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Yiyun Li: passeggiando tra premi, ricordi e radici

L’autrice cinese che ha conquistato la letteratura americana

Michele CrescenzobyMichele Crescenzo
Yiyun Li: passeggiando tra premi, ricordi e radici

Yiyun Li in un ritratto di Pia Tacconi

Time: 4 mins read

Novembre 2024. Manhattan, New York. Yiyun Li cammina veloce stringendosi nel cappotto blu navy. Un sole amaranto sta tramontando fra i grattacieli della Broadway.

Il cellulare vibra. Yiyun Li si ferma, controlla lo schermo e aggrotta la fronte. A.M. Homes è in ritardo per il loro caffè.

L’autrice cinese scuote il capo, si volta intorno e si avvicina a una bancarella di libri usati. Uno dei titoli attira il suo sguardo: una vecchia edizione di un libro di Bernard Malamud. Sorride, ricordando il giorno in cui aveva vinto il premio PEN/Malamud, due anni prima. Le parole della giuria sono ancora impresse nella sua memoria: “Sarebbe già straordinario, per uno scrittore che ha imparato l’inglese tardi, padroneggiarlo con tale maestria. Ma i racconti di Yiyun Li sono qualcosa di più: una serie di finestre realizzate su vite nascoste, che insieme formano un ponte artistico tra la sua terra natale e quella adottiva. Ogni storia è una scoperta, appena dissotterrata.” Quel riconoscimento l’aveva entusiasmata quasi più del PEN/Faulkner Award, vinto con Il libro dell’oca. All’epoca, aveva risposto con sincera gratitudine: “Mi considero un’appassionata praticante di racconti brevi e sono profondamente emozionata da questo premio. Ho insegnato Malamud per vent’anni, e ricevere un riconoscimento che porta il suo nome è per me un onore personale.”

Yiyun Li osserva un grosso edificio di mattoni rossi con insegne luminose in caratteri cinesi. Al piano terra, intravvede una drogheria che espone casse di litchi freschi, radici di zenzero e sacchi di riso accatastati. L’autrice attraversa la strada e si dirige verso Canal Street, in direzione Chinatown.

Fin da giovane, Yiyun Li sapeva di voler lasciare la Cina. Non era mai stata una questione di se, ma di quando.

Nata a Pechino nel 1972, si era laureata in biologia cellulare e sembrava destinata a diventare scienziata. Ma durante una fiera del lavoro aveva capito che le opportunità migliori erano riservate agli uomini. Quando, nel 1996, si presentò la possibilità di iscriversi a una scuola di specializzazione negli Stati Uniti, la colse al volo. Più tardi al China Books Review avrebbe detto: “Penso che la scuola di specializzazione fosse solo una scusa per lasciare la Cina.” Non rifiutava la sua identità cinese, ma si era allontanata per sfuggire a ciò che percepiva come il bisogno della Cina di “rivendicare” le persone. Nella stessa intervista dichiarò: “Una volta che sei cinese, sei cinese per sempre. Ti mettono un marchio, vogliono possederti. E io non voglio essere posseduta.”

Yiyun Li/Librairie Mollat/Wikipedia

La scrittura arrivò per caso. Al liceo, partecipò a un concorso di propaganda e vinse, suscitando l’invidia dell’amica che l’aveva spronata a partecipare. In Cina, leggeva Dylan Thomas e Thomas Hardy, mentre nascondeva i libri di Hemingway durante le lezioni di dottrina del Partito. Nel 2003, lasciò la carriera scientifica per iscriversi al Writers’ Workshop dell’Università dell’Iowa. La scelta si rivelò vincente: oggi è autrice di undici libri, i suoi racconti sono stati pubblicati su The New Yorker e The Paris Review. Tra i suoi premi spiccano il PEN/Hemingway Award, il PEN/Jean Stein Award e il PEN/Faulkner Award.

La scrittura di Yiyun Li affronta temi difficili con una prosa malinconica, schietta e a tratti sarcastica. Le sue opere esplorano la perdita, le difficoltà e le vite ordinarie sconvolte da eventi politici. I suoi romanzi spesso assumono la forma di lunghe conversazioni, intervallate da riflessioni, momenti di azione e domande sul senso della vita.

I suoi primi lavori, come Più gentile della solitudine (2014) e I girovaghi (2009), sono ambientati in Cina e radicati nella storia del Paese. Il primo racconta l’avvelenamento di uno studente manifestante di piazza Tienanmen, mentre il secondo, situato nel 1979, subito dopo la Rivoluzione Culturale, descrive una società che tenta di risollevarsi dagli anni di Mao. Molte delle sue raccolte di racconti riflettono le trasformazioni tumultuose e le oppressioni della Cina moderna dove i suoi protagonisti sono spesso vittime di un sistema corrotto e repressivo. Alcuni testi, come Immortality (2003) e Persimmons (2004), mettono in evidenza il peso della politica: il primo narra la storia di un sosia di Mao, il secondo il tentativo di un contadino di ottenere giustizia per la morte del figlio. Il 2012 segnò per lei un periodo buio: un crollo nervoso e due tentativi di suicidio la portarono a mettere in pausa la narrativa. Nel 2016, tornò in libreria con il saggio Caro amico dalla mia vita scrivo a te nella tua, in cui esplora la complessità del suo passato, inclusa l’infanzia segnata da una madre “dispotica e vulnerabile” e la sua fuga nella letteratura.

La perdita del figlio adolescente per suicidio nel 2017 influenzò profondamente la sua scrittura. Dove le ragioni finiscono (2019) infatti è una conversazione immaginaria tra una madre e il figlio defunto, intrisa di dolore e amore.

Gli ultimi due libri di Yiyun Li sono molto lontani dalle atmosfere cinesi, Il libro dell’oca (2022) è una storia ambientata nella Francia del dopoguerra che vinse il PEN/Faulkner Award for Fiction nel 2023, mentre Wednesday’s Child (2023) è una raccolta di racconti tutte originariamente apparse su The New Yorker, Zoetrope ed Esquire. Il libro è stato finalista per il Premio Pulitzer per la narrativa.

Yiyun Li si ferma un momento, osservando le lanterne rosse, i mercati affollati, gli aromi speziati e i ristoranti tradizionali di Chinatown. Ricorda un episodio raccontato al New Yorker: una studentessa cinese in un college americano le aveva detto un giorno che quella che descriveva non era la Cina che voleva che la gente vedesse. Per Li, quella frase rifletteva una mentalità tipicamente cinese, riassumibile nel detto: “La vergogna della famiglia non deve essere mostrata all’esterno.” La sua risposta fu diretta: “Non scrivo propaganda. Se non ti faccio sentire orgogliosa, mi dispiace. Ma, allo stesso modo, se scriverò dell’America, non sarà per mostrarne solo il lato bello. Io scrivo della vita, ovunque la racconti.”

Sorridendo tra sé, pensa che ha sempre mantenuto fede a quelle parole.

Sente vibrare di nuovo il telefono. A.M. Homes l’aveva chiamata più volte. La richiama.
“Dove sei?” chiede l’amica.
“Sono andata a fare una passeggiata nel mio passato.”

 

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Michele Crescenzo

Michele Crescenzo

Michele Crescenzo legge e scrive, appena può. È nato a Napoli nel’77 dove si è laureato in Sociologia. Vive a Milano dal 2002, dove lavora in una multinazionale americana. La sua quotidianità è alternata da numeri e parole. Da lunghissime call conference internazionali alla stesura di articoli letterari. Scrive recensioni per Satisfiction. Gestisce “Ti ho Rivista” tabloid sul mondo delle riviste indipendenti italiane. Organizza eventi culturali alla libreria milanese Gogol&Company. Cura la column “Gotham's Writers” su La Voce di New York. Nel tempo libero scrive: Nel 2009 ha vinto il Premio Chatwin, concorso internazionale sul viaggio. Ha pubblicato racconti per antologie e riviste letterarie (‘tina, Pastrengo, Talking Milano, Lettura la newsletter del corriere della sera).

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