Quali sono i criteri di scelta attraverso cui un professionista può responsabilmente decidere se, quando, in quale contesto ed entro quali limiti venir meno alla fiducia del proprio cliente, rivelando ad estranei informazioni apprese (e proprie valutazioni maturate) all’interno della relazione con lui?
Negli Stati Uniti questo problema si pose con particolare forza nel campo della psicologia clinica all’epoca del caso Tatiana Tarasoff, a seguito di un omicidio avvenuto nell’Università di Berkeley, in California, nell’ottobre del 1969: uno psicanalista fu vittima di accanimento giudiziario, e della macchina del fango causata da una comunicazione mediatica pilotata, per non aver svelato che il fidanzato della Tarasoff, suo paziente con problemi psichici, gli aveva rivelato che aveva intenzione di ucciderla – al ritorno di lei da un viaggio – perché lo aveva lasciato.
Il confine tra vittima e carnefice, spesso, è molto più labile di quanto si possa aspettare. Soprattutto al giorno d’oggi con un sistema mediatico rapido e spietato, che è sempre meno divulgazione elaborativa di notizie e sempre più decisa a dare giudizi invece che ad informare, una persona può vedersi stravolta la vita in poche ore.
Proprio da quel tragico fatto di cronaca del 1969, David Mamet (vincitore del Premio Pulitzer nel 1984 per l’opera teatrale Glengarry Glen Ross e candidato due volte agli Oscar per la sceneggiatura de Il verdetto, 1993, e per la sceneggiatura di Sesso & potere, 1998) ha tratto l’ispirazione per la sceneggiatura per la sua opera teatrale The Penitent-A Rational Man e ora per l’omonimo film diretto, interpretato e prodotto da Luca Barbareschi – in uscita il 30 maggio nei cinema americani e italiani – e che segna il suo ritorno alla regia undici anni dopo Something Good.
Siamo a New York. Uno psichiatra ebreo, Carlos David Hirsch, vede distrutta la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente, immigrato violento e instabile, che ha causato la morte di otto persone. L’appartenenza del giovane paziente alla comunità̀ LGBTQ+, il credo ebraico del dottore, il giudizio severo della legge, la fame di notizie della stampa, aggravata dal pesante errore dell’editor di un giornale che ha riferito erroneamente che in un suo libro lo psichiatra aveva definito l’omosessualità come “un’aberrazione”, mentre invece aveva scritto “un adattamento”: sono sufficienti queste cose perché la campagna contro Carlos David Hirsch diventi feroce – senza che nessuno si prenda la briga di verificare la veridicità della pesante affermazione – dando il via ad un’esplosiva reazione a catena.
La gogna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale nel professionista che si trincera dietro al giuramento di Ippocrate per difendersi dalle interrogazioni, dalle pressioni e dai tradimenti di tutti, moglie compresa, alla ricerca della verità.
Chi è allora il mostro? Il ragazzo? Il medico? La Stampa? La Giustizia? Chi può dirsi innocente? Queste le domande che Mamet e Barbareschi propongono allo spettatore, non nascondendo comunque un certo risentimento verso fenomeni culturali tipici della società attuale come il politically correct (che molti artisti accusano oggi di aver fatto morire la comicità), la censura, la cultura dell’attenzione (necessaria – dice lo psichiatra – ma che talvolta spinge ad affrontare i problemi sociali, come per esempio i diritti LGBTQ+, in un modo radicale che non ammette contraddittorio o dialogo).
The Penitent-A Rational Man, come dicevano i latini, castigat ridendo mores grazie anche a dialoghi ben pensati nella loro irriverenza: “Non compri i giornali? Li compro, ma non li leggo”; “Nel processo ogni parte porta in aula le sue puttane, poi la giuria fa vincere quelle col vestito migliore” sono due esempi di battute indirizzate verso la stampa e la macchina giudiziaria.
Ma il film vuole far riflettere anche su nuove generazioni incapaci di affrontare la realtà che ci circonda ed entrare a contatto con la propria spiritualità, in un mondo che non vuole più avere rapporto con il dolore.
The Penitent-A Rational Man è un film che scuote le coscienze, che fa riflettere sulla società in cui viviamo, sugli eccessi che portano, come nel caso delle lotte per i diritti civili, a derive ideologiche che spesso perdono di vista l’obiettivo e il bene delle minoranze.
Il passaggio dall’opera teatrale al film manca però di ritmo, con monologhi e dialoghi fiume che andavano un po’ asciugati per rendere più profonda la loro comprensione ed evitare un certo cortocircuito linguistico.
Soffre anche di staticità teatrale, ripetendo sempre lo schema del dialogo a due tra Carlos David Hirsch e, alternati tra loro, la moglie, l’avvocato e l’avvocato dell’assassino.
Nel cast anche Catherine McCormack, Adam James, Adrian Lester e Fabrizio Ciavoni. Il film è prodotto da Eliseo Entertainment e Rai Cinema.
Note finali. Ad interpretare lo psichiatra doveva essere un attore americano – di cui non è stato rivelato il nome – ma la richiesto di un cachet troppo esoso per le possibilità della produzione ha spinto Luca Barbareschi ad assumersi l’impegno del ruolo (su parere positivo dell’amico Mamet e Roman Polanski, si è cimentato nell’impresa d’imparare 160 pagine di copione in inglese).
A seguito del caso Tatiana Tarasoff, una sentenza della Corte Suprema stabilì che un medico ha il dovere di salvaguardare l’incolumità di terzi da azioni di un suo paziente, anche a costo di violare il segreto professionale.