Ho vissuto nel 2022 tre mesi a New York per svolgere una breve ricerca etnografica sulla comunità siciliana di questa splendida città. Un’esperienza affascinante che, sebbene programmata in tutti i suoi dettagli prima della partenza dall’Italia in un progetto concordato con l’Università di Messina e la Stony Brook University, mi ha fatto scoprire aspetti culturali e sociali che non avevo immaginato.
Entrare nelle abitazioni delle famiglie, frequentare i luoghi pubblici di stampo siciliano, parlare con operatori dei media e della ricerca scientifica, leggere documenti e bibliografia che ho reperito in queste settimane, tutto ha dato una nuova prospettiva alla mia ricerca. Se prima di partire dall’Italia ipotizzavo che l’identità culturale siciliana fosse una costruzione di stereotipi attraverso la letteratura, il cinema e la fotografia, ora penso che l’identità siciliana negli Stati Uniti sia una “invenzione” frutto di una raffinata strategia di marketing che “vende” prodotti, personalità, atmosfere, sogni.

Le diverse Little Italy che ho visitato a New York sono tutte isole, come la Sicilia, che narrano una idea, cioè una concezione della vita bella, serena, di buon gusto e una storia, di una comunità nata da una diaspora che coltiva il sogno del ricongiungimento un giorno alla terra natia. Ho ripensato molto al film Big Night, che racconta di due fratelli che volendo mantenere i gusti originari della gastronomia italiana regionale, finiscono per far fallire la loro impresa. Piegare i gusti verso le esigenze “americane” è stata, e rimane, un’esigenza che rende chiara la questione dell’identità culturale. E’ una costruzione e, in quanto tale, non ha canoni di purezza da difendere e nei quali riconoscersi. E’ cangiante, si adatta, trova forme di aderenza a un contesto sociale e culturale “impuro”, come sostiene Clifford, perché i frutti puri impazziscono.
Mi ha colpito particolarmente la visita a Brooklyn alla Ferdinando’s Focacceria, della famiglia Buffa. David, l’attuale proprietario di quarta generazione, pur essendo stato in Sicilia soltanto una volta nel corso della sua vita, parla, pensa, crea sulla base di una memoria culturale fatta di arancini, panelle, cannoli e altre leccornie siciliane che i suoi clienti probabilmente apprezzano soltanto per la esoticità, tipicità che il nome Sicilia porta con sé. Ho gustato lì una pasta con le sarde che oggi in Sicilia è una rarità, difficile da cucinare in casa e rara da trovare al ristorante. Ho dovuto attraversare l’Oceano per gustare un piatto che io, siciliana, posso raramente mangiare in Sicilia.

Questo ci dice che la Sicilia, la sua identità e le sue tradizioni, non è fisicamente radicata nel Mediterraneo. Questa è l’idea residua di quando, nei secoli scorsi, ciascuno viveva a casa propria. Oggi la realtà è profondamente diversa e io trovo ciò che rappresenta il mio passato dall’altra parte dell’oceano, in un luogo geografico allusivo, immaginario, ideale.
La focacceria di Ferdinando, per quanto ciò possa apparire incredibile, è nel mondo odierno una metafora della condizione umana: siamo tutti viaggiatori e la nostra identità, per dirla ancora una volta con James Clifford, più che un luogo è una strada, un percorso che conduce a mete sconosciute, imperscrutabili, inattese. Paradossalmente la condizione umana contemporanea, sia che siamo seduti di fronte al nostro computer o con lo smartphone tra le mani, sia che siamo seduti al tavolo di un ristorante, ci parla sempre di qualcos’altro, di un altrove, di mondi lontani fisicamente, che diventano vicini per magia e incanto. I linguaggi, le parole, ogni metafora appare come la navicella spaziale che unisce continenti, pianeti, spazi lontani ma interconnessi.
Mi sembra di poter concludere – almeno parzialmente e allo stato dell’arte delle mie ricerche – che proprio quelle caratteristiche e quei segni culturali che tanto hanno pesato sulla capacità di integrazione dei siciliani a New York negli anni 1880-1960, spesso bollati come mafiosi, analfabeti, poveri, ultimi della storia, oggi rovesciano la prospettiva e appaiono in un contesto multiculturale e interculturale come caratteristiche e segni positivi. Non c’è soltanto il riconoscimento o l’autoriconoscimento, ma la rappresentazione di un’immagine che, nel frattempo, si è strutturata e ha svelato il proprio volto multiforme. David, il conduttore attuale della Fernando’s Focacceria, ritiene che il film The Godfather, di cui nel 2022 ricorreva il cinquantesimo anniversario, sia diventato ormai un classico; viene visto e studiato nelle scuole e nelle università; trascende la valutazione etica della storia narrata. Mirabilmente, David ha colto un punto cruciale: la letteratura o il cinema, nella loro opera di costruzione dell’identità di un gruppo sociale (in questo caso della comunità siciliana di New York), possono andare oltre e rilanciare sensazioni, percezioni e sentimenti inattesi.
Studiare questa specifica evoluzione del rapporto tra identità e strumenti per la sua costruzione è per me una sfida importante, all’interno della ricerca che sto realizzando per il mio Ph.D. in Scienze umanistiche. Una svolta significativa in un campo che, nonostante le apparenze, risulta ancora abbastanza inesplorato.
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