“Sono un uomo fortunato” così spesso mi ripeteva Mario Fratti, con gli occhi che gli brillavano fra il faceto e il gioioso. Mario aveva questa particolarità, di farti sentire vivo insieme a lui, di metterti una strana adrenalina addosso che sembrava rendesse tutto semplice e giocoso.
Lo incontrai per la prima volta nell’autunno del 1996, quando giovane teatrante approdata a New York per una internship al teatro The Kitchen, mi dissero che in quanto italiana dovevo assolutamente conoscere il grande Mario Fratti che allora gestiva insieme a sua figlia Valentina, regista e produttrice, il Miranda Theater. Non ricordo dove lo incontrai per la prima volta, ricordo solo che da subito mi incoraggiò a fare teatro italiano raccontandomi di quanto fosse poco conosciuto in America. “Abbiamo grandissimi scrittori e nessuno li conosce!” ripeteva sempre a chiunque mentre consegnava la lista di autori italiani che teneva in tutte le sue tasche. In quegli anni Mario apriva gratis la domenica e il lunedì il Miranda Theater a compagnie italiane, perché facessero teatro italiano, appunto. Iniziai lì, grazie a lui, la grande avventura della Kairos Italy Theater. Mario amava l’arte, in assoluto, e non smetteva di farla, vederla, respirarla e incoraggiarla. Era venuto negli Stati Uniti negli anni ’50, credo, e oltre ad insegnare alla CUNY aveva iniziato a scrivere sia in inglese che in italiano testi teatrali. “Scrivo sempre in una lingua e poi traduco nell’altra, devi sempre tradurre le opere e farle sia in Italia che negli Stati Uniti, così ti si aprono le porte del mondo” diceva e aveva naturalmente ragione.
Mario aveva trovato la fama dopo aver scritto Sei donne appassionate, basato su 8 e ½ di Fellini. Venne notato quando fece il suo debutto londinese e da li’ nacque Nine, il famosissimo musical, che lo portò ad essere il primo italiano pluripremiato ai prestigiosissimi Tony Awards.
Mario scriveva tantissimo, mi raccontava in continuazione di idee avute e del prossimo copione che avrebbe scritto e presto messo in scena in uno dei teatri indipendenti di New York che tanto lo amavano. Quando decidemmo di buttare il cuore oltre l’ostacolo e fare teatro in Inglese e italiano, proponendo il Double Theater, un atto unico italiano recitato prima in inglese e poi in italiano da due differenti cast di attori, lui con entusiasmo e generosità trovo’ il teatro, ci diede una sua opera e si adoperò per fare promozione. La formula comprendeva Mario che nell’intervallo spiegava cosa volesse dire tradurre un’opera in un’altra lingua. Fu così che la KIT iniziò a crescere e a diventare quella che e’ oggi, la compagnia italiana teatrale a New York, la cui missione e’ – guarda caso – fare conoscere il nostro teatro nel mondo. Fu lui, che nel 2013, inauguro’ il nostro festival di teatro italiano In Scena! raccontando ancora una volta quanto la drammaturgia italiana dovesse trovare posto all’estero.
Negli anni, tanti e sempre insieme, sia che si trattasse di andare a teatro (e a cena e poi al cinema, con me stanca e lui arzillissimo) o che si trattasse di fare teatro, presentare autori italiani o aiutare artisti italiani a NY, ho visto non so più quante opere di Mario in scena, moltissime a sfondo socio-politico, in vari teatri di NY e dintorni. Negli anni ho collezionato tutta l’opera omnia di Mario, inclusi degli atti unici scritti per i suoi studenti di italiano, che lui stesso mi diede in copia originale per ‘usarli per insegnare italiano agli americani’. La sua tenacia, la sua passione e il suo amore per il teatro italiano mi hanno convinta così tanto ad abbracciare pienamente la sua battaglia per il riconoscimento della nostra drammaturgia all’estero da decidere, nel 2014, di intitolare a lui il Premio per la Drammaturgia all’interno del festival In Scena! “Ma i premi si intitolano solo ai morti!” mi disse fra il preoccupato e il divertito. “Mario, appunto! Il morto non può godere di un premio a lui dedicato, invece da vivo puoi fare tuo il premio, decidendo il vincitore e accogliendolo a New York.” Così fu. Mario, fin quando fu possibile, fu colui che scelse il vincitore (e non a caso, la prima fu una vincitrice, Carlotta Corradi, con un testo, Via dei Capocci, per sole donne) e che coccolò gli artisti italiani presenti al festival come solo un vero e proprio mentore poteva fare.

Nel 2017 celebrammo i suoi 90 anni durante la serata d’apertura del festival con una festa a sorpresa in cui chiamai tutti coloro che a New York e dintorni amavano Mario. La partecipazione fu totale e l’amore che si respiro’ quella sera mi fece pensare quanto Mario avesse dato negli anni, consapevole o meno, alla comunità artistica e a quella italiana di New York. Le mille foto che lo ritraggono al Festival e che vedo sui social in queste ore mi fanno pensare che anche noi abbiamo contribuito in parte alla sua celebrazione in vita.
Io non riesco a pensare che non ci sia più. Chi ha instillato amore, passione, vita a così tanta gente, non può morire. E dunque Mario c’e’ e rimane sempre con noi a celebrare il teatro e l’arte, soprattutto se vengono dall’italia.
