Quarantotto ore dopo aver annunciato uno sciopero della fame e della sete, il grande regista iraniano Jafar Panahi, vincitore del Premio Speciale della Giuria all’ultimo Festival di Venezia per il film “Gli orsi non esistono”, è stato finalmente rilasciato su cauzione.
Panahi, 62enne, era detenuto dal luglio scorso nella prigione di Evin, a Teheran, per scontare una condanna a 6 anni di carcere comminatagli nel 2011 con l’accusa di “propaganda anti-governativa con la attività cinematografica”, gli era stato vietato di girare film per 20 anni e di uscire dal Paese. Era costretto in carcere illegalmente per volontà dei Servizi di sicurezza, anche se la Corte Suprema iraniana il 18 ottobre scorso aveva annullato la detenzione del regista dissidente perché “trascorsi più di dieci anni tra condanna e arresto”.
Prima di annunciare l’inizio dello sciopero della fame, Panahi aveva rilasciato dal carcere una dichiarazione – pubblicata su Instagram da sua moglie Tahereh Saeedi e dal figlio Panah – nella quale protestava contro il trattamento illegale e disumano da parte della magistratura e delle forze di sicurezza della Repubblica islamica e la loro “presa di ostaggi” e dichiarava di voler continuare lo sciopero “ fino a quando il mio corpo senza vita sarà forse liberato da questa prigione”.

Parole forti da parte di quello che possiamo considerare tra i più grandi registi iraniani, se non il più grande, autore di capolavori pluripremiati internazionalmente, quali “Lo specchio” (Pardo d’oro-Locarno-1997), “Il Cerchio” (Leone d’oro- Venezia 2000), “Taxi Teheran” (Orso d’Oro-Berlino 2015), e il sopramenzionato “Gli orsi non esistono”.
Quando è stato arrestato, Panahi si trovava nell’ufficio del Pubblico Ministero di Teheran per avere informazioni sul regista dissidente Mohammeds Rasoulov, incarcerato pochi giorni prima per aver firmato una lettera di protesta contro la violenza della polizia (dal 7 gennaio Rasoulov è libero – ma non può uscire dall’Iran – per ragioni di salute).
Da anni si susseguono i casi di violenza e arresti da parte della polizia degli ayatollah, ma il 16 settembre scorso l’arresto e le torture costate la vita alla 22enne curda Mahsa Amini per “un velo indossato male” hanno scatenato proteste in tutto il paese che non si sono più fermate. Alle manifestazioni hanno aderito in massa anche numerosissimi artisti che, come allo scoppiare della guerra in Ucraina, hanno espresso con forza la propria vicinanza alle vittime della violenza, il cui unico “delitto” è quello di chiedere una vita migliore.
La reazione, tuttavia, è stata virulenta: oltre alla soppressione delle comunicazioni e la chiusura dei social, si contano a decine i morti, centinaia gli arresti, le esecuzioni sommarie attuate dagli agenti di polizia iraniani per strada e nelle loro centrali (tutto ben documentato anche grazie ai social, TikTok in primis): più di 500 civili uccisi sommariamente, più di 100 membri dell’industria cinematografica iraniana sono stati arrestati o è stato loro vietato di fare altri film.
L’illegale detenzione di Panahi, “venerato” dal mondo internazionale della celluloide, la sua decisione di un duro sciopero della fame e della sete che rischiava di aggravare paurosamente il malcontento popolare, devono aver spaventato le autorità di Teheran: da qui, probabilmente, il suo rilascio. Il 4 gennaio scorso, le autorità iraniane hanno rilasciato la famosa attrice iraniana, dopo tre settimane e il pagamento da parte del regista Asghar Farhadi (Oscar 2017 come Migliore Film Straniero per The Salesman-Il Cliente) di un’ingente cauzione. L’attrice, che ha lavorato in quattro film di Farhadi, tra cui quello dell’Oscar, era in carcere per aver pubblicato un post in cui si diceva solidale con Mohsen Shekari (il primo manifestante arrestato per le proteste esplose in Iran per la morte di Mahsa Amini) e criticava la dura repressione delle proteste antigovernative.

La 14ª edizione del Bif&st (Bari International Film&TV Festival, dal 24 marzo al 1 aprile) che, prima della notizia del rilascio, aveva deciso di conferire il prestigioso Premio Fellini a Jafar Panahi, ha organizzato per il prossimo 28 marzo, al Teatro Petruzzelli di Bari, una iniziativa di protesta e di solidarietà con gli artisti perseguitati dal regime degli Ayatollah: saranno presenti alcuni registi iraniani in esilio e verrà proiettato il bel film “Leila’s Brothers”, di Saeed Roustayi e interpretato proprio da Taraneh Alidoosti.