Hirayama (il mito giapponese Köji Yakusho, Shall we dance?, Memorie di una geisha) vive in una minuscola casa e conduce una vita semplice scandita da una metodica routine da mattino a sera: apparentemente alienante, ma dove le piccole cose ravvivano la situazione. Si dedica con cura e passione a tutte le attività della sua metodica giornata: dal lavoro come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo, all’amore per i libri, per gli alberi che ama fotografare e per la bella musica anni ’70 (su audiocassette della preistoria analogica!) che lo accompagna mentre guida per andare e tornare dal lavoro. Ama tutte le piccole cose a cui può dedicare un sorriso. Nel ripetersi del quotidiano, una serie di incontri inaspettati – la nipote carinissima, la sorella estraniata – rivelano qualcosa di più sul suo passato.
Perfect Days (presentato all’ultimo Festival di Cannes, dove è valso allo strepitoso Yakusho il premio come Miglior attore protagonista) esce in Italia il 4 gennaio e dovrebbe arrivare anche nelle sale Usa a breve, anche se non c’è una data.
Il 78enne regista tedesco Wim Wenders (all’anagrafe Ernst Wilhelm Wenders) torna nella capitale giapponese dopo Tokyo-Ga (1985), documentario dedicato al grande regista giapponese, e suo idolo, Jasuirö Ozu (Fiori di equinozio, Viaggio a Tokyo, Il gusto del sakè), al quale – come ha sempre dichiarato – si è ispirato in tutta la sua carriera per lo stile, la tematica e la tecnica cinematografica.
Un’ammirazione che, evidentemente, continua tutt’oggi: il film è stato infatti girato, in soli 17 giorni, a sessant’anni dalla morte del maestro Ozu, avvenuta un anno dopo l’uscita di Il gusto del sakè, nel quale il protagonista, un dirigente d’azienda, si chiama proprio Hirayama. Ispirazione per il titolo sono stati i primi versi della canzone Perfect Day (al singolare) dell’amico Lou Reed, presente – e non poteva essere altrimenti – nella colonna sonora del film: “Just a perfect day/drink sangria in the park/and then later when it gets dark/we go home…”, assieme a tanti altri (tra cui Otis Redding, Patti Smith, Van Morrison) che fanno da “accompagnamento riflessivo” a quanto avviene sullo schermo.
Ad accompagnare l’alba del film, e di Hirayama (di cui non si sa mai nulla del suo passato, lasciando la “personale scoperta” allo spettatore) sono gli Animals con la loro cover di The House of the Rising Sun. La canzone parla di un bordello dove la gente ha perso la propria dignità: che ne è stato di Hirayama da giovane?
Poco importa – vuole dirci Wenders – guardiamolo ora: è felice, e può sembrare strano a molti, anche se lavora come pulitore dei gabinetti pubblici di Tokyo, non ha un bagno in casa e va a lavarsi nei bagni pubblici, cena nel povero locale sotto la metropolitana e vive in una minuscola stanza di periferia. Cosa sono i soldi di fronte alla dignità e alla libertà? Nulla: Hirayama possiede tutto perché quello che ha lo usa, fa parte del suo mondo ed interagisce con sé stesso e con gli altri. Cerca la bellezza anche guardando la partita di baseball in tv mentre mangia!
In Perfect Days non ci sono risvegli, solo incontri. Alcuni sono con il giovane che lavora con lui e lo vuole coinvolgere nella sua caotica vita sentimentale con una fidanzata folgorata da Van Morrison, altri sono invece casuali e solo per un periodo di tempo brevissimo: come la parte – dolce e divertente allo stesso tempo – in cui la nipote, scappata di casa, gli menziona Spotify e lui le chiede dove si trova il negozio con quel nome; oppure quando parla con la vicina di panchina che sta mangiando un panino; o al ristorante, quando la proprietaria/barista canta una cover giapponese di The House of the Rising Sun.
Wenders insieme al suo co-sceneggiatore e co-produttore, il giapponese Takuma Takasaki, semina solo indizi sul passato di Hirayama per lasciare al pubblico il piacere di interpretarlo come vuole. Un momento significativo è quando la sorella arriva a casa sua in limousine per riprendersi la figlia scappata di casa e, incredula, gli dice “Ma davvero pulisci i gabinetti?”: si può intuire che probabilmente ha vissuto un tempo da privilegiato, ma anche che poi è successo qualcosa e ha fatto una scelta di vita più semplice e di cui magari è anche abbastanza felice. La nipote è una bellissima scelta nella sceneggiatura perché, pur non rimanendo, riapre vecchie ferite, sporca di amarezza la serenità del protagonista e porta il film verso un finale complicato e unico, con un lungo primo piano su Hirayama che, senza parole, parla di umanità, di una grande passione per la vita e di fiducia nel domani.
Perfect Days è un toccante road movie urbano, un percorso dell’anima lungo le strade di Tokyo, attraverso un personaggio con una routine molto rigida, ma che non lo annoia, perché ha la capacità di stare nel presente, nel qui e ora: una filosofia che ha una lunga tradizione in Giappone. La routine non è necessariamente negativa, può dare ordine alla vita.
Nel film c’è tutto il cinema migliore di Wenders, cineasta-esploratore che ama scoprire i luoghi attraverso i suoi personaggi, intavolare piccole conversazioni per meglio comprendere altre esistenze, soffermarsi sulle prospettive di una città ma anche sulle sue bellezze architettoniche, le più disparate, come stavolta i bagni pubblici di Tokyo.
Perfect Days fa riflettere sul cinema di oggi e la nostalgia, di tanti, per una narrazione più classica, meno violenta e rumorosa – non parlo di tematiche – come è quella di tanta cinematografia attuale: il cinema, sembra dirci Wim Wenders, può aiutarci a riconsiderare come vivere, con più calma e serenità.
Perfect Days è candidato all’Oscar, per il Giappone, come Miglior film in lingua straniera.