Torniamo a parlare di Olive, personaggio ruvido, scostante, ma amatissimo dai lettori di Elizabeth Strout. Olive Kitteridge, il romanzo del 2008 dove compare per la prima volta, ha vinto il Pulitzer Prize e il Premio Bancarella, è diventato un best seller e ha proiettato la scrittrice nel firmamento dei grandi autori americani contemporanei.
Non sorprende quindi che Elizabeth Strout sia voluta tornare dieci anni dopo nella cittadina immaginaria di Crosby nel Maine dove Olive vive per raccontarci cosa le succede dopo. Lo ha fatto nel romanzo uscito nel 2019 Olive, again! Dopodiché ha scritto Oh William! e Lucy by the Sea, ma Olive è il suo personaggio più riuscito e in questo romanzo si confronta con gli anni che passano tema al centro della conversazione odierna con il numero sempre più elevato di anziani nella società.
Avevamo lasciato Olive, professoressa di matematica in pensione all’inizio della sua età ‘forte’, vedova di Henry, il farmacista, un figlio che viveva lontano, a New York, e un mondo di piccole abitudini quotidiane, di incontri con gente del posto.
Con gli anni poco è cambiato, ma ha incontrato Jack, un nuovo amore, vedovo anche lui ed ex docente ad Harvard, ora in pensione. Olive è sempre la stessa: rude, spigolosa, schietta fino ad essere spietata. Con se stessa prima ancora che con gli altri (si definisce “una vecchia ciabatta”).
Ma, sotto i modi spicci, capace di una profonda empatia e di una ruvida grazia nei confronti dell’umanità varia che incrocia. E’ ormai vecchia, sente tutto il peso degli anni, il suo corpo non la serve più come un tempo, anche Jack muore e la solitudine si fa tagliente come una lama, ma per fortuna non si lascia prendere dallo scoramento e non rinuncia mai a farsi attraversare da lampi di interesse e curiosità per ciò che la circonda.
Il tempo della vecchiaia può essere un tempo crudele. Olive guarda alla sua vita che è stata e si accorge “di averla sperperata per inconsapevolezza”.
Tuttavia, in un presente fatto di una progressiva resa alla inevitabile Fine delle Cose, Olive riesce a vivere piccole epifanie, a cogliere lampi di bellezza. Elizabeth Strout ha detto al NYT che uno degli scopi che voleva raggiungere con questo secondo capitolo della vita di Olive era dare dignità alla vecchiaia: “si pensa che quando una persona arriva ad una ‘certa’ età smette di crescere. Non penso sia così. Penso che fino all’ultimo respiro continuiamo a crescere, e che persino Olive con la sua ruvidezza possa divenire più empatica”.
Come nel primo libro, Strout compone un ‘romanzo in racconti’. In alcuni la nostra protagonista si affaccia di sguincio, apparentemente defilata, ma nella coralità della narrazione tutto torna a lei, delineandone la personalità.
La scrittura è impressionistica, fatta di periodi brevi, di dialoghi di realismo quotidiano, di scarti fulminei, capaci di passare da una riflessione intensa ad una imprecazione ad alta voce (“Accidenti!”) che anziché sminuire, esaltano la profondità della riflessione.
Non è una lettura indolore questa di “Olive, ancora lei!” non lo è per l’immedesimazione che comporta, perché é specchio per ogni lettore di quanto inesorabile sia l’età che avanza.
Ma l’ironia, l’autoironia, la curiosità mai domata per la bellezza del mondo, per il mistero spesso stupefacente dell’animo umano che sono in Olive ci fanno certi che fino all’ultimo valga la pena di restare ad occhi e cuore aperti. E che questo sia assolutamente un libro da leggere.