Cala il sipario sul festival Play it again In Scena! Un’edizione davvero speciale, dopo lo stop formato a causa della pandemia, che ha riportato l’Italian theater festival nei cinque distretti di New York, dal 3 al 21 maggio 2022.
Abbiamo intervistato Laura Caparrotti, ideatrice e direttrice artistica del festival dal 2013, per capire come sta reagendo il mondo della cultura In Usa dopo la riapertura dei teatri.
Anche attrice, giornalista e regista romana ma di origine calabresi, Laura conosce alla perfezione lo scenario artistico americano. A New York dal 1996, nel 2000 ha fondato la KIT-Kairos Italy Theater Inc., una compagnia dedicata totalmente a diffondere la cultura italiana nel mondo.
Come è andata questa edizione dopo le chiusure temporanee dei teatri?
” Una rassegna molto speciale ma è stata difficile da organizzare. Il virus che non da tregua e che ci ha fatto rimandare una produzione e cancellare uno spettacolo dall’Italia, il pubblico che ancora stenta a tornare in teatro anche se quando torna è evidentemente affamato di spettacoli, i partner che hanno riaperto anche loro con tutte le difficoltà che si possono immaginare. Insomma, non è stata una passeggiata, però l’entusiasmo e il calore del pubblico ci hanno ripagati di tanta fatica e abbiamo ricevuto complimenti bellissimi per aver proposto un programma di alta qualità. Adesso guardiamo al 2023 sperando di poter presentare il Festival nella sua totalità e sperando di essere allora in tempi migliori”.

Cosa significa per il mondo dello spettacolo in generale ricominciare a dialogare con il pubblico?
“Lo ritengo necessario e fondamentale, dopo questo periodo di chiusura, anche per poter tornare a nutrire la parte più creativa di noi, l’anima, le emozioni. Tutte cose che in qualche modo abbiamo sacrificato negli ultimi due anni. Sicuramente è stato più difficile anche reperire i fondi necessari per allestire il festival e le persone per ora sono ancora diffidenti. Le energie sono nettamente cambiate”.
Che temi sono stati portati sul palco del festival?
“Tutte le performance sono state molto intense, gli argomenti sicuramente attuali e delicati. Tra gli spettacoli in italiano con sopratitoli, Confino – frammenti per una tragedia mancata (Exile), di e con Alessandro Tampieri. Con La vedova scalza (The Barefoot Widow), si denuncia la violenza dallo strapotere fascista alle consuetudini fossilizzate.
Le produzioni newyorchesi, in inglese, come Nascondino (Hide and Seek), di Tobia Rossi, traduzione Carlotta Brentan e per la regia di Carlotta Brentan, con Joseph Monseur e Michael Luzczak, ha portato sul palco la storia di Giò è un adolescente gay, fermamente convinto che nessuno lo ami.
“The Land of Swollen Faces”, è il vincitore del Mario Fratti Award del 2018, scritto da Paolo Bignami, traduzione Carlotta Brentan, di cui ho condotto la regia con Jay Stern”.
Ci siano molte differenze tra fare Teatro in Italia e fare Teatro negli USA?
“Assolutamente si. Da una parte, in America il teatro è business, l’arte serve, per fare soldi, ma anche per migliorare le menti di chi fa soldi. E’ un valore aggiunto necessario. Ci sono molti spettacoli validi a NY, dove si gode di una libertà creativa e di una preparazione molto scrupolosa. In Italia, purtroppo non è così. Personalmente, trovo il teatro italiano più interessante di quello americano… solo che non lo valorizziamo, non ci interessa che funzioni, non è parte integrante della crescita di una persona, come succede qui. Se si potesse combinare la creatività italiana con il fare business americano, avremmo forse il teatro perfetto!”.

Che differenze ci sono tra il pubblico americano e quello italiano?
“Il pubblico in America va a teatro, è molto curioso, vuole partecipare e sostenere. Lo ritiene un privilegio, non un passatempo.
Nonostante lo stop forzato, di cui tutti hanno sofferto, c’è una grandissima offerta di sconti, di facilitazioni, di eventi che fanno inevitabilmente riempire i teatri. Anche quelli piccoli
Dalla mia esperienza posso dire che, come compagnia di teatro italiano a New York, il nostro pubblico sè cresciuto in maniera esponenziale, abbiamo rapporti con scuole di italiano e di teatro. E’ un pubblico attivo, se cosi si può dire.
In Italia, ho come l’impressione che molte delle persone che seguono gli spettacoli siano più di chiamata, facciano parte della cerchia degli attori e del regista, a volte, o del teatro. Con l’eccezione ovviamente dei pochi grandi nomi che attirano la massa”.
