Un musico alla corte dei Gonzaga di cui si è persa in parte la memoria presentato al pubblico newyorkese attraverso le sue opere religiose. Salomone Rossi, musicista italiano e ebreo, è stato protagonista di una serata speciale al Merkin Hall del Kaufman Music Center di New York. Con il sostegno del New York State Council on the Arts, appoggiato dall’ufficio del Governatore e dalla Legislatura dello Stato di New York, la Zamir Choral Foundation ha presentato un concerto dei Mantua Singers interamente dedicato alle sue musiche. Dal palco del teatro, che e’ a pochi passi di distanza dal Lincoln Center, il coro ha reso omaggio con le sue incredibili voci a un musicista fino ad ora in gran parte sconosciuto per il largo pubblico americano. E la cui storia rappresenta un capitolo quasi inedito nella lunga vicenda della presenza degli ebrei in Italia.

Salomone Rossi (o Salamone in alcune dizioni inglesi) era nato a Mantova attorno al 1570, in un’epoca in cui l’Inquisizione e l’istituzione dei ghetti rendevano amara la vita di tutte le comunita’ ebraiche italiane. Il signore della città, il duca Vincenzo Gonzaga, non faceva eccezione, tant’è vero che nel 1590 aveva espulso tutti gli ebrei stranieri, nel 1602 aveva vietato ai medici ebrei di curare pazienti cristiani senza un permesso speciale e nel 1610 aveva creato il ghetto. Malgrado questo, pero’, si mostrava spesso più tollerante di molti altri signori del tempo nei confronti di quella piccola minoranza dei suoi cittadini.
Così, lo straordinario talento di quel giovane violinista ebreo non gli era sfuggito, e già nel 1587 lo aveva chiamato alla corte ducale per intrattenere i suoi ospiti. In un momento in cui tutta la musica italiana si stava profondamente rinnovando, grazie anche al genio di Claudio Monteverdi, il giovanissimo Salomone non lo aveva deluso. Nei quarant’anni in cui era rimasto alla corte dei Gonzaga, Rossi aveva scritto le musiche per i banchetti e le feste nuziali, per le produzioni teatrali e perfino per le cerimonie religiose in chiesa. E contemporaneamente aveva musicato i versi di diversi poeti del tempo. Famoso per i suoi duetti, i trio e i madrigali, si era mostrato un autentico innovatore, capace di innescare la transizione tra la musica tardo rinascimentale e quella barocca. Il ducato lo aveva ringraziato per i suoi servizi esentandolo dall’obbligo di portare il segno distintivo giallo obbligatorio per tutti gli altri ebrei.
Riverito a corte, comunque, Salomone Rossi non aveva dimenticato la sua cultura e le sue origini. Durante il concerto a lui dedicato al Merkin Hall e diretto dal maestro Matthew Lazar, il pubblico ha avuto modo di scoprire le rivoluzionarie armonie che il compositore ha scritto per musicare alcune delle più tradizionali preghiere ebraiche, dall’Halleluyah al Kaddish recitato per onorare i defunti. Grazie alle voci della soprano Benjie Ellen Schiller, del tenore Josh Breitzer e degli altri membri del coro, le melodie tradizionali, cantate in ebraico, si sono rinnovate con le note della musica barocca.
A rendere speciale il concerto che i Mantua Singers hanno dedicato al musicista italiano, tuttavia, non e’ stata solo la musica. Dopo la sua morte nel 1630, forse per l’invasione delle truppe imperiali austriache che avevano sconfitto i Gonzaga e saccheggiato il ghetto, o forse a causa della peste, il nome di Salomone Rossi era stato quasi dimenticato al di fuori del mondo dei musicologi specializzati. Di Salomone ”hebreo” non si ricordava più nessuno.
Adesso, invece, se ne parla e lo si ascolta sempre più spesso. Nel suo bel film ”Babylon”scritto e diretto da Jessica Gould, che ha vinto oltre 90 premi e che la Casa Italiana della New York University ha presentato recentemente in esclusiva a New York, ad esempio, la regista ha messo a confronto le musiche di Rossi ispirate al Salmo 137 con le musiche afroamericane degli anni della rinascita di Harlem.
A testimoniare i profondi legami e gli scambi tra la cultura cattolica dei tempi più bui e gli artisti provenienti da una minoranza chiusa nei ghetti, tra l’altro, non e’ soltanto al storia del grande musicista. Solo qualche giorno fa, per esempio, anche il New York Times ha pubblicato la notizia della scoperta, grazie alle ricerche dell’ebraista Piergabriele Mancuso e della ricercatrice degli Uffizi Maria Sframeli, di un pittore ebreo, Jona Ostiglio, alla corte dei Medici a Firenze. Nato all’inizio del Seicento e attivo tra il 1660 e il 1690, durante il granducato di Ferdinando II e di Cosimo III, Ostiglio era riuscito ad ottenere commissioni non soltanto dai Medici, ma anche da altre famiglie nobili e ad ottenere, unico ebreo fino all’emancipazione, la prestigiosa ammissione alla Accademia delle Arti. Adesso, i quadri che non aveva firmato, ma che erano già esposti agli Uffizi e alla Farnesina, avranno finalmente una firma. E magari, dopo il concerto di Salomone Rossi, saranno le pareti del Metropolitan Museum ad onorare un altro artista italiano dalla storia inconsueta e finora sconosciuta.