La Luna ha ispirato poeti e artisti di ogni epoca, è stata meta ricorrente di molti viaggi fantastici e racconti fantascientifici, letterari ma anche cinematografici. Già dai suoi albori, il cinema si è infatti interessato ad essa, e ben presto il rapporto Luna-Cinema è diventato epocale: l’immagine del volto del nostro satellite con una smorfia di dolore per la navicella spaziale conficcata nel suo occhio destro è da tempo diventata iconica, utilizzata per pubblicità, manifesti, ecc. Si tratta in realtà di un fotogramma di un celebre film, Il viaggio nella Luna di Georges Méliès del 1902, che possiamo considerare il primo film di fantascienza della storia. A questo ne seguirono in più di un secolo tanti altri, alcuni dei quali indimenticabili, di grande successo.
Sebbene non sia quindi più una novità, la Luna conserva comunque margini di ulteriore esplorazione cinematografica, come attesta la piacevole, arguta commedia Fly Me to the Moon, diretta da Greg Berlanti, (Il club dei cuori infranti, Tre all’improvviso, Love-Simon), con fresca e coinvolgente sceneggiatura – ispirata dal romanzo Lasciami volare di Keenan Flynn e Bill Kirstein – della trentenne, talentuosa Rose Gilroy (The Pack, Bella e figlia dell’attrice René Russo e del regista Dan Gilroy) e ben interpretata da un eclettico, ottimo cast: Scarlett Johansson, Woody Harrelson, Channing Tatum, Jim Rash, Ray Romano e Peter Jacobson.

Il film è un’intelligente ed emozionante commedia romantico-drammatica ambientata nel contesto dello storico allunaggio NASA dell’Apollo 11 (con la grande impresa del 20 luglio 1969, quella del primo passo dell’uomo sulla Luna, il comandante Neil Armstrong): la peculiarità di Fly Me to the Moon risiede nell’approccio – ma solo in parte – al tema della cospirazione, al controverso successo di quella storica spedizione, focalizzandosi invece sul come essa sia stata soprattutto una questione di marketing (dopotutto, decisamente più serio e impegnato nel raccontare come gli eventi potrebbero essere andati c’è il notevole Capricorn One, del 1977, di Peter Hyams).
L’approccio di Rose Gilroy alla teoria del complotto è leggero, privilegiando l’immagine e non l’aspetto. La Guerra Fredda divampa da due decenni ormai e il blocco sovietico è in vantaggio nel dominio dello Spazio fin dal lancio del primo satellite Sputnik. Le case degli americani sono giornalmente invase dalle immagini, non certamente allegre, che arrivano dal Vietnam: è proprio in questa condizione generale di disinnamoramento per il Paese che le parole del presidente americano J.F. Kennedy, sulla necessità di fare qualcosa di straordinario entro la fine del decennio, devono risuonare più potenti che mai agli yankees. La Luna sembra così lontana – con l’opinione pubblica che etichetta l’impresa come un costoso fallimento – eppure è imprescindibile: c’è un bisogno grande di vendere la Luna agli americani, come prevede il “Progetto Artemis” (da non confondere con il “Programma Artemis” della NASA, che dovrebbe riportare gli astronauti sulla Luna nel 2025, ndr).
Entra allora in scena Kelly Jones (Scarlett Johansson), ragazza prodigio del marketing – voluta dal funzionario della NASA, e suo mentore, Moe Berkus (Woody Harrelson) – il cui compito è proprio quello di “vendere il pacchetto lunare” al popolo statunitense. Si scontra però con lo scetticismo di Cole Davis (Channing Tatum), direttore del programma di lancio, creando così scompiglio nel suo già difficile compito.

Ma Kelly Jones, pur nelle sembianze di Marylin Monroe, è un “rullo compressore”: “Sai che non potresti arrivare senza di me”, dice a Davis, che non vuole che gli astronauti siano intervistati e quindi distratti dalla mondanità. Nessun problema, lei assume degli attori!
I volti di Armstrong, Aldrin e Collins finiscono su spot di orologi, macchine e vari prodotti commerciali perché i cittadini devono cominciare a credere al progetto anche senza accorgersene: il mondo intero diviene spettatore di un vero e proprio “film” diretto dalla NASA: l’America ha salvato la Terra dalle Guerre Mondiali e adesso deve essere guardata mentre poggia i piedi anche sulla Luna!
Quando la Casa Bianca ritiene che la missione sia troppo importante per fallire (“Il mondo intero ci guarderà, non possiamo permetterci di perdere contro i russi. Dobbiamo girare una versione di riserva”, dice Woody Harrelson), Kelly viene incaricata di inscenare un finto sbarco sulla Luna come piano di riserva: a poche centinaia di metri da dove si sta costruendo la navicella lunare, un capannone viene adibito a set per poter filmare un finto allunaggio e a dirigerlo viene chiamato un regista (Jim Rash) che si crede Stanley Kubrick (2001: Odissea nello Spazio esce nel 1968, cioè un anno prima dello sbarco americano sulla Luna, ma il film del finto sbarco sulla Luna venne effettivamente girato dalla Metro Goldwin Meyer negli “studios” di Londra, sotto la regia proprio di Kubrick, ndr).
A divertire in Fly Me to the Moon è l’accuratezza e la meticolosità con cui viene replicata la superficie lunare senza però che il film ci dica effettivamente qualcosa su di essa. Niente di quello che vediamo sembra vero, tutto sembra set, sia quello effettivo e dissacrante che quello teoricamente “reale”, ma la riuscita arguzia sta proprio nel voler alimentare l’equivoco di cinquantacinque anni di storia.

Alcune scene del film sono state girate sul posto, con la NASA che ha concesso il permesso alla produzione di filmare al Kennedy Space Center. E, sebbene il film utilizzi nomi di fantasia per i protagonisti, ci sono attori che interpretano persone reali, incluso lo sfortunato equipaggio dell’Apollo 1 (il 27 gennaio 1967 la capsula prese fuoco uccidendo i tre astronauti a bordo, Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee, ndr) e gli astronauti dell’Apollo 11.
Anche la posizione di Kelly Jones alla NASA non è del tutto fittizia: l’agenzia spaziale riuscì a commercializzare la Luna attraverso il lavoro di un team di specialisti di pubbliche relazioni. Fly Me to the Moon è un film che molto probabilmente farà felici più i cospirazionisti che non chi confuta le loro tesi, ma anche senza sapere nulla a riguardo, resta una domanda: se ci siamo stati veramente, come mai ancora oggi sembra così difficile tornarci? Solo perché “non c’è più la tecnologia di una volta”?
Nota finale. Nella famosa Fly Me to the Moon Frank Sinatra canta un amore così travolgente da portarlo tra le stelle e fino alla luna… chissà se l’autore del brano, Barth Howard, aveva in mente, nel 1954, che l’essere umano di lì a quindici anni sulla Luna ci sarebbe davvero arrivato!