Un bel film, politico, pieno di ironia, intelligente e sentimentale, sull’invecchiare, sul tempo ormai andato, sulla difficoltà di adattarsi al mondo che cambia troppo in fretta, sull’essere sempre e comunque minoranza che però deve stare al mondo al meglio possibile. Ma è anche un film che sogna di “rimettere le cose a posto” (se non si può farlo nel presente, proviamoci almeno… nel passato!), con tono anche caustico, quando serve, non risparmiando nessuno, nemmeno sé stesso. Questo è Il sol dell’avvenire, quattordicesimo lungometraggio di Nanni Moretti, uscito oggi nelle sale italiane prima di essere presentato, in concorso, al Festival di Cannes 2023. Un film nel quale Moretti mostra di essere consapevole del mondo che lo/ci circonda in tutte le sue sfumature, individualità e derive.
Con questo lavoro il regista ritorna al piacere di raccontare sentimenti, storie di ieri e di oggi – come in Caro Diario, Ecce Bombo, Io sono un autarchico -, far ridere e piangere, scrivere film “suoi”, rimettersi al centro dei suoi film e soprattutto non seguire le mode: parlare oggi di politica in un film è una colpa? E omaggiare Federico Fellini (“Il cinema è come il lavoro dei trapezisti, non sai mai cosa succederà”)? Voler dirigere per lo più solo attrici e attori a lui più cari è una colpa?

Il sol dell’avvenire si sviluppa su diversi piani narrativi. C’è lo spettro della guerra. Giovanni (Nanni Moretti) è un regista che, con la moglie Paola, produttrice (Margherita Buy), vuole girare un film sui comunisti italiani e il 1956, cioè quando l’Urss invase l’Ungheria reprimendone duramente la voglia di libertà. Ennio (Silvio Orlando), dinamico giornalista dell’Unità, e la moglie Vera (Barbara Bobulova), militanti della sezione Pci del quartiere romano Quarticciolo, hanno nel frattempo invitato a Roma un circo per allietare le masse: solo che il circo Budavari è ungherese: come comportarsi? Aiutarli o annullare lo spettacolo?
Ci sono poi altri due livelli narrativi, concatenati: quello della crisi del rapporto tra il regista e la moglie, unito ad un attacco nei confronti di un certo cinema che mette in scena la violenza fine a sé stessa. Vera sta producendo, con un altro regista (Giuseppe Scoditti), un film d’azione che non piace a Giovanni perché “ha contenuti poco etici” (usa la violenza come intrattenimento), tanto da spingerlo ad andare sul set e bloccare proprio l’ultima scena, quella di un’uccisione a freddo (“Tutti quanti, registi, produttori, sceneggiatori, sono preda di un incantesimo – dice Giovanni -. Un giorno vi sveglierete e piangerete, rendendovi conto di ciò che avete combinato”, e a sostegno della sua tesi chiama i suoi amici illustri, da Renzo Piano a Corrado Augias, fino a Martin Scorsese). Questa inattesa escursione sul set mette ancor più in crisi il suo matrimonio: perché il film parla anche d’amore e di rapporti di coppia, utilizzando allo scopo, con risultati emotivi innegabili, diverse canzoni italiane (Noemi, Tenco, De André, Battiato).
Altro livello. Tanto preso da questo suo film sul passato, Giovanni fatica a confrontarsi con il presente, specie con le nuove generazioni, rappresentate soprattutto da sua figlia (Valentina Romani) che compone musiche e si innamora di un uomo molto più grande di lei (Jerzy Stuhr),
In Il sol dell’avvenire Moretti pone una domanda chiave: come raccontare il presente quando non è più tempo per gli intellettuali e i giovani si nutrono di immagini riciclate. Nessuno di loro ascolta più gli intellettuali: oggi – sembra dire Moretti – ci si ferma alla superficie, nessuno vuole approfondire l’essenza delle cose, nel cinema (molto bella la scena del suo astio per l’invasione di campo delle piattaforme, Netflix in primis) come nella politica. L’ideale è morto, il Partito è solo un ricordo (Il sol dell’avvenire citato nella canzone partigiana Fischia il vento era il simbolo di un socialismo che avrebbe dovuto illuminare il futuro).

Nell’epoca dei tanti contenuti, dell’ansia di vedere tutto, dell’aggiornamento obbligatorio per non rimanere mai indietro, il film sembra un oggetto arrivato da un altro tempo per spiegarci cosa abbiamo perso, cosa stiamo ancora perdendo, mentre siamo impegnati a correre instancabilmente.
Potente nel suo effetto nostalgia, il film esplode in un finale tutto da vedere, una festosa parata laica: il regista romano fa sfilare su via dei Fori Imperiali, in una marcia per la libertà, non solo i personaggi di questo film, ma quelli di tutti i suoi film, da Giulia Lazzarin a Renato Carpentieri, da Jasmine Trinca ad Anna Bonaiuto, fino a lui stesso che saluta i suoi spettatori. Insomma, questo film è Nanni Moretti all’ennesima potenza. Un film-testamento sulla morte della politica, del cinema, dell’amore e della morale sociale.