Il cinema torna muto. Doppiatori italiani in sciopero: per ora fino al 7 marzo ma l’agitazione potrebbe essere a oltranza in assenza di risposte concrete, con grave danno artistico ed economico. Quello dei doppiatori in Italia è infatti un patrimonio artistico e professionale unico al mondo, che vanta oltre 1.500 professionisti, 50 società specializzate e più di 100 milioni di euro l’anno di fatturato. Incredibilmente, però, questa industria non è mai stata oggetto di adeguata attenzione, in termini di ricerca socio-economica: caso sintomatico dei tanti deficit di conoscenza (veri e propri “buchi neri”) delle politiche culturali dei vari governi e dell’economia generata dal settore mediale nel nostro Paese.
I motivi dello sciopero? Variegati e tutti importanti. I lavoratori non chiedono solo il rinnovo del contratto collettivo, fermo al 2008 (da 15 anni un doppiatore in Italia guadagna in media 1880 euro netti al mese) ma anche una regolamentazione dei ritmi di lavoro, diventati sempre più insostenibili per il moltiplicarsi delle produzioni audiovisive con la prepotente entrata nel mercato di diverse piattaforme per la fruizione di contenuti multimediali d’intrattenimento, vedi Netflix, Amazon Prime Video, Apple Tv, Now, Disney+. “Per correre da uno studio all’altro mi capita di percorrere la tangenziale di Roma anche quattro volte al giorno. Una volta li ho misurati: 170 chilometri, tutti all’interno di Roma. Non abbiamo neanche uno straccio di adeguamento Istat!”, ha raccontato Alessio Cigliano, direttore di doppiaggio.
Altra importante richiesta dei doppiatori riguarda il riconoscimento della propria professionalità: un problema che le major conoscono benissimo, dal momento che esistono sondaggi dai quali risulterebbe che l’85% degli spettatori italiani preferisce il doppiaggio alla versione originale sottotitolata. Non dimentichiamo allora che i doppiatori hanno un ruolo fondamentale nell’economia dell’audiovisivo, svolgono una funzione essenziale nell’industria dell’immaginario, ma il loro lavoro – che si caratterizza per una forte componente artistica – non è mai stato apprezzato al meglio, né dagli imprenditori del settore, né dalle società di distribuzione cinematografica, né dalle emittenti televisive, né dalle piattaforme digitali.
Oltre ai sindacati CGIL, CISL e UIL, hanno aderito allo sciopero diverse associazioni di professionisti: dall’Anad (Attori doppiatori) all’Aidac (Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi) e all’Aipad (Assistenti del doppiaggio).
“E’ impensabile continuare a lavorare in condizioni contrattuali obsolete, con normative che non tengono conto di quanto il mercato dell’intrattenimento dell’audiovisivo sia cambiato negli ultimi 10 anni, e in più senza tutela per quanto riguarda la cessione dei diritti, con i rischi di un uso improprio dell’Intelligenza Artificiale”, ha detto Daniele Giuliano, presidente dell’Anad.
Proprio l’intelligenza artificiale sta disumanizzando i doppiatori, ledendo i sacrosanti diritti sempre più minacciati dalla tanto decantata rivoluzione digitale che doveva “rendere migliore il mondo del lavoro”! Pochi sembrano voler ammettere che la crisi del settore doppiaggio – dal punto di vista dei lavoratori – è lo specchio di come la digitalizzazione dei processi produttivi (e dei rapporti sociali!) determina spesso conseguenze nefaste: processi continui e striscianti di depauperizzazione (sia in termini economici sia in termini di qualità della vita e, in questo specifico caso, del lavoro).
L’Intelligenza Artificiale (AI) – non lo si può negare! – è un pericolo sempre più minaccioso per i lavoratori, in molti campi, compreso il doppiaggio. Rodolfo Bianchi, doppiatore e presidente di ADID (Associazione dei direttori di doppiaggio), ha detto a Variety: “Siamo forzati a firmare contratti che prevedono la cessione dei diritti all’uso della nostra voce da parte di compagnie di intelligenza artificiale: le voci italiane di tanti famosi attori stranieri – come, per esempio, quelle per Julia Roberts o Leonardo Di Caprio – possono essere riprodotte, usando la tecnologia digitale, in altre produzioni”. Insomma, voci senza corpo! Manipolazione vocale-facciale.
L’AI è un pericolo sempre più minaccioso per i doppiatori, ma non solo loro: Flawless, DeepDub, Altered, Amazon, Apple, Papercut, Digital Domain, e ultimamente ChatGpt, sono le principali aziende i cui sistemi il mondo produttivo cinematografico sta sempre più ampiamente utilizzando per eliminare unità e forme storiche del settore – dai doppiatori alle controfigure, al sincronismo tra immagine e parlato – depauperando l’essere umano! Arrivando anche a casi limite, come attori già defunti risuscitati dall’intelligenza artificiale applicata all’ingegneria del cinema (vedi Peter Cushing e Carrie Fisher nei recenti sequel di Star Wars!).
Non solo doppiatori, comunque. Altre categorie della produzione cinematografica e audiovisiva italiana stanno protestando: dagli stuntmen agli operatori delle troupe, ci sono contratti scaduti in media da 20 anni!