Emilia Pérez conquista i riflettori internazionali con sei candidature nelle shortlist degli Oscar 2025. Il film è il rappresentante ufficiale della Francia nella categoria Miglior Film Internazionale e vanta nomination per colonna sonora originale, trucco e acconciatura, sound design e ben due nella categoria Miglior Canzone Originale. Tra i 15 film candidati al Miglior Film Straniero anche Vermiglio, diretto da Maura Delpero.
Jacques Audiard, noto per capolavori come Il profeta e De battre mon cœur s’est arrêté, ha rivelato di aver tratto ispirazione dal romanzo Écoute di Boris Razon. “Sei anni fa mi sono imbattuto in un personaggio secondario, uno spacciatore transgender deciso a sottoporsi a un intervento chirurgico. Mi affascinò, ma nel libro non veniva approfondito. Da lì ho iniziato a costruire una nuova storia”.
La trama ruota attorno a Rita, un’avvocatessa brillante e spregiudicata, la cui carriera in un prestigioso studio legale è costruita su compromessi e cinismo. La sua routine viene stravolta da una proposta fuori dal comune: aiutare un boss del cartello messicano della droga, Manitas del Monte, a cambiare sesso e inscenare la propria morte per poter rinascere come Emilia Pérez.
La scena iniziale ci catapulta in un Messico reinventato, teatrale, con Rita (Zoe Saldaña, in una delle sue prove migliori) immersa in una folla in fermento. L’attrice recita e canta un’arringa che ha la forza di un manifesto, mentre la fotografia di Paul Guilhaume alterna contrasti intensi e una luce quasi naturale, che riflette l’ambiguità di una storia sospesa tra realtà e immaginazione. Clément Ducol, autore delle musiche, e Camille, che ha scritto i testi, hanno lavorato con le attrici per dare vita a performance che esplodono di emozione, mentre Damien Jalet ha curato coreografie che sembrano nascere dal corpo stesso dei personaggi. Audiard ha definito questo processo “estenuante ma entusiasmante”, e il risultato è evidente in ogni sequenza musicale.
Il cuore del film, però, è il rapporto tra Rita ed Emilia. Zoe Saldaña e Karla Sofía Gascón portano sullo schermo un’alchimia potente, che rende credibile ogni sfumatura dei loro personaggi. Rita si trova a confrontarsi con una sfida che va ben oltre il suo ruolo di avvocata: aiutare Emilia significa anche mettere in discussione se stessa e il mondo in cui vive. Emilia, l’attrice transgender Karla Sofía Gascón, non è una figura lineare, non può cancellare il dolore e la violenza del passato, ma può provare a costruire una nuova identità, un passo alla volta. Il cambiamento di sesso è un tentativo di liberarsi dalla mascolinità tossica e di riscrivere il proprio destino. Audiard si spinge oltre le etichette di genere, mettendo in scena un delicato equilibrio tra vulnerabilità e speranza da un lato, e violenza radicata dall’altro. “Una trasformazione fisica può davvero cancellare secoli di oppressione e brutalità? Probabilmente no”, sembra suggerire il regista con la sua narrazione.
Eppure, non tutto funziona perfettamente. Il racconto, così ricco di ambizioni, rischia a tratti di perdersi. Il percorso di redenzione di Emilia, viene risolto in modo troppo frettoloso: la creazione di un’associazione per le vittime del narcotraffico, avviata con un semplice volantino e una domanda retorica, manca della profondità necessaria per affrontare un tema così complesso.
Ma forse è proprio in questa imperfezione che risiede la forza di Emilia Pérez. Uscito negli Stati Uniti su Netflix a novembre e atteso nelle sale italiane il 9 gennaio, è un’opera che ha il coraggio di andare oltre, capace di scuotere le convenzioni e ridefinire i confini del racconto cinematografico. Gli Oscar, si sa, amano le sorprese, e il film di Audiard potrebbe rivelarsi quel jolly in grado di sovvertire ogni previsione. In un’epoca frammentata tra schermi e linguaggi, Emilia Pérez è un promemoria potente del valore del cinema: un’arte che, quando osa, sa ancora essere audace, emozionante e profondamente trasformativa.