“Il bambino che eri sarebbe orgoglioso dell’adulto che sei diventato?”: è quanto chiede il nuovo film di Paolo Ruffini, Rido perché ti amo, che torna a essere anche interprete oltre che regista.
Da bambini, Leopoldo e Amanda si sono promessi amore eterno. 25 anni dopo alle prove del matrimonio le cose sono cambiate: Leopoldo (Nicola Nocella) è diventato un pasticcere di fama mondiale, concentrato su sé stesso e proiettato solo sul lavoro; Amanda (Barbara Venturato) ha rinunciato al sogno di una carriera da ballerina, insegna danza classica ed è rimasta una bambina che sogna, vuole l’amore. Ma arriva una lettera a sconvolgere il dorato equilibrio: dall’Opéra di Parigi viene richiesta urgentemente la presenza di Amanda, come coreografa di un nuovo spettacolo. Lei chiede a Leo di accompagnarla, lui rifiuta e annulla il matrimonio, disattendendo la promessa fatta. Amanda allora prende la decisione più difficile della sua vita e parte da sola. Che succede poi?
Un film tra commedia romantica e fiaba che ha come altra protagonista importante la Piazza (dedicata a Carlo Pedersoli, alias l’indimenticabile Bud Spencer): un microcosmo di commercianti e amici che hanno visto crescere la coppia e che vivono l’amore con sfaccettature diverse. A popolarla è un ottimo cast, tra cui spiccano, oltre ai già citati, il compianto, bravissimo Enzo Garinei, Loretta Goggi, Lucia Guzzardi, Daphne Scoccia, Greg, Claudia Campolongo, Simone Brescianini e la cantante Malika Ayane, che interpreta anche la canzone che dà il titolo al film e scritta da Giuliano Sangiorgi. La sceneggiatura è a quattro mani. Ruffini, Nocella, Francesca Romana Massaro e Max Croci, recentemente scomparso.

Del film abbiamo parlato con il regista Paolo Ruffini.
Cosa – del presente, tuo o sociale, o del tuo passato – ti ha spinto verso questo nuovo lavoro?
Un grande desiderio di commozione. Dal punto di vista artistico è da tanto che non mi commuovo guardando un film italiano. Mi sembra che ci sia una specie di copertura emotiva, nel senso che né si ride né ci si commuove tanto: invece secondo me il cinema può, e deve anche, permettersi di spezzare questo equilibrio. Gli ultimi lavori che ho fatto vanno proprio incontro a questo mio desiderio di deragliare un po’, cioè di fare un film che possa non vergognarsi di essere molto buono. Oggi siamo in un’epoca in cui tra gli insulti c’è ‘Sei un buonista’: si, e quindi? che vuol dire? Rodari è un autore da emarginare? Credo che Rido perché ti amo sia un film che pensa alla società, perché l’amore è un’occasione sociale: amore vuol dire anche conoscersi, toccarsi, scambiarsi delle emozioni, ma sui social non vige l’amore, il contrario. Il clima del film è quindi un po’ antisociale perché ormai c’è una certa refrattarietà a parlare d’amore: invece è un argomento importante, ma forse a furia di pensare che è banale non lo affrontiamo più. Come sempre, fa più rumore un albero che cade che non una foresta che cresce.
Com’è stato lavorare con la leggenda Enzo Garinei ?
Un uomo straordinario, di una professionalità antica: sia lui, che Lucia Guzzardi e Loretta Goggi li ho chiamati per invitarli a far parte del cast e tutti e tre mi hanno risposto ‘no, noi vogliamo incontrarti, fare una lettura’. Mi sono trovato nell’imbarazzo di fare loro quasi un provino e questo è sintomatico della professionalità di una volta. Garinei ha girato il film che aveva 94anni, e non si presentava mai con il copione, sapeva tutto, e ha pure fatto un passo di tip tap: una generosità sempre sorridente. Sul set c’erano sempre pronti gli assistenti alla regia con le sedie in mano che gli dicevano ‘maestro, prego’ e lui ‘no, no, ci mancherebbe. Anzi, datela alla signorina’. Una galanteria di altri tempi!
Nel film risalta l’importanza delle emozioni, del saperle esprimere e volerle vivere: ma nella società permane il detto “un uomo non piange”…
E’ un retaggio culturale passato, quando si esaltava la freddezza come segno di maturità, ma credo il contrario: credo che il piangere sia un grande segno di forza, penso che le cose più forti della vita siano le fragilità. La fragilità è il più grande segno di indistruttibilità che può anche rompersi. Le cose più interessanti sono fragili: dalla vita stessa, all’amore, all’esistenza, alla natura. Chi pretende da sé stesso la perfezione, l’impassibilità emotiva di fronte agli eventi, pretende qualcosa di innaturale.

Mi ha fatto piacere rivedere Simone Brescianini, l’attore con la sindrome di Down già molto apprezzato nel tuo documentario/spettacolo “Up&Down-Un film normale”: non poteva mancare in un film che parla di sentimenti…
Non faccio mai proclami. Qualcuno magari avrà detto ‘è un film inclusivo’. Io non tendo a giustificare le mie scelte perché se le giustifichi, o sottolinei, crei la differenza. In me la differenza non c’è. Per me lui è un attore che era giusto per quel ruolo, giusto per l’incanto di quel momento: risolve le situazioni con la semplicità di chi se deve ottenere qualcosa la chiede. Interpreta bene il ruolo di un uomo molto semplice e questo mi ha entusiasmato. Penso che noi, che abbiamo i cromosomi cosiddetti normali, siamo diventati di una banalità, di una noia mortale. Io, se posso, frequento persone che hanno delle anomalie genetiche a livello cromosomico, ma per puro egoismo: li trovo più interessanti. Ricordiamocelo sempre: quel cromosoma in più consente di avere come vantaggio una confidenza con la felicità che a noi spesso manca. Quindi, in un film d’amore mi sembrava opportuno inserire anche una persona che geneticamente riesca a dare del tu all’amore molto meglio di noi.

Perché hai scelto il ruolo di gestore di un videonoleggio?
Era qualcosa che avrei voluto sempre fare. Sono nato come gestore di un cineforum ‘Il nido del cuculo’. Come il mio personaggio, a quei tempi avevo così tanta riverenza nei confronti del cinema che dicevo ‘non faccio il regista, non faccio film, ma faccio vedere bene i film degli altri’. Sono un cinefilo, amo tantissimo il cinema, la maggior parte delle cose che so del cinema, le ho imparate frequentando i videonoleggi, dove le videocassette erano per me dei libri con sul retro tutte le informazioni necessarie, con anche la durata del film, c’erano i generi, molto ben definiti: commedia, thriller, azione, ecc. Ecco perché mi sono voluto ritagliare questo ruolo un po’ vintage, dal sapore antico, come tutta vintage è dopotutto la piazza dedicata a Carlo Pederzoli, con i negozi, i negozianti con le loro personalità, le loro vicende. Oggi la nostra piazza è il cellulare, Instagram, ma io continuo a preferire la piazza reale e vedere i film al cinema!
Progetti futuri?
Tra poco uscirà un altro film, Uomini da marciapiede, di Francesco Albanese, di cui ho scritto la sceneggiatura: una commedia divertente con degli uomini pieni di debiti, che devono sbarcare il lunario e si rendono conto che durante gli Europei di calcio possono fare i gigolò a pagamento perché le donne sono in giro e gli uomini a casa a guardare le partite. Tornerò in teatro con Quasi amici, adattamento del film francese omonimo: io nel ruolo dell’aiutante del signore in carrozzina che sarà Massimo Ghini: quattro mesi di tournée nei teatri, da gennaio a Pasqua.