Maggio 2023. Burdett, Stato di New York. Tama Janowitz esce di casa indossando pantaloni da equitazione beige, stivaletti di pelle consumata e una maglietta rosa. Il suo barboncino Zizou Zidane la segue scodinzolando fino alla Subaru Outback. Lei apre la portiera e il cane ci sale dentro. Tama Janowitz lo richiama e lo fa scendere dall’auto. Mentre osserva Zizou Zidane che abbassa le orecchie e ubbidisce, pensa che per fortuna adesso ne ha solo uno di cane, un tempo ne ha avuti ben otto, con nomi come Gertrude Stein e Candy Darling.
Poggia lo zaino sul sedile passeggero, da una delle tasche cade una confezione di Nicorette, i dolcetti per il suo cavallo Fox. Si siede al posto di guida, freccia a destra e parte. L’auto si immette nella strada e, in silenzio, attraversa il paesaggio piatto della campagna costeggiando i pali della luce che si succedono con regolarità. Tama Janowitz si passa una mano sui capelli biondo platino e accelera.

Si trasferì a Ithaca nel 2011 per prendersi cura della madre, la defunta poetessa Phyllis Janowitz e – due anni dopo – acquistò una fattoria in rovina del 1850 circondata dalla foresta Finger Lakes National. Nel suo ultimo libro, Scream: A Memoir of Glamour and Dysfunction, racconta gli ultimi anni con la madre, il suo burrascoso rapporto con il padre appassionato di armi da fuoco e approfondisce la scelta di vivere nella parte settentrionale dello stato di New York popolata da personaggi locali stravaganti e bizzarri direttori di supermercati che mettevano insetticidi nel reparto bevande. Oggi è una persona completamente diversa da quando, il 14 luglio 1986, posò sulla copertina del New York Magazine in abito da sera in un congelatore per la carne. Il giornale intitolava “She’ll Take Manhattan”.
Tama Janowitz arriva nella sua fattoria a Newell Farm. Afferra lo zaino, mette i dolcetti in una tasca e si avvicina al recinto dove Fox sta pascolando. Appena la vede nitrisce, batte gli zoccoli sul terreno e si dirige veloce verso di lei.
In un’intervista al The Cut ha dichiarato che la fattoria le è di grande conforto e che ha iniziato a cavalcare per caso. “Non avevo assolutamente alcun senso dell’equilibrio ed ero sconvolta per mia madre e per la mia vita ma poi cavalcando è successo qualcosa di magico: mi sono connessa mentalmente con il cavallo e mi sono sentita subito meglio”.
Fox spinge forte il muso verso lo zaino che ha sulle spalle, ha sentito l’odore dei Nicorette. Lei lo allontana dalla recinzione e il cavallo arretra camminando all’indietro e muovendo veloce la coda nera. Deve essere più dura con lui, deve essere più brava a tenerlo a distanza. Fox é ancora troppo selvaggio per i suoi gusti.
In quel momento sente un bip dal cellulare. Infila la mano nello zaino e afferra l’Iphone. C’è una nuova email nella posta in arrivo. Proviene dalla sua agente letteraria. Fa un passo indietro dalla staccionata e la apre. Una nuova casa editrice italiana di nome accēnto ha chiesto i diritti per ripubblicare Schiavi di New York.
Tama Janowitz era una laureata di ventotto anni del Barnard quando quella sua raccolta di racconti del 1986 la trasformò in una bambina prodigio della letteratura americana.
Il libro diventò rapidamente un best-seller e lei divenne subito un personaggio pubblico apparendo sulla copertina del New York Magazine, facendo apparizioni come ospite su MTV e Late Night with David Letterman, organizzando eventi con l’amico Andy Warhol e comparendo in una campagna pubblicitaria per Amaretto di Saronno. Fece parte del “literary brat pack” di nuovi scrittori, insieme a Jay McInerney (che non le ha mai perdonato di essersi prestata alla pubblicità) e Bret Easton Ellis. Nel 1989, il libro fu adattato in una versione cinematografica.
Non capita spesso che le scrittrici diventino famose e lei lo era diventata praticamente da un giorno all’altro.
Tama Janowitz dichiarò al Tablet Magazine che Vladimir Nabokov le disse che lei era come “un’orefice. Le sue frasi sono come collane di pietre preziose”. Ed è vero soprattutto per Schiavi di New York, dove i racconti sono pieni di immagini sbalorditive e osservazioni taglienti mentre racconta di affitti elevati, droga, arte e lavori mal pagati. L’ incipit del primo racconto della raccolta è “da quando mi ero messa a fare la puttana, ho dovuto avere a che fare con peni di ogni forma e dimensione” e inoltre “Strano come per la maggior parte del tempo andassimo d’accordo, ma poi ci fossero dei periodi in cui era una vera fortuna che tenessimo i coltelli nel cassetto e non in vista”, infine a New York, “gli uomini o sono omosessuali oppure schiavi pure loro” spiega Eleanor alla sua amica Abby di Boston “l’unica soluzione è quella di fare soldi per permettersi un appartamento e uno schiavo, cioè un partner. Se hai soldi puoi minacciare lo schiavo di andarsene, se non hai soldi lo schiavo diventi tu.”
Micael Chimienti sul “Il libraio” sottolinea quanto la psicologia dei personaggi – all’apparenza frivoli e macchiettistici – sia uno dei punti di forza della penna di Janowitz, capace di alternare scene comiche al limite del grottesco a pensieri autentici dal sapore esistenzialista.
Tra glamour e disfunzionalità, tra ironia e schiettezza, Tama Janowitz ha raccontato le storie di frustrazione, dubbi e ansie nell’incanto e poi nel disincanto di una città come New York. Veronica Raimo nell’introduzione all’ultima edizione italiana afferma che questo libro è ambientato in un’era dello spirito: gli anni ’80 a New York. È un tempo che è stato cristallizzato e celebrato da chi l’ha vissuto, ma anche da chi l’ha solo sentito raccontare, come capita quando abbiamo a che fare con un presente strabordante: la Parigi anni ’20, la Roma anni ’60, la San Francisco anni ’70.
Dopo Schiavi di New York, Tama Janowitz scrisse Un cannibale a Manhattan (Bompiani, trad. di Rossella Bernascone) del 1988 che non ebbe successo, e anche i due romanzi successivi, Pamela e i suoi vestiti (Bompiani, 1993 trad. di Rossella Bernascone e Guido Montegrandi) e Il diario intimo di Peyton Amberg (Newton & Compton, 2005 trad. di Valeria Leotta) ricevettero recensioni negative. All’inizio degli anni Duemila, si era trasferita a Prospect Heights, in Brooklyn, con il marito Tim (da cui ora è separata) e la figlia Willow. Continuava a scrivere, ma si stava lentamente disinnamorando della città. “Divenni sempre più solitaria”, disse Janowitz al New York Post. “Vedevo qualcuno e mi chiedeva: ‘Sei andata all’inaugurazione di quel ristorante?’ No. ‘Sei andata al gala?’ No. Perché quando ci andavo, tutti parlavano solo di sé, ed era noioso da morire. Non vivevo più la città”. Ha lasciato Brooklyn per Ithaca, nel 2011 per stare vicino alla madre e poi non se n’è più andata.
Tama Janowitz si passa una mano sui capelli biondo platino. Le avevano raccontato di come oggigiorno sia di moda invidiare la New York più squallida ma creativa degli anni ’70 e ’80. Marisa Meltzer del giornale The Cut le ha anche detto che spesso la copertina di Schiavi di New York compare su Instagram e Tumblr, con la didascalia “lettura obbligatoria per tutti i miei artisti”. Ma l’unico social media su cui è presente Janowitz è Facebook, quindi non ne aveva idea.
Si dirige verso la recinzione. Ora che la madre di Janowitz è morta e sua figlia Willow è grande, potrebbe tornare a vivere in città, ma non ha alcuna intenzione di farlo. Ha vissuto nel West Village e a Prospect Heights per quasi 40 anni. Come disse a Marisa Meltzer “Non c’è più nulla per me in quella città.”
Tama Janowitz entra nel recinto e cammina verso il suo cavallo. Afferra la sella e si issa sopra la groppa di Fox. L’animale allarga le zampe e s’impenna piano di lato, lei si inclina in avanti con il petto appoggiato alla criniera, la faccia vicina all’orecchio. “Tranquillo, non vado da nessuna parte. Io non sono più una schiava di New York”. Appena Fox si calma, lei prende le redini e si avvia al galoppo all’interno della sua amata campagna.