A Fosco Maraini i mondi della fotografia e del reportage etnico devono molto, forse tutto: lui nacque a Firenze il 15 novembre 1912 da Antonio Maraini, noto scultore di antica famiglia svizzera (ticinese) e da Edith (Yoï) Crosse, scrittrice di padre inglese e di madre ungaro-polacca. Sposò nel 1935 la pittrice Topazia Alliata (1913-2015), discendente di un’aristocratica casata siciliana e come lui appassionata di alpinismo e la coppia ebbe tre figlie: Dacia (n. 1936), Yuki (1939-1995) e Toni (n. 1941).

La fama di Fosco Maraini è legata principalmente al suo spirito libero e avventuroso e alla sua inesauribile curiosità: fu per indole un grande viaggiatore e per passione uno straordinario studioso, perfettamente a suo agio sia con la scrittura sia con la fotografia, adoperate insieme per esplorare e per raccontare il mondo, come testimoniano i suoi numerosi libri, alcuni dei quali diventati best-seller. Accanto a una scrittura elegante e incisiva, Maraini elaborò però un linguaggio fotografico di grande umanità, capace di esprimere una profonda ricchezza interiore che si rispecchia nella complessità del mondo. Ancora oggi le sue immagini non sembrano risentire del tempo ma appaiono più che mai attuali.

Ora, a vent’anni dalla sua scomparsa, il MUSEC di Lugano celebra la fotografia di Fosco Maraini con la più ampia retrospettiva che gli sia mai stata dedicata, frutto di una ricerca avviata due anni fa che ha coinvolto sin dall’inizio le principali istituzioni che ne conservano e valorizzano l’opera. È così possibile assegnare definitivamente a Maraini il ruolo che gli spetta nella storia della fotografia e, al contempo, riflettere a più livelli sui valori portanti di una forma d’arte che oggi, di fronte alle nuove frontiere della tecnologia, s’interroga sulla sua stessa sostanza. Una riflessione volta a sottolineare come ogni rappresentazione della realtà, concreta o astratta che sia, ha senso nel tempo soltanto se è in grado di restituire un universo spirituale e un’originale visione del mondo.

L’esposizione allestita sui due piani nobili di Villa Malpensata a Lugano, sede del MUSEC, presenta infatti ben 223 fotografie, alcune delle quali inedite, realizzate fra il 1928 e il 1971 in Europa e in Asia. Ben 170 immagini ritraggono luoghi e genti dell’Italia e del Giappone, le due patrie di Maraini (perchè per molti anni visse a Sapporo, nell’isola di Hokkaido): la prima per nascita e per cultura e la seconda per destino e affinità elettiva. La scelta delle fotografie è frutto di una approfondita esplorazione degli archivi fotografici di Maraini, dalle centinaia di pubblicazioni illustrate che hanno permesso dapprima di definire i capitoli con cui strutturare il progetto, fino alle migliaia di negativi conservati dal Gabinetto Vieusseux di Firenze: tenuto conto delle «scoperte» in corso d’opera, dei negativi mancanti o inutilizzabili e delle scelte comparative, necessarie a garantire armonia e coerenza visiva, la selezione ha così preso corpo.

Il percorso dell’esposizione curata da Francesco Paolo Campione, direttore del MUSEC, restituisce le sfaccettature della fotografia di Maraini: una fotografia di uomini e culture; di paesaggi che si aprono sull’infinito; di architetture d’interni in cui si riverberano le geometrie segrete del mondo interiore; di particolari che si svelano fra le trame di una realtà interpretata con intelligenza rara e descritta con una colta e finissima estetica. Sono immagini “carpite all’empresente”, come Maraini amava dire con uno dei suoi sorprendenti neologismi. Immagini, cioè, colte in quell’attimo irripetibile in cui all’occhio è dato percepire le movenze del cuore e dell’anima. Sempre con sguardo lieve e una sottilissima ironia, come il Cittadino della Luna in Visita d’Istruzione sulla Terra, il “citluvit” da egli teorizzato, che osserva silenziosamente e registra ogni cosa, che si appassiona fino a innamorarsi dell’oggetto del suo studio, ma che resta distaccato dalle cose perché “capire è il fine ultimo di tutta l’operazione”.

Le quattordici sezioni dell’esposizione conducono dapprima il visitatore a scoprire gli ESORDI (1928-1937) della fotografia di Maraini, con i paesaggi montani, le macrofotografie naturalistiche, le sperimentazioni ispirate al futurismo e il primo vero reportage di viaggio, tra i cadetti della nave scuola della Marina italiana Amerigo Vespucci. Si prosegue con SEGRETO TIBET (1937 e 1948) che racconta un mondo himalayano “eccessivo, gigantesco, titanico e satanico insieme”, che contrastava apertamente con la natura bonaria ed estroversa e la fragilità antica dell’umanità che lo popolava.

L’Italia meridionale è protagonista di NOSTRO SUD (1946-1956): il ritratto di uomini, donne e bambini al centro della propria cultura e della propria storia; un ritratto che ne rivela i sentimenti e la bellezza che derivava da una segreta armonia con il paesaggio, con le architetture e con la variegata molteplicità degli oggetti e delle occasioni quotidiane. Varietà e contrasti della storia, del paesaggio e delle persone sono raccontati in APPRODO IN GRECIA (1951), che evidenzia al contempo l’originale rimescolio di culture europee e orientali che caratterizzavano la Grecia moderna.

La sezione I MOSAICI DI MONREALE (1951) presenta alcuni esiti di un ampio censimento fotografico dei mosaici normanni di Sicilia, condotto sotto la direzione scientifica dello storico dell’arte bizantina Ernst Kitzinger (1912-2003), con il quale Maraini strinse una duratura amicizia. Il Giappone, un Paese cui Maraini fu molto legato, è al centro di tre sezioni. La prima, UN CITLUVIT ATTERRA IN HOKKAIDŌ (1939-1971), è incentrata sulle ricerche di Maraini tra gli Ainu, il popolo di origine siberiana che costituiva la più antica etnia del Giappone e manteneva ancora viva una parte dei propri secolari costumi. La seconda, L’ETERNO GIAPPONE (1953-1963), mostra la profonda conoscenza di Maraini delle consuetudini, del sistema sociale, ideologico ed espressivo giapponese che, refrattario ai cambiamenti, soggiaceva da secoli sotto il fuoco della storia. Maraini riuscì così a ritrarre i segreti delle persone, dei luoghi, degli eventi e, in definitiva, il carattere stesso, l’ethos, di un Paese e di un popolo. A un Giappone solare e vitale ma sconosciuto ai più, è infine dedicato il celebre reportage subacqueo sulle PESCATRICI DI HÈKURA (1954), cui il Museo delle Culture aveva dedicato un’esposizione nel 2005 (L’incanto delle donne del mare) che da allora ha conosciuto numerose reiterazioni.

Assieme al Giappone, l’altra passione di Maraini è senz’altro stata la montagna. Le fotografie di KARAKORUM E ALTRE MONTAGNE (1937 e 1958-1959) ritraggono con mirabile contrasto gli elementi essenziali del mondo himalayano: sentieri, crepacci, morene, canaloni, creste, torrioni, vette, distese di neve e ghiacciai scolpiti dalla luce e attraversati dal respiro dell’infinito: perfetta epitome illustrata di tutte le montagne del mondo. Ed è tra le montagne del Pakistan, in una valle discosta, che Maraini ebbe modo di scoprire i Kalash, popolo dedito ad antiche pratiche sciamaniche cui è dedicata la sezione GLI ULTIMI PAGANI (1959): un inatteso scenario arcaico che la fotocamera di Maraini immortalò a futura memoria.

Un reportage commissionatogli sulle PIETRE DI GERUSALEMME (1967) finì per cedere il passo al ritratto crudo delle ferite inferte alla città dalla Guerra dei Sei Giorni (5-10 giugno) che, tre mesi prima dell’arrivo di Maraini, aveva messo in scena l’ennesima rappresentazione del suo eterno dramma; un ritratto cui non fu estranea anche un’attenta ricerca visuale delle geometrie della distruzione. L’ultima sezione dedicata ai reportage di viaggio ci riporta in Asia. LETTERE DALL’ASIA (1962) avrebbe dovuto essere il titolo di un libro fotografico che non fu mai realizzato; le immagini del reportage, rimaste perlopiù inedite, esprimono tratti emblematici di umanità, rivelando sotto diverse angolature la sensibilità artistica di Maraini e la sua folgorante e raffinata capacità di interpretazione delle culture.

Le sezioni che chiudono l’esposizione, LE NUVOLE (1930-1957) e I COLORI DEL FUOCO (1956), illustrano due interessi tematici di Maraini. L’amore per le nuvole era nato nella luce diafana della campagna toscana della sua infanzia; per tutta la vita Maraini avrebbe osservato le nuvole, le nebbie e i vapori, con inesauribile piacere e con il gusto ludico di accostarne le forme metamorfiche alle figure del suo nutritissimo immaginario visivo e letterario. Le immagini tratte da un reportage in alcuni stabilimenti siderurgici della Falk di Sesto San Giovanni (MI) sono un esempio dell’assidua pratica della fotografia a colori da parte di Maraini, caratterizzata da un linguaggio generalmente più disinvolto di quello adoperato per la fotografia in bianco e nero, nella quale trovava spazio l’aspetto più artistico e meditativo della composizione.

Le opere esposte, che entrano a far parte delle collezioni fotografiche del MUSEC, sono state realizzate con la tecnica della stampa giclée su carta baritata, sulla base delle scansioni dei negativi effettuate appositamente. Laddove possibile, ciascuna immagine è stata confrontata con le riproduzioni d’epoca realizzate quando Maraini era in vita, così da avvicinarsi il più possibile al gusto e alla sensibilità artistica dell’autore. Un omaggio postumo a Fosco Maraini, che morì esattamente 20 anni fa, l’8 giugno 2004.


