Benvenuti nel nuovo pianeta delle scimmie, quello di un ipotetico futuro in cui, causa un virus gli esseri umani sono per lo più regrediti a uno stato di ombre miti e selvagge, mentre le scimmie di varie razze hanno acquisito l’intelligenza. La natura ha preso il sopravvento: eccovi Kingdom of the Planet of the Apes di Wes Ball (trilogia di Maze Runner), nelle sale Usa dal 10 maggio, un film che sicuramente avrà un naturale decorso di successo di botteghino ma con un pubblico però spaccato fra chi sosterrà di aver goduto del film e chi invece non lo apprezzerà sotto vari punti di vista.
Siamo a 300 anni di distanza dagli eventi dell’ultimo capitolo della seconda saga su The Planet of Apes, culminata nel 2017 con The War e che aveva seguito, tra alti e bassi, le vicende dello scimpanzé Cesare, il condottiero che morì lasciando come eredità lo slogan “Scimmie insieme forti”, cioè l’idea che solo l’unione avrebbe garantito loro la sopravvivenza, cercando anche una convivenza pacifica con gli esseri umani.
Diciamo subito per gli amanti di questo genere di fantascienza: la distanza “temporale” volutamente scelta dai quattro sceneggiatori – Josh Friedman (La guerra dei mondi), Rick Jaffa & Amanda Silver (Avatar: La Via dell’Acqua) e Patrick Aison (Prey) – fa subito capire che questo lavoro di Wes Ball è solo l’avvio di una nuova trilogia.

Messi da parte i protagonisti degli ultimi capitoli della serie, Kingdom of the Planet or the Apes ruota attorno a Noa (Owen Teague), un giovane scimpanzé che vive nella foresta insieme alla sua famiglia e alla sua tribù, specializzata nell’addestramento delle aquile. Le scimmie vivono in comunità, sanno cavalcare e hanno sviluppato un linguaggio piuttosto basilare, ma non usano armi da fuoco perché, tutto sommato, la loro è una società molto semplice. L’ambiente come lo conosciamo non esiste più: le tracce dell’uomo sono quasi scomparse sotto l’infinita vegetazione che ricopre ogni angolo del globo ed anche le rovine di quella che fu la grandezza umana. La tribù di Noa viene sconvolta dall’arrivo di un gruppo di conquistatori, guidati da Proximus Cesar (Kevin Durand), un monarca-bonobo che ha raccolto l’eredità – anzi, il mito – di Cesare e che lo ha però manipolato e distorto nel suo significato più profondo, per costruirsi un vero e proprio Regno di scimmie, basato sulla tirannia e sulla legge del più forte.

Mentre la tribù di Noa viene messa in catene, il protagonista riesce a fuggire: le sue peripezie lo portano a conoscere Raka (Peter Macon), un orango intellettuale ed erudito, ultimo rappresentante di un “culto” sempre legato a Cesare e che – a differenza di Proximus – ne ha portato avanti gli ideali nella loro forma più pura: uno dei messaggi velati del film è che la mistificazione della Storia e la strumentalizzazione dei potenti messaggi del passato è una tendenza comune a umani e primati.
Alla base del rapimento della tribù di Noa vi è l’accusa di aver dato rifugio a Mae (Freya Allan), un’umana in fuga, alla quale i fedelissimi di Proximus stanno dando la caccia per tutta la foresta: la ragazza nasconde un grande segreto, che sicuramente avrà ripercussioni… nelle altre puntate della nuova saga!
Cercando di evitare spoiler, sappiate che la pellicola diretta da Wes Ball opera un intelligente ribaltamento delle condizioni della trilogia Pianeta delle Scimmie, che a loro volta rappresentavano un ribaltamento della realtà, cioè aveva al centro l’evoluzione delle scimmie e l’involuzione degli umani, ma ora questo capitolo riporta gli esseri umani al centro della narrazione di quella che è molto, molto di più di un semplice conflitto tra scimmie. Il tema della memoria del passato ritorna qui ancora più forte: Noa, Proximus e i loro compagni sanno che c’è stato un passato, prima di Cesare, in cui gli umani dominavano incontrastati e le scimmie erano rinchiuse in gabbia. Nessuno vuole che ciò accada di nuovo, ma non tutti sono d’accordo su come evitarlo.

E noi da che parte stiamo in questa guerra? Dalla parte delle scimmie, di cui seguiamo la lotta per la libertà, o dalla parte degli umani, gli stessi che hanno dato origine a tutto questo e che hanno le mani sporche di sangue?
Come avrete già capito, la trama di Kingdom of the Planet of the Apes è densa di avvenimenti, appassionante e meno scontata del previsto, e a convincere è soprattutto la costruzione di un mondo di fantascienza post-apocalittico ormai sviluppato, maturo: la trilogia precedente del Pianeta delle Scimmie non ha invece mai fornito agli spettatori una “costruzione del mondo” complessa ed intrigante, concentrandosi soprattutto sugli aspetti “action” e tralasciando il comparto narrativo delle informazioni sul mondo finzionale in cui si svolge la vicenda.

Il film di Wes Ball ci presenta un mondo nuovo, completamente diverso dalla Terra che tutti conosciamo ma ancora intimamente collegato al “nostro” presente, focalizzandosi a lungo sulle regole, le leggi e le consuetudini che la governano, nonché sulle linee evolutive delle popolazioni – umani e animali – che la abitano.
In Kingdom of the Planet of the Apes c’è anche un’interessante mescolanza di generi, ma curiosamente tra questi quello della fantascienza non è quello principale: influenze fantasy, ma soprattutto un certo tipo di western, con un eroe costretto a confrontarsi con le proprie credenze e i suoi ideali per crescere e risultare vittorioso nella sua missione.

Il film ci mostra inoltre, con immagini spettacolari, come la natura si riapproprierebbe velocemente degli spazi se gli umani “si togliessero di torno”. L’intento è chiaro: le guerra e lo sfruttamento insano di risorse da parte della nostra “civiltà” non distruggeranno il pianeta, che troverà sempre un suo equilibrio, ma travolgerà noi stessi, senza appello, se non rinsaviamo! Il problema è fare uno sforzo in tal senso: nel corso della vicenda, con vari plot twist, scopriremo come le intenzioni di scimmie e umani non sembrino cogliere questo concetto elementare.
Nel gradevole lungometraggio di Wes Ball c’è l’avventura, c’è un un conflitto ancora stimolante sul piano del messaggio e della discussione, ci sono ottimi effetti visivi, il ritmo della vicenda è coinvolgente: ci sono anche tante belle scene action, che però alla lunga non danno sufficiente spazio a sotto-trame che potevano risultare interessanti. Il principale difetto di Kingdom of the Planet of the Apes è che però alla fine (come tanti ultimi blockbuster! Chissà perché: è una moda?) è, senza giustificazione, troppo lungo.