Ferrari, l’atteso film del quattro volte candidato al Premio Oscar Michael Mann, dal 25 dicembre nelle sale americane, racconta l’incredibile storia di Enzo Ferrari. È la storia di una leggenda che ha costruito un mito inossidabile, la sua casa automobilistica, diventando un’icona mondiale. L’ex pilota spericolato diventato poi imprenditore era il “Drake” che non partecipava alle corse automobilistiche per vendere auto, ma vendeva automobili per partecipare alle corse.
Dopo otto anni di silenzio (Blackhat, 2015), Mann ci colpisce ancora una volta con la storia di un uomo, in una fase critica della vita: uomini tragici, che non possono far altro che seguire il loro destino, uomini irrimediabilmente perduti in se stessi. Il suo enigmatico Ferrari – che in Italia è nei cinema già dal 14 dicembre – è l’adattamento per il grande schermo della biografia Enzo Ferrari: The Man, the Cars, the Races, the Machine, scritta dal giornalista sportivo Brock Yates e pubblicata nel 1991. La storia è stata trasformata in sceneggiatura da Troy Kennedy Martin.
Siamo nell’estate del 1957. Il Modena Calcio va male in serie B ma molto più drammaticamente va la vita di Enzo Ferrari (Adam Driver): l’azienda automobilistica che ha costruito dieci anni prima dal nulla con la moglie Laura (Penelope Cruz) rischia la bancarotta. Anche il matrimonio
è in crisi, dopo la morte del ventiquattrenne figlio Dino (avvenuta l’anno prima a causa della distrofia muscolare di Duchenne), e la scoperta che Enzo ha avuto un secondo figlio (Piero), mai riconosciuto, da una relazione extraconiugale con Lina Lardi (Shailene Woodley).
Con la sua innata propensione al rischio e per non farsi travolgere dai tormenti interiori, Ferrari si dedica anima e corpo con il suo team a una gara leggendaria di 1600 km che attraversa l’Italia: la Mille Miglia. La scuderia di Maranello partecipa con quattro vetture: due arrivano prima e seconda al
traguardo di Brescia (guidate da Piero Taruffi – Patrick Dempsey – e Wolfgang von Trips, fascinoso pilota spagnolo che si accompagna all’attrice Linda Christian – Sarah Gadon), mentre l’auto con Alfonso de Portago al volante (Gabriel Leone), a causa dello scoppio di un pneumatico, ha un pauroso incidente, a Guidizzolo, nel quale perdono la vita il pilota, il suo navigatore e 9 spettatori, tra cui 5 bambini. Enzo Ferrari, in quanto costruttore della vettura, sarà rinviato a giudizio e assolto solo nel 1961.
“Ho trovato uomini che indubbiamente amavano come me l’automobile. Ma forse non ne ho trovati altri con la mia ostinazione, animati da questa passione dominante nella vita che a me ha tolto il tempo e il gusto per quasi ogni altra cosa. Io non ho alcun diverso interesse dalla macchina da
corsa”: parole del “Drake” che riassumono tutta la filosofia di Enzo Ferrari, e Michael Mann ci restituisce tutta la magnifica ossessione del fondatore della casa automobilistica di Maranello fornendoci un ritratto umano onesto e complesso; racconta il fascino del personaggio senza nasconderne gli aspetti meno politicamente corretti: volitivo, magnetico, fortemente orientato al successo ma anche dispotico e traditore.

Una figura di uomo che sicuramente oggi avrebbe difficoltà a non essere criticato aspramente, ma la cui tempra indomabile gli fornisce l’energia in
grado di sostenere straordinarie imprese imprenditoriali, artistiche, sportive. Ferrari è un ritratto cinematografico che oltre a celebrare il mito è anche un invito a guardare personalità di questo tipo nel loro complesso, tenendo conto anche del potenziale straordinario di cui sono portatori e a non focalizzarsi esclusivamente sugli aspetti meno accettabili nella cultura contemporanea.
Il film è anche un omaggio – non caricaturale come tante altre pellicole hollywoodiane dedicate all’Italia di ieri e di oggi – all’Italia, che grazie a questa folle avventura si trasforma in un paese capace di uscire a testa alta dalla guerra, e a quanto di incredibile è capace di generare il nostro Paese: la fortuna della casa automobilistica modenese non è infatti figlia di una concept industriale di stampo fordista ma del genio artistico di uomini come Enzo Ferrari.
Tutto riuscito? Lasciano alquanto perplessi gli effetti speciali sugli incidenti di Castellotti e De Portago alla Mille Miglia: sembrano realizzati da uno studio approssimativo, un peccato per un film diretto da un regista che ha fatto dell’azione uno dei suoi marchi di fabbrica. Poi, far guidare ad Enzo Ferrari una Peugeot 304 per i suoi spostamenti tra casa, fabbrica e Modena è un colpo basso difficilmente digeribile per noi italiani, un vero insulto alla storia: fa pensare che per gli americani un’auto vale l’altra!
Se, in attesa della stagione dei premi, il National Board of Review Award ha selezionato il lungometraggio di Michael Mann come uno dei dieci migliori film dell’anno, Brenda Vernor, ex segretaria di Enzo Ferrari, ha criticato la scelta di Penelope Cruz per il ruolo di Laura Ferrari, affermando: “È una brava attrice, ma ha i capelli scuri, mentre Laura era bionda e aveva gli occhi azzurri. Probabilmente speravano che sembrasse più italiana”. Sulla falsariga dell’ormai celebre polemica del pluripremiato attore Pierfrancesco Favino, secondo cui per interpretare i personaggi italiani dovevano essere scelti attori italiani e non statunitensi: “Ferrari in altre epoche lo avrebbe fatto Gassman, oggi invece lo fa Driver e nessuno dice nulla”.