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Il genio di Raymond Carver: “Io non so fare altro che scrivere il più possibile”

Maestro del minimalismo, ricevette l'American Academy of Arts and Letters l’anno della sua morte.

Michele CrescenzobyMichele Crescenzo
Il genio di Raymond Carver: “Io non so fare altro che scrivere il più possibile”

Raymond Carver, ritratto di Pia Tacconi

Time: 7 mins read

19 Maggio 1988. Upper West Side, New York. Raymond Carver è in piedi contro il muro in una sala affollata. Indossa giacca e cravatta e tiene ben stretto un bicchiere d’acqua vicino al petto, come se fosse uno scudo. È la cerimonia di iniziazione dell’American Academy of Arts and Letters e tutti sembrano a loro agio tranne lui, il nuovo membro.

Solo pochi mesi prima, aveva dichiarato di non bere da anni e di star benissimo mentre stava scrivendo il racconto Errand sulla battaglia persa di Cechov contro la tubercolosi. Poi lo scorso settembre, come il protagonista della storia, ha cominciato a sputare sangue. Ha scoperto di avere un cancro, è stato operato d’urgenza e i medici gli hanno asportato due terzi del polmone sinistro. Poi ha avuto una ricaduta e ha recentemente terminato un ciclo di radioterapia. “All’inizio ero terrorizzato”, ha confessato al New York Times “ma poi ho deciso di combatterlo e batterlo. Ma ora sento terribilmente stanco. Pensavo che mi sarei ripreso, che sarei tornato presto quello di prima. Ma non funziona così. Richiede tempo. È dannatamente frustrante sentirsi così stonato. Ma ce la farò. Ho pesci da prendere e storie da scrivere.”

Raymond Carver scuote il capo. Appoggia il bicchiere d’acqua su un tavolo e prende in mano il foglio del discorso di iniziazione in cui racconta la sua lotta contro la povertà, l’alcolismo, un matrimonio fallito e, ora, la malattia. Tutto questo è letteratura. Per lui – come scrive Marco Cassini in Niente trucchi da quattro soldi – hanno pari dignità sia la scrittura vera e propria (le letture, gli incontri con scrittori e insegnanti, i primi tentativi poetici e narrativi, il tempo e il luogo dello scrivere) che l’ambiente che lo circonda (le disgrazie economiche, la morte del padre, i litigi con la prima moglie Maryann, i figli, i mille mestieri fatti per mantenere la famiglia, l’alcolismo, la rinascita, l’incontro con Tess Gallagher, la malattia). Serve tutto questo per scrivere un buon racconto.

Raymond Carver /Wikipedia

Carver reputa che i migliori scrittori della forma breve siano Anton Cechov, Frank O’Connor, V.S. Pritchett, Hemingway e Isaak Babel. Di questo ultimo autore adora l’aforismo: non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto. Appena l’ha letta, questa frase lo ha colpito con tutta la forza di una rivelazione. Era proprio quello che voleva fare con i suoi racconti: mettere in fila le parole giuste, le immagini precise, ma anche la punteggiatura più efficace e corretta, in modo che il lettore venisse trascinato dentro e coinvolto nella storia, e non potesse distogliere lo sguardo dal testo a meno che non gli andasse a fuoco la casa.

Il suo primo libro di racconti Will You Please Be Quiet, Please? (Vuoi star zitta per favore?, Einaudi. Traduzione di Riccardo Duranti) è stato pubblicato nel periodo peggiore della sua vita, quando il bere lo stava distruggendo. Diverse volte aveva, infatti, attaccato e ferito la prima moglie Maryann Burk in preda alla rabbia ubriaca, una volta quasi uccidendola quando l’ha bastonata con una bottiglia di vodka recidendole un’arteria. Raymond Carver è stato ricoverato quattro volte negli anni 1975-1977. Se avesse continuato a bere sarebbe morto entro sei mesi. “Pensavamo tutti che avrebbe continuato a bere fino a uccidersi” – ha dichiarato Sam Halpert nella biografia Raymond Carver: An Oral Biography, “e lo pensava anche lui”.

La pubblicazione avvenne grazie a Gordon Lish (editor e amico anche di Amy Hempel) che aveva selezionato i due racconti Dreams e Vandals per la rivista Esquire.

Raymond Carver salutò il Capodanno del 1977 al Duffy’s, un centro di cura nella Napa Valley. Debole e disperato, perseguitato da crisi di astinenza, si sedeva a fumare sulla veranda della struttura, ascoltando storie per passare il tempo. “Non sapevo se potessero aiutarmi o no – disse a Carol Sklenicka – una parte di me voleva aiuto, ma c’era anche un’altra parte”. Da Duffy’s, Carver imparò a diminuire il consumo di alcol con dosi periodiche di bourbon a buon mercato. Temendo una ricaduta si trasferì da solo nella contea di
Humboldt, affittando un cottage dietro un ristorante a McKinleyville. La sua salute rimaneva delicata: un amico dichiarò che teneva tutte le porte e le finestre aperte alla fredda aria costiera, dicendo che se si fosse sentito a suo agio avrebbe voluto bere.

Maryann Burk prese un congedo dal suo lavoro di insegnante e andò a raggiungerlo a McKinleyville. Lì, come la coppia raffigurata nel racconto di Carver Chef’s House (La casa dello chef), si impegnarono a ripristinare il loro matrimonio. Ma non ci riuscirono, nel 1978 si separarono e nel 1982 divorziarono rimanendo però sempre in contatto.

Maryann Burk era la prima indispensabile lettrice per le storie di Raymond Carver. “Sono la ‘Maryann’ che trovi nella poesia di Ray”, ha scritto nel suo libro di memorie What It Used to Be Like: A Portrait of My Marriage to Raymond Carver del 2006. “Sono anche in alcune delle donne nei suoi racconti. Ero la cassa di risonanza che conosceva i suoi amici, tutta la sua famiglia, e la genialità di quell’uomo molto prima che diventasse un autore noto”. Lei era “forte, schietta, anche un po’ feroce”, ricorda lo scrittore Leonard Michaels, che aggiunge: “Ray è stato fortunato ad averla accanto per il suo lavoro”.

Nel racconto di Carver Why Don’t You Dance? (Perché non ballate?) una giovane coppia visita una svendita davanti alla casa di un uomo. Il proprietario forse si è separato da poco; sul suo prato c’è un’intera camera da letto. L’uomo contratta il prezzo di alcuni oggetti con la coppia, poi tutti e tre ascoltano dischi e si ubriacano sul divano. Più tardi il proprietario balla un lento con la giovane donna nel suo vialetto. Si tengono stretti. “Devi essere disperato o qualcosa del genere”, gli dice. Questa è la tipica storia che Raymond Carver scrisse nei primi anni della sua sobrietà quando lavorava come insegnante di scrittura creativa presso l’Università del Texas a El Paso e, a partire dal 1980, alla Syracuse University. Aveva anche una nuova compagna al suo fianco: la poetessa Tess Gallagher. Quando lei e Carver si incontrarono a El Paso nel 1978, lei disse che lui l’abbracciò “come un uomo che affonda, come se fosse arrivato a una zattera e vi si fosse issato per prendere una boccata d’aria”. I due trascorsero l’estate a Port Angeles e risiedettero a Syracuse durante il periodo accademico, tenendo un cartello “Vietato visitare” sulla porta di casa per scoraggiare interruzioni nella loro scrittura.

Nel 1980 Gordon Lish, nuovo redattore presso Knopf, pubblicò una nuova raccolta di diciassette racconti di Raymond Carver sotto il titolo What We Talk About When We Talk About Love (Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Einaudi; Principianti, Einaudi, che è la traduzione della stessa raccolta senza gli interventi di G. Lish. Traduzione di Riccardo Duranti.)

Il libro vendette bene e attirò notizie positive quando fu pubblicato nell’aprile 1981, ma Raymond Carver non ne era particolarmente soddisfatto. Durante il processo di editing, era rimasto sconcertato e mortificato dalle innumerevoli modifiche apportate da Lish al suo manoscritto: la storia Mr. Coffee and Mr. Fixit (Signor aggiustatutto e le macchinette del caffè) era stata ridotta del 70%, e il racconto A Small, Good Thing (Una cosa piccola ma buona) si è trasformato nel più breve, freddo e teso, The Bath (Il bagno). Sotto la penna di editing di Lish, le storie sono diventate più sottili, più crudeli e più astratte.

Carver pregò Lish di riconsiderare le sue modifiche: “se il libro dovesse essere pubblicato così com’è nella sua forma attuale”, scrisse, “potrei non scrivere mai un’altra storia, ecco quanto sono vicine, Dio non voglia, alcune di quelle storie alla mia opinione.” Ma Lish rifiutò. Anche se What We Talk About When We Talk About Love ha consolidato la reputazione di Carver come scrittore, secondo Tess Gallagher non ha mai avuto la sensazione che il libro rappresentasse “il suo vero impulso e istinto”.

Nel 1983 venne pubblicata Cathedral (Cattedrale, Einaudi. Traduzione di Riccardo Duranti); in quell’occasione Carver scrisse una lunga lettera in cui spiegava all’editor Lish: ”Così non può andare  e lo sappiamo entrambi”. Il racconto Cathedral è stato incluso nell’edizione del 1982 di Best American Short Stories. L’autore ha commentato in un’intervista presente in Raymond Carver: An Oral Biography: “la storia mi è sembrata completamente diversa da tutto ciò che avevo scritto prima. Ero in un periodo di generosità. Il personaggio è pieno di pregiudizi nei confronti dei ciechi. Cambia; cresce. Il vedente cambia. Si mette nei panni del cieco”.

Bruce Allen del Christian Science Monitor considerava Cathedral tra i migliori racconti dell’anno e scriveva: “La storia parla di come imparare a immaginare e sentire – ed è finora il miglior esempio del modo in cui Raymond Carver l’arte miniaturista compiuta si sta estendendo, esplorando nuovi territori. Carver ce li fa sentire con una gioia silenziosa e ardente che solo paesaggi così accurati e nitidi nella narrativa possono produrre.”

Nel maggio 1983 Carver ricevette lo Strauss Living Award, uno stipendio annuale quinquennale di 35.000 dollari esentasse che gli permise di dimettersi dall’insegnamento e dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. In quel periodo tornò a scrivere poesie riempiendo tre nuovi volumi negli anni ‘80. Molte poesie, come Lemonade, si avvicinavano ai racconti a pieno titolo. La poesia di Ray “non era qualcosa che scriveva tra una storia e l’altra”, ha scritto Gallagher, “piuttosto, era la corrente spirituale da cui si muoveva per scrivere i racconti”. In Italia minimum fax le ha pubblicate con il titolo Tutte le poesie.

Raymond Carver si sente tirare la giacca. Stanno facendo il suo nome. Lui si incammina velocemente sul piccolo palco. Una donna gli pone una pergamena come nuovo membro della l’American Academy of Arts and Letters e lo introduce al pubblico raccontando di quanto sia geniale, di come riesca in poche righe a concentrare l’attenzione su eventi minimi, quotidiani che tuttavia sembrano annunciare un prossimo momento rivelatore, una folgorante intuizione che illumina la verità dei personaggi. Il suo merito è anche quello di aver dato voce a una umanità senza storia, una sorta di “proletariato della psiche”, composto dai derelitti della società dei consumi. La donna conclude chiamandolo “il padre del minimalismo” e uno dei più grandi scrittori americani.

Raymond Carver inspira a lungo e si avvicina timidamente al microfono: “Non voglio tenere sermoni a nessuno o per nessuno. Non mi sento così speciale. Io non so fare altro che scrivere il più possibile e con la maggior precisione possibile. Tutto qui”.

 

 

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Michele Crescenzo

Michele Crescenzo

Michele Crescenzo legge e scrive, appena può. È nato a Napoli nel’77 dove si è laureato in Sociologia. Vive a Milano dal 2002, dove lavora in una multinazionale americana. La sua quotidianità è alternata da numeri e parole. Da lunghissime call conference internazionali alla stesura di articoli letterari. Scrive recensioni per Satisfiction. Gestisce “Ti ho Rivista” tabloid sul mondo delle riviste indipendenti italiane. Organizza eventi culturali alla libreria milanese Gogol&Company. Cura la column “Gotham's Writers” su La Voce di New York. Nel tempo libero scrive: Nel 2009 ha vinto il Premio Chatwin, concorso internazionale sul viaggio. Ha pubblicato racconti per antologie e riviste letterarie (‘tina, Pastrengo, Talking Milano, Lettura la newsletter del corriere della sera).

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