Una volta la Pixar – con l’esordio di Toy Story-Il mondo dei giocattoli (1995) – era uno studio innovativo, grazie anche agli investimenti di Steve Jobs: ora, dopo l’acquisto della Disney, le sofferte dimissioni nel 2019 del “moderno Walt Disney” John Lasseter (che era stato dal 2005 al 2018 direttore creativo della Pixar e dei Walt Disney Animation Studios), continua a lavorare sui temi e le soluzioni tecniche che l’hanno fatta grande, ma in una logica produttiva che sembra soffocare un po’ la creatività. Pur se lo standard resta sempre di alto livello.
Elemental, ventisettesimo lungometraggio dello studio è così senza dubbio valido dal punto di vista tecnico-artistico, con valori sociali che parlano anche agli adulti, il consueto affascinante fotorealismo e una calibrata progettazione dei personaggi, ma… narrativamente è alquanto prevedibile.
Per questo film che, con un calibrato mix di humor e pathos, gioca sugli opposti che si attraggono in modo inconsueto, il regista sceneggiatore e storyboard-artist Peter Sohn si è liberamente ispirato al proprio vissuto: è cresciuto nella multiculturale New York come figlio di immigrati coreani.
Sul piano narrativo le famiglie occupano un posto importante, non solo perché è sempre più presente nei lavori della Pixar – dopo l’uscita di Lasseter – la riflessione sull’emancipazione dei figli dai genitori, ma anche perché sono un terreno fertile per gag comiche e fucine di emozioni, interpersonali e sociali.

La storia si svolge a Element City, megalopoli specchio della società americana di oggi: ci sono i grattacieli, le sopraelevate, le gerarchie che dividono borghesi da poveri. Nella megalopoli vivono le incarnazioni fisiche dei quattro elementi naturali: acqua, aria, terra e fuoco. I migranti, fanno parte di quest’ultima categoria. Gli è stato cambiato il nome all’arrivo ad Ellis Island perché il funzionario non riusciva a capire la loro pronuncia, vengono discriminati perché tendono a distruggere tutto ciò che toccano e vivono per conto loro in un apposito quartiere. E’ qui che cresce Ember, cui il padre Lumen spera vada un giorno il suo negozio di alimentari. Ember è una gran lavoratrice, però ha problemi a gestire il rapporto con i clienti: è facilmente incline a scoppi d’ira, che portano le sue fiamme a diventare da giallo-rosse a viola. Proprio durante uno di questi momenti, Amber provoca una rottura nelle tubature del negozio, che si allaga in parte. Arriva Wade Ripple, ispettore comunale e abitante fatto d’acqua che, controvoglia, le fa una multa: Ember rimane spiazzata dall’incontro con lui, dopo anni di racconti negativi sugli abitanti acquatici, invisi al padre. Per salvare il negozio dalla chiusura, collabora con Wade, suo opposto. Di famiglia abbiente, Wade è emotivo e molto incline al pianto, ma riesce a instaurare un dialogo con gli altri senza perdere le staffe al contrario di Ember. Le loro due etnie – acqua e fuoco – rendono la loro relazione piena di ostacoli, eppure scoppia la scintilla, che porterà Elemental City a cambiare per sempre.
Peter Sohn torna dietro la macchina da presa per la Disney-Pixar dopo il bello, ma non molto ben accolto al botteghino, Il viaggio di Arlo (2015): rischia poco, si adagia su modelli precostituiti, ma sa come far battere il cuore.
Tuttavia non è di amore che parla Elemental: l’obiettivo primario è far comprendere al pubblico i sentimenti degli immigrati di prima e seconda generazione, di chi è arrivato con un forte desiderio di ricominciare, prosperare e costruire qualcosa e di chi è figlio di queste persone e sente il peso di quel sacrificio.
L’animazione è come ci si aspetta dalla Pixar fantastica e occasionalmente sbalorditiva. Mancano i picchi emotivi cui siamo abituati, ma a colpire è il traguardo raggiunto dalle creatività delle evoluzioni visive Pixar per portare sullo schermo acqua e fuoco: mai viste prima in un film animato digitalmente!
Ottima la colonna sonora di Thomas Newman: a cantare la versione italiana di “Per sempre ci sarò” è il bravo rapper gardenese Mr. Rain (alias Mattia Balardi, ndr), autore anche dell’arrangiamento, che potrebbe diventare il prossimo tormentone estivo.
Ultima nota. A differenza di Toy Story-Il mondo dei giocattoli e dei film di quegli anni, oggi c’è la tendenza da parte della Disney di fare film “per grandi e piccini”: è la scelta giusta? Non si rischia che i due mondi siano interessati solo alla parte che li riguarda, uscendo così dal cinema “soddisfatti a metà”?
