“Ci siamo detti addio solo a parole, sono morta centinaia di volte, tu torni da lei e io torno nell’oscurità”: sono parole della bellissima Back to Black (dall’album omonimo), celeberrima canzone di Amy Winehouse che dà anche il titolo al film di Samantha Taylor-Johnson (Nowhere Boy, sulla nascita artistica di John Lennon, e Cinquanta sfumature di grigio): un biopic, classico, sull’indimenticabile artista, che non osa niente di nuovo in termini di linguaggio cinematografico ma che, grazie soprattutto a una coesione intensa tra musica e immagini, riesce comunque a rilanciare l’attenzione dello spettatore sulla cantante tragicamente scomparsa, all’età di soli 27 anni nel 2011, al culmine del successo. Già uscito in Europa, gli spettatori statunitensi dovranno avere pazienza: sarà in sala dal 17 maggio.
Ci svela i lati drammatici e oscuri di Winehouse, ma anche l’aspetto più umano, con quella sua ricerca “spasmodica” di un amore totale, anche se “tossico” (con il marito), senza perdere mai di vista l’elemento musicale: un biopic intenso e commovente, anche se mancano… i brividi.

La regista – autrice della sceneggiatura assieme a Matt Greenhalgh – ritrae Winehouse come persona vitale e innamorata e non come eroina condannata a morte prematura (per questo il film termina con il trionfo del 2008, quando vinse cinque Grammy): più che focalizzarsi sui “cattivi compagni di vita”, Back to Black vuole principalmente restituirci Amy attraverso i testi delle sue canzoni (dall’album di debutto Frank a Back to Black: riecco allora Stronger than me, Me & Mr Jones, Love is a losing game e la cover di Valerie degli Zutons).
Amy Winehouse (interpretata da Marisa Abela, vista brevemente nei panni di Barbie adolescente, ma probabile futura star) è una diciottenne di Camden Town, quartiere londinese, figlia di genitori divorziati. Papà Mitch tassista (Eddie Marsan) la scorrazza da un locale all’altro mentre sta separandosi dalla moglie: lo fa perché la ragazza ha una voce particolare, unica, e un grande amore per la musica ereditati dalla tanto amata nonna Cynthia (Lesley Manville) che l’ha cresciuta e ha subito capito e incoraggiato il suo talento: lo sanno presto anche gli agenti che la ascoltano cantare nei locali e le fanno firmare i primi contratti (anche se lei arriva in ritardo alle audizioni!). A un tavolo da biliardo in un pub, mentre beve un banana cocktail, incontra (purtroppo) la sua anima gemella: il bullo Blake Fielder-Civil (Jack O’Connell) che cambia la sua vita per sempre. Amy diventa una star, ma più che alla musica è totalmente addicted, dipendente da Blake: è lui a farle aggiungere, all’alcol e al fumo, le droghe pesanti. Eppure proprio da lui sperava di ricavare una vita calma, lontana dal caos dello star system.
Fulcro del film è senza dubbio il rapporto della cantante con chi le orbita attorno. Il suo rapporto di amore e odio verso il padre Mitch – in bilico tra manager e figura genitoriale – e la relazione autodistruttiva con Blake, aggravata anche dall’essere ormai bersaglio prediletto di gossip e della stampa scandalistica: importanti le scene che mostrano la vomitevole, oppressivo e soffocante presenza dei giornalisti ad ogni caduta della protagonista.
Comunque verrà accolto Back to Black, resterà impressa la recitazione di Marisa Abela: incredibilmente, è davvero la sua voce che sentiamo, pur se ovviamente distante dalla prodigiosa e irripetibile voce soul-jazz di Amy dal graffio struggente. La regista ha fatto sapere alla stampa: “Non intendevo utilizzare la voce dell’attrice, perché quella di Amy è straordinariamente unica e familiare, e così difficile da emulare, ma Marisa ha studiato tanto, fino ad arrivare al punto in cui la sua voce poteva raccontarci la storia in modo emotivo e credibile. Sappiamo che non è Amy, ma la sua voce è così profonda che si finisce per crederci”.
Semplice annotazione finale.
Chi vuole sapere chi era veramente Amy Winehouse, cerchi su qualche piattaforma il bel documentario Amy di Asif Kapadia: immagini e testimonianze vocali mai viste prima che spiegano tutte le sue dipendenze, alcol, droghe, sesso, amore… Non quello per se stessa, ma quello per i due uomini a cui si immolò, il padre e Blake: Amy era la loro “gallina dalle uova d’oro”.
Questo Samantha Taylor-Johnson ha scelto di non raccontarlo in Back to Black (un po’ come aveva già fatto con il giovane John Lennon in Nowhere Boy): meglio lo sbruffone Blake (riuscitissima la scena dell’incontro tra i due), ma anche lì… sappiamo che nella vita andò tutto molto peggio.
Il padre Mitch e Blake sono stati gli “sfruttatori” che condussero Winehouse a far parte del cosiddetto “club dei 27”: giovani idoli della musica morti, male, a quell’età, come Brian Jones, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Kurt Cobain.