Ci sono persone che fanno bene quello che devono fare, altre soprattutto ciò che sentono di voler fare. La fotografa padovana Francesca Magnani nel suo rapporto simbiotico con New York che vive da oltre vent’anni ha sempre assecondato il “mood” di entrambi, e servendosi dell’istinto che segue umore e sentimenti lo ha immortalato.
Nella sede del Consolato Generale d’Italia a Park Avenue giovedì è stata inaugurata la mostra “La città in maschera”, una serie di scatti di Magnani a persone nei vari quartieri di New York al tempo della pandemia. Nella mostra caratteristica sempre presente la mascherina, che copre quei volti. Come dice Francesca “i newyorkesi hanno usato il face covering adattandolo alla loro personalità e facendone un mezzo espressivo. La mascherina é diventata maschera adattandosi via via allo stile di ognuno”.
Francesca, laurea a Bologna in Lettere moderne, arrivò alla City University di New York con una Fulbright un quarto di secolo fa, continuando poi ad insegnare nelle università della città la lingua italiana e lavorando nel campo delle traduzioni, mentre coltivava la sua passione di fotografa “di strada”. “Venendo da una formazione umanistica con una curiosità antropologica, le questioni d’identità e di autorappresentazione mi hanno sempre interessato, come anche il modo in cui la gente affronta le sfide quotidiane”. Francesca aveva “sentito” New York già durante la crisi dell’11 settembre di venti anni fa come dopo l’uragano Sandy, e quando nel marzo del 2020 è arrivata la pandemia di covid-19, “ho quindi catturato con la macchina dei movimenti e nelle espressioni di chi incontravo la stessa angoscia, incredulità, confusione che sentivo in me”. Ma mentre ogni giorno girava nei vari quartieri di New York, ha però anche visto “che gli abitanti della grande mela hanno quasi iniziato ad indossare i propri sentimenti su un pezzetto di tessuto: nei parchi, in metropolitana, al mercato, durante le manifestazioni di Black Lives Matter, al ristorante, sui ponti che giornalmente percorro”.
La mostra è appunto una collezione di ritratti di persone: “Quando è stato possibile ho sempre scambiato due parole sulle maschere che vedevo, perché intuivo che avevano una storia dietro e mi rendevo conto che alle persone che incrociavo faceva piacere condividerla con me. Siccome nessuno di questi scatti è stato programmato, ogni foto mi ricorda un itinerario che ho percorso e a va segnare un istante nella mia storia in cui una scintilla di connessione mi ha fatto sentire riconosciuta e umana”.
Al Consolato l’inaugurazione ha visto anche alcuni di questi “protagonisti” partecipare con Francesca che posava sorridente davanti alle foto dei “mascherati” poi smascherati accanto a lei. Il Console Generale Fabrizio Di Michele, artefice di questa mostra dopo aver scoperto le foto di Francesca in una precedente esibizione a Manhattan, durante la sua presentazione ha ricordato come le foto hanno impressionato anche il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio che ha potuto vederle quando erano state appena sistemate in Consolato.
A Francesca abbiamo chiesto se la sua New York, scattata durante la pandemia, l’ha sentita diversa da quella in cui ha vissuto prima del covid: “Per me è la stessa di prima e la vedo anzi ancora più intensa. Se ci sto a pensare quasi non mi ricordo neanche l’altra. Non avendo mai smesso di fotografare non ho mai avuto un prima e un dopo. Io ho considerato la strada un continuo, ad un certo punto ho visto arrivare sulla scena le maschere dopodiché io continuo a seguire la corrente. Quindi la vedo sempre in continuo movimento e mutamento, fa parte della sua natura essere così cangiante, quindi per me New York è la stessa. New York conserva il suo carattere. Si ripete sempre la parola resilienza, io direi che anche non usando quella basta dire che New York si adatta in modo egregio, un modo tutto suo e affascinante a delle situazioni anche estreme, come quelle che abbiamo già visto dall’11 settembre fino alla pandemia. Ci sono situazioni anche di bellezza: pensando alla strada, al fatto che ha cominciato a popolarsi di gente, di isole pedonali… Senza negare la tragedia delle vittime del covid, ci sono delle cose che la città ha fatto sue in modo creativo”.
A Francesca, che appare emozionata di vedere le sue foto nella sala del Consolato di Park Avenue, chiediamo anche cosa le ha detto il ministro Luigi Di Maio. “Il ministro mi ha colpito perché é come se mi avesse dato una definizione. Mi ha detto ‘tu sei stata i nostri occhi della pandemia qui’. Mi ha gratificato, mi ha anche quasi sorpreso che sapesse, perché io ho infatti sempre cercato di trovare la vita in questa situazione. Vedere le foto al Consolato mi emoziona e sono grata al Console Generale Di Michele per essere stato con altri visionario nell’aver discusso e scegliere il soggetto, quello delle maschere. Aver aggiunto nutrimento alle mie idee è stato un dono incommensurabile”.
Gli sponsor della mostra sono stati Valli&Valli e Sullivan Street Bakery e le immagini sono state stampate da Duggal Visual Solutions.
Alcuni scatti della talentuosa fotografa (la serie comprende 600 maschere) , che è anche una valorosa collaboratrice della Voce di New York, sono stati acquisiti dal Museo Smithsonian di Washington come parte del loro archivio storico permanente e fanno parte del primo set di documenti digitali della pandemia. Due foto a tema COVID-19 fanno parte di New York Responds: The First Six Months al Museo della città di New York e una di queste maschere ha fatto parte della grande mostra collettiva #ICPConcerned.