“Una vita senza coraggio, rimane vera a metà”, canta, come una carriera che si siede sul successo e smette di sperimentare. È quello che non vuole fare Laura Pausini, che al termine del concerto di ieri sera a New York ha regalato al suo pubblico un estratto del nuovo singolo “Un buon inizio”. Lo show è stato la prima tappa del mini tour che in 24 ore la porterà stasera a suonare anche a Madrid e Milano, per festeggiare i suoi 30 anni di musica.
“Prima di salutarvi e correre all’aeroporto, voglio sorprendervi. Terminiamo formalmente ora le celebrazioni dell’anniversario e guardiamo avanti”, ha urlato dal palco emozionata ai fan in piedi ad acclamarla, all’interno dello storico Apollo Theater, mentre partivano le prima note dell’inedito. Solo pochi secondi, ma abbastanza per capire che in questa canzone Laura si racconta. “Se hai la fortuna di fare una carriera come la mia lunga trent’anni, penso che sia un dovere non sedersi a festeggiare il successo. Bisogna avere sia il coraggio che il desiderio di andare a vedere cosa ci riserva il futuro. Io ho voglia di sudare, ho voglia di correre, di scoprire cosa c’è ancora da vivere”, ha detto l’artista che ha poi anticipato il prossimo, imminente, appuntamento americano: “Non vorrei andare via, ma vi assicuro che tornerò presto. Ecco, non dovrei dirlo, ma ci vedremo di nuovo ad aprile”.
Lo spettacolo “#Laura30” – con ingresso gratuito – doveva iniziare alle sei, ma i primi a mettersi in fila erano arrivati già alle due; alle tre i fan di Laura avevano invaso i marciapiedi della 125esima strada, nel quartiere di Harlem, dove si trova appunto l’Apollo, uno dei teatri più famosi degli Stati Uniti, dove si sono esibite le più grandi voci della musica americana e internazionale. Tra una canzone e l’altra, improvvisata da gruppi di amici, il vero grande quesito di tutti era: canterà più in italiano o in spagnolo? A guardare una folla così eterogenea si fa quasi peccato a ricordare le origini romagnole della Pausini. Laura sul palco è davvero di tutti. Messicani, peruviani, ecuadoregni, dominicani, portoricani, brasiliani, colombiani e ovviamente la comunità italiana, capitanata dal console Fabrizio Di Michele.
“Abbiamo aspettato che passassero le sei per fare in modo che in Italia fosse già il 27 febbraio. In questa data, esattamente trent’anni fa, mi esibii a Sanremo con la canzone “La solitudine””, ha ricordato la cantante, che per l’occasione ha scelto un abito nero con inserti dorati molto simile a quello che indossò a 18 anni per l’ultima serata del Festival, edizione 1993.
Ed è proprio con “La Solitudine” che la Pausini ha scaldato il teatro. “Non avete idea di quello che sto provando, questo è il primo concerto che faccio dall’inizio della pandemia. Mi siete mancati!”. Poi un’ora di successi, quelli del primo decennio, da “Non c’è” a “Strani amori”, cantati con grinta, alternando per ognuno alcune strofe in italiano, altre in spagnolo, inserendo qua e là anche un po’ di portoghese, inglese e francese. “Amo New York, è uno dei pochi posti in cui posso cantare in tutte le cinque lingue che conosco. E amo questo teatro – ha detto ancora la cantante di Faenza – perché ha una misura perfetta, riesco a guardarvi tutti negli occhi”.
Ancora connessi, lei e i suoi fan, nonostante i successi l’abbiano fatta diventare un mostro della musica, una leggenda. Laura si racconta, interagisce con il pubblico che l’adora; saluta il padre e la figlia, seduti tra le prime file e ringrazia il marito, che è anche il suo chitarrista, Paolo Carta.
La cantante italiana più famosa e premiata al mondo, senza rivelare i dettagli, ha poi anticipato un nuovo progetto. Per il momento, conosciamo solo il logo, che è poi la scenografia sul palco: una struttura di vetro che ritrae il profilo di due persone che corrono una verso l’altra. Le figure sono composte dall’incastro delle sue iniziali: la L e la P.
Il concerto doveva durare un’ora, organizzato al secondo, ma la sua genuinità, l’ha fatta sforare. Sentendo le urla del pubblico, ha scostato i tendoni rossi e si è messa a bordo palco a salutare e fare foto con tutti. Ha persino cantato a cappella, dopo aver rimediato un microfono.
“È il diciassettesimo show che seguo – ci racconta Jairo, all’uscita – sono originario del Portorico, ma vivo a Minneapolis; sono venuto a New York solo per lei. “Io ho davvero la sensazione che ci capisca, che viva le nostre stesse emozioni, indipendentemente dal successo”. Per Ever, dell’Ecuador, invece la Pausini è sempre stata una terapia: “Ho iniziato a seguirla quando sono arrivato in America. Quel giorno lei si esibiva qui. Me lo disse mio cugino e io iniziai ad ascoltare le sue canzoni”. Non ha più smesso. “Lego i suoi testi ai miei primi anni a New York, che sono stati difficili. Così ogni volta che sento ansia o tristezza, l’ascolto e mi calmo”.