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Jonathan Lethem, lo scrittore di Brooklyn

Una celebrità hipster, secondo il New York Times

Michele CrescenzobyMichele Crescenzo
Jonathan Lethem, lo scrittore di Brooklyn

Jonathan Lethem in un ritratto di Pia Taccone

Time: 5 mins read

Brooklyn. 22 Maggio 2024. Mattina presto. Jonathan Lethem posa il cellulare. Un certo Michele Crescenzo, un italiano, gli ha scritto su Instagram definendolo lo scrittore di Brooklyn. Per me lei è il vero scrittore di Brooklyn… Non ha nemmeno finito di leggere il messaggio che alza gli occhi al cielo. Sbuffa. Guarda l’orologio, è tardi. Apre la porta di casa e se la chiude alle spalle. È stato contattato da quell’italiano soltanto per scrivere un articolo sul suo ultimo romanzo Brooklyn Crime Novel che, per giunta, non è stato nemmeno tradotto in Italia. Un intervistatore attento saprebbe che anche se lui è nato a Brooklyn, non ha mica scritto solo romanzi su questo quartiere, anzi i suoi primi tre lavori non sono stati né ambientati né scritti qui. A quei tempi lui viveva in California (ci ha vissuto per ben dodici anni!) dove lavorava come impiegato in librerie dell’usato e scriveva nel suo tempo libero.

Jonathan Lethem /Wikipedia

Jonathan Lethem cammina lungo un viale pieno di caffè, negozi e ristoranti che un tempo erano fabbriche. Pensa che nel suo primo romanzo Concerto per archi e canguro (1994, tr. Gianni Pannofino) non c’erano nemmeno dei chiari riferimenti geografici, ma è una fusione di fantascienza e poliziesco che include canguri parlanti, versioni futuristiche tra nuove droghe e prigioni criogeniche.

Alcuni ciclisti gli schizzano accanto prima che il semaforo diventi rosso. Jonathan Lethem si ferma accanto ad una casa in pietra arenaria. Deve tanto a quel primo lavoro non solo perché è stato finalista per il Nebula Award del 1994 e si è classificato primo nella categoria “Miglior primo romanzo” per i lettori di Locus Magazine del 1995, ma perché il regista e produttore cinematografico Alan J. Pakula ne opzionò i diritti cinematografici, il che gli permise di smettere di lavorare nelle librerie e di dedicare il suo tempo alla scrittura.

Il semaforo diventa verde e Jonathan Lethem allunga il passo verso l’ufficio. Nemmeno il suo secondo e terzo romanzo parlavano di questo quartiere. Amnesia Moon (1995. trad. Martina Testa) è infatti ispirato alle sue esperienze in autostop attraverso il paese, mentre Oggetto amoroso non identificato (1997, tr. Gioia Guerzoni) è la storia d’amore di una ricercatrice di fisica con un’anomalia spaziale generata artificialmente chiamata “Lack”.

Jonathan Lethem rallenta il passo portandosi una mano alla barba bianca. Ora che ci pensa nemmeno nel quarto romanzo Ragazza con paesaggio (1998, tr. Andrea Buzzi) si parla di Brooklyn, anche se era tornato qui per finirlo. Il romanzo tratta infatti di una giovane ragazza che deve sopportare la pubertà e allo stesso tempo affrontare uno strano e nuovo mondo popolato da alieni conosciuti come Archbuilders. La trama non è stata influenzata dal ritorno alla East Coast ma dal suo western preferito The Searchers (Sentieri selvaggi) di John Ford con John Wayne del 1956.

Jonathan Lethem si avvicina al suo ufficio all’angolo tra Union Street e Nevins. Ora è un quartiere alla moda ma un tempo questa era terra di frontiera. Allunga lo sguardo verso la costa. Di quel tempo è rimasto solo un edificio che si affaccia sul canale Gowanus, noto ai locali come “l’ascella di Brooklyn”. Il canale è una fetida zona di disastro ambientale, così priva di ossigeno e luce del solare che nessuna pianta o animale può esistere al suo interno. In Brooklyn senza madre (1999, trad. Laura Grimaldi) lo descrisse come “l’unico specchio d’acqua al mondo composto per il 90% da pistole”. Jonathan Lethem sospira, ebbene sì, Brooklyn senza madre – il suo quinto romanzo – è il primo a parlare veramente di questo quartiere.

Brooklyn senza madre è un noir dove il narratore e protagonista, Lionel Essrog, soffre della sindrome di Tourette. Il romanzo ha vinto il National Book Critics Circle Award per la narrativa, The Macallan Gold Dagger per la narrativa poliziesca e il Salon Book Award; è stato nominato libro dell’anno da Esquire. Nel 1999, l’attore Edward Norton annunciò che aveva intenzione di scrivere, dirigere e recitare in un adattamento cinematografico del romanzo.  Il film di Norton è uscito nel 2019.

Jonathan Lethem non può negare che scrivere di Brooklyn l’ha reso famoso in tutto il mondo trasformandolo in “una sorta di celebrità hipster” come lo definì il New York Times. Decide di cambiare itinerario e andare verso i luoghi del suo sesto romanzo La fortezza della solitudine (2003, tr. Gianni Pannofino). Anche questo racconta di Brooklyn ed è in assoluto quello più legato a questo quartiere perché è un romanzo semi-autobiografico sulle tensioni razziali alla fine degli anni ’70. I personaggi principali sono due amici di diversa estrazione cresciuti nello stesso isolato di Boerum Hill. Anche quello è stato un successo, è stato perfino nominato uno dei nove libri dell’anno “Editor’s Choice” dal New York Times ed è stato pubblicato in quindici lingue.

Jonathan Lethem supera gli edifici industriali di Nevins Street e gira a sinistra verso il quartiere di Dean. Ecco, il quartiere della Fortezza della Solitudine. Fa qualche passo verso la vecchia casa di quando era bambino e guarda gli alberi che sua madre ha piantato. Come disse in una intervista al The Guardian “Questo è dove sono cresciuto, dove mia madre è morta, e il luogo della maggior parte dei ricordi che ho elaborato in quel romanzo”

Jonathan Lethem guarda l’orologio. È tardi. Si volta indietro e si dirige verso il suo ufficio. Dopo questi due romanzi aveva deciso che era il momento di lasciare Brooklyn in senso letterario. Così ha deciso di raccontare la California con Non mi ami ancora (2007, tr. Andrea Buzzi) scrivendo un romanzo su un gruppo rock emergente ispirato dagli anni trascorsi come cantante in una nascente band californiana tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Sale le scale del suo ufficio. Dopo ha continuato a scrivere di New York ma non di Brooklyn, ha ambientato il suo ottavo romanzo Chronic City (2009 tr. Gianni Pannofino) nell’Upper East Side di Manhattan e il nono, I giardini dei dissidenti (2014, trad. Andrea Silvestri) nel Queens e nel Greenwich Village.

Con gli altri due invece cambia completamente direzione, Anatomia di un giocatore d’azzardo (2016, trad. Andrea Silvestri) è ambientato tra Berlino, Singapore e la California mentre Un detective selvaggio (2019 trad. Andrea Silvestri), è un “racconto post-apocalittico all’estrema periferia di Los Angeles”

Sale nello studio, mentre il pc si avvia rilegge il messaggio di questo certo Michele Crescenzo “Per me lei è il vero scrittore di Brooklyn. Ho letto i suoi romanzi e sono rimasto affascinato dalla sua originalità, fantasia, capacità di mettersi in discussione ad ogni romanzo. Ma per me lei rimane il vero scrittore di Brooklyn perché solo nei romanzi su Brooklyn è riuscito a far parlare un intero quartiere. Inoltre mi è sempre piaciuta la sua risposta al Guardian quando alla domanda sul suo quartiere ha dichiarato “Lo amo troppo per voler dire altro.” Sto scrivendo un pezzo su di lei per La Voce di New York, spero che le piaccia”.

Jonathan Lethem scuote il capo e sorride.

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Michele Crescenzo

Michele Crescenzo

Michele Crescenzo legge e scrive, appena può. È nato a Napoli nel’77 dove si è laureato in Sociologia. Vive a Milano dal 2002, dove lavora in una multinazionale americana. La sua quotidianità è alternata da numeri e parole. Da lunghissime call conference internazionali alla stesura di articoli letterari. Scrive recensioni per Satisfiction. Gestisce “Ti ho Rivista” tabloid sul mondo delle riviste indipendenti italiane. Organizza eventi culturali alla libreria milanese Gogol&Company. Cura la column “Gotham's Writers” su La Voce di New York. Nel tempo libero scrive: Nel 2009 ha vinto il Premio Chatwin, concorso internazionale sul viaggio. Ha pubblicato racconti per antologie e riviste letterarie (‘tina, Pastrengo, Talking Milano, Lettura la newsletter del corriere della sera).

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