone alla luce del sole; ciò a cui viene dato il nome di riflessi; (…) per la composizione è un rifiorire dell’espressione”. Luce fisica ma che si converte, subito, in rivelazione interiore.

André Derain Collioure, 1905 Oil on canvas Scottish National Gallery of Modern Art, Edinburgh, Photo: National Galleries of Scotland © VBK, Vienna 2013
Henri Matisse, dal suo approdo finale sulle rive del Mediterraneo, l’Hotel Régina che domina la collina di Cimiez dove si trasferisce nel 1938, riflette quasi estatico sulle seguenti considerazioni: ”da quassù tutto brilla e risplende (…). a volte mi dico che noi profaniamo la vita. a forza di vedere le cose, non le guardiamo più. Io dico che bisognerebbe cominciare dalla rinuncia. Turner viveva in una cantina buia. Una volta alla settimana faceva aprire la finestra e allora che incandescenza, che splendore”. Quel che accade è che sta incrinandosi il modello della conoscenza legato da sempre, originariamente, al predominio del modello ottico, dal momento che, ora con Matisse e i Fauves, l’universo ottico-visuale diurno, benché già con la concentrazione degli impressionisti sull’immagine impressa sulla retina, avesse subito una retrocessione nello spostamento dell’attenzione dalla realtà oggettiva alla ricezione soggettiva, retrocede ancor di più nell’universo notturno dell’auscultazione interiore che lo precede come la cantina buia di Turner rispetto all’apertura della finestra, è una vibrazione più sottile, una serie di armoniche rarefatte che risalgono all’origine, di segnali da ascoltare che aspettano di essere resi visibili.

Maurice de Vlaminck André Derain, 1906 Oil on canvas The Metropolitan Museum of Art, New York, Photo: bpk © VBK, Vienna 2013
“Credo solo a ciò che non vedo e unicamente a ciò che sento” aveva detto Gustave Moreau, il maestro ispiratore del movimento fauve; professore alla Ecole des Beaux-Arts di Parigi, incoraggiò sempre i suoi allievi a pensare al di fuori d’ogni canone o convenzione, per seguire le proprie visioni. Più tardi riecheggerà la frase di Paul Klee: “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile” e ciò che l’arte della pittura fauve rende visibile è la luce senz’ombra, e fusa in una dimensione solare che non appartiene alla percezione della vista esteriore ma alla natura della visione interna. Il vedere interiore è l’esatto opposto del vedere esterno. I Fauves sanno che il mondo esterno lo avvertiamo nelle visioni interiori, che non esiste separatamente dalle nostre emozioni più profonde e interne alla nostra anima. Matisse, nel periodo in cui accettò di progettare e realizzare la cappella di Vence, nel monastero delle suore domenicane di Vence, con pitture subito diventate famose e molto visitate, in occasione di questa opera scriveva: “L’artista o il poeta possiedono una luce interna che trasforma gli oggetti per farne un mondo nuovo, sensibile, organizzato, un mondo vivo che è in sé segno infallibile della divinità”.

Maurice de Vlaminck Pond at Ursine near Chaville, 1905 Oil on canvas Collection Triton Foundation, The Netherlands © VBK, Vienna 2013
Matisse fa del colore – fino ad allora concepito, insieme al disegno, solo come mezzo espressivo della pittura – una nuova materia incandescente sulla quale trasporre, attraverso una lotta tormentosa e appassionata, l’ideazione creativa che, tuttavia, ad un certo momento, sa risalire e crescere anche da sola in piena luce. “Ho sempre pensato – dichiara Matisse – che gran parte della bellezza di un quadro derivi dalla lotta impegnata dall’artista con i limiti del suo mezzo espressivo”. “Dipingere è una cosa ben difficile, è una lotta continua. Ma diventa così dolce quando la pittura viene da sola”. Quando essa diviene es-pressione, moto spontaneo di uscita verso la luce fino a diventare il ritmo della forma: è questo intermundio fra buio e luce, il regno dell’immaginale e del sogno, il luogo cui attinge e dove confluisce ogni ispirazione artistica.

Georges Braque Seascape, 1906 Oil on canvas Madrid, Museum Thyssen-Bornemisza © VBK, Vienna 2013
Se l’ispirazione dell’espressionismo tedesco reca in sé tratti di carattere perturbante e nichilista, dovuti tanto ad una certa tradizione anticlassica della pittura tedesca, quanto alla necessità di essere espressione di “un’epoca in cui tutto porta all’angoscia”, l’ispirazione artistica dei Fauves, e soprattutto di Matisse, invece, rinnova e restituisce alla sua epoca il senso di un’arte animata da un’irresistibile “vocazione alla felicità” operando così, ancora una volta, per la rinascita di quella medesima estetica (“mediterranea”) che viene dalla migliore tradizione classico-umanistica dell’arte italiana.

Henri Manguin The Prints, 1905 Oil on canvas Madrid, Museum Thyssen-Bornemisza © VBK, Vienna 2013
Risulterebbe persino banale ricordare come l’arte che sogna Matisse sia ancora venata da nostalgie classiche, sia “un’arte di equilibrio, di purezza, di tranquillità”, se ne sente l’eco non soltanto nelle due opere paradigmatiche del 1906, La gioia di vivere e La pastorale, dipinti ancora ispirati all’assolato paesaggio di Collioure, ma pur dopo l’ulteriore svolta della sua espressione pittorica e dell’avvento di quella “poetica dei sensi” che la connoterà fino all’ultimo. Si ha, in tal modo, con l’opera del pittore di Le Cateau-Cambresis, la riscoperta sotto altra veste del decorativo, dell’ornamento bello, insito nelle grandi composizioni ad affresco dell’epoca rinascimentale: “la composizione è l’arte di sistemare in modo decorativo i diversi elementi di cui la pittura dispone per esprimere i propri sentimenti”. Dopo la sua decadenza totale nel XXIX secolo e troppo spesso considerato elemento di second’ordine, il decorativo, così come il ludico tornava ad essere una componente essenziale della vita e quindi dell’arte; la pittura tornava ad essere godimento di un’esperienza cognitiva e sensuale, insieme, d’interiorità e d’estroversione creativa con la quale si comunica, non concetti, ma emozione fisica allo spirito che ne accolga in sé lo splendore. “Una simile vocazione alla felicità in un’epoca in cui tutto porta all’angoscia, è un esempio eroico di coraggio e di fede” ha scritto Laymarie dell’arte di Henri Matisse.
*Beniamino Vizzini nasce a Palermo nello stesso anno in cui escono Minima Moralia di Th.W. Adorno in Germania e L’uomo in rivolta di Albert Camus in Francia. Attualmente vive in Puglia. Fondatore con Marianna Montaruli e direttore della rivista TRACCE CAHIERS D’ART, curatore editoriale dal 2003 delle Edizioni d’arte Félix Fénéon. Cultore dell’autonomia dell’arte, concepisce l’esercizio della critica secondo le parole di O. Wilde come “il registro di un’anima”, decidendo di convertire questa sua passione in impegno attivo soprattutto sul versante pubblicistico-editoriale della comunicazione intorno all’arte ed alla storia dell'arte. edizionidartefelixfeneon.blogspot.it
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