Terzo capitolo per Kenneth Branagh, nel doppio ruolo di regista e attore protagonista, della saga di Agatha Christie. Terzo tentativo. Dopo Assassinio sull’Orient Express (2017) e il disastroso Assassinio sul Nilo (2022), spetta ad A Haunting in Venice-Assassinio a Venezia (dal 14 nelle sale italiane, il 15 in quelle americane) il compito di risollevare le sorti del detective Hercule Poirot.
Dopo aver precedentemente adattato quasi fedelmente i lavori della famosa scrittrice inglese di gialli, questa volta Branagh e lo sceneggiatore Michael Green si sono presi diverse licenze significative, ma non tutte completamente riuscite. Il film, ispirato dal poco conosciuto giallo della Christie “Poirot e la strage degli innocenti” (“Hallowe’en Party”), non ha una trama spiccatamente thriller come il libro perché si sviluppa invece, a sorpresa, sulla via della ghost story con elementi orrorifici. In più il Poirot di Branagh non si trova a Londra ma vive a Venezia: sfondo fantastico, con la sua aria di mistero, per un film hollywoodiano con poche inquadrature della Serenissima, in apertura e nel finale.

Assassinio a Venezia è ambientato nella misteriosa città nel secondo dopoguerra, alla vigilia di Ognissanti: Hercule Poirot (Branagh), ormai in pensione in autoesilio nella città più affascinante del mondo, trascinato da Ariadne Oliver (Tina Fey), vecchia amica americana e famosa scrittrice di gialli, partecipa con riluttanza ad una seduta spiritica tenuta dalla medium Joyce Reynolds (la premio Oscar Michelle Yeoh). L’incontro si svolge in un palazzo fatiscente dove, secondo alcune voci, i bambini venivano lasciati morire durante la peste e per questo continuano a infestare le stanze: l’amica di Poirot vuole che lui dimostri l’infondatezza della veggente.
Tutto accade durante la notte di Halloween, quando una festa per i bambini orfani sta volgendo al termine. La seduta prevede anche che la cantante lirica Rowena Drake (Kelly Reilly), proprietaria del palazzo, parli ancora una volta con l’amata figlia Alicia (Rowan Robinson) che, ammalatasi dopo che il suo fidanzato Maxime Gerard (Kyle Allen) ha annullato il loro matrimonio, è morta precipitando nel canale dal balcone della sua camera da letto. Rowena non nasconde il suo odio per Maxime, credendolo un cercatore d’oro, eppure lui arriva alla seduta spiritica con un invito stampato da una fonte misteriosa. Quando uno degli ospiti viene assassinato, Poirot viene catapultato in un sinistro mondo di ombre e segreti, costretto a dover risolvere il caso prima che qualcos’altro di spiacevole possa accadere.
Branagh, dopo il grosso flop commerciale di Assassinio sul Nilo (mentre Assassinio sull’Orient Express ha totalizzato più di 350 milioni di dollari in tutto il mondo a fronte di un budget di soli 55 milioni) cerca con questo film di soddisfare due tipologie diverse di spettatori: gli amanti del giallo e quelli dell’horror moderno, sofisticato e multiforme.

Nonostante un ottimo cast (tra cui anche Riccardo Scamarcio, nel ruolo di poliziotto-guardia del corpo di Poirot, Jamie Dorman, in quelli del dottor Ferrier, e Jude Hill quale suo figlio Leopold), Assassinio a Venezia presenta una sceneggiatura incompiuta, anzi a tratti quasi superficiale, con alcuni personaggi importanti solo tratteggiati e una fotografia che non valorizza gli scorci di Venezia e gli interni del palazzo.
Se in Assassinio sull’Orient Express il nocciolo del film è la vendetta e in Assassinio sul Nilo è invece la passione, qui al centro del film è la fede: aspetto interessante da trattare per l’ateo Poirot la cui visione logica e razionale viene qui messa in dubbio: e se esistesse davvero un’anima, qualcosa che va oltre la morte? sembra chiedersi il freddo investigatore.
Assassinio a Venezia ha il pregio di evitare gli effetti speciali computerizzati, avere una scenografia ben curata e una regia di Kenneth Branagh più stimolante del solito.
Il problema del film è che non riesce ad eccellere né sul piano investigativo, il finale è un po’ disarmante e di facile comprensione anche per chi non ha letto il film, né su quello della suspence/horror perché senza colonna sonora le scene più paurose sarebbero poca cosa.
Insomma, un film riuscito a metà che però, nonostante tutto, riesce comunque ad intrattenere.