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July 28, 2021
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“Red Shoes – Il figlio del Boss”: docu-film all’insegna della lotta per l’uguaglianza

La regista Isabella Weiss racconta l'emozionante esperienza per la realizzazione del suo primo lungometraggio sulla storia di Daniela Lourdes Falanga

Eleonora PugliabyEleonora Puglia
Time: 5 mins read

“Amate i vostri figli e le vostre figlie, i vostri fratelli e le vostre sorelle, che incolpevoli e in silenzio pensano di non dover vivere. Amateli i figli e le figlie che mai hanno avuto colpa, che hanno solo desiderato se stessi nel mondo”. E con questa toccante frase di Daniela Lourdes Falanga, si chiude il nuovo lungometraggio di Isabella Weiss, dal titolo: “Red Shoes – Il figlio del Boss”, una struggente confessione, che spezzando molte barriere, racconta tutti gli ostacoli, che la protagonista ha dovuto fronteggiare per il raggiungimento della felicità.

Isabella Weiss e Daniela Lourdes Falanga

Oggi si racconta a La Voce di New York la regista Isabella Weiss, che ha saputo toccare con delicatezza e poesia, un argomento che oggi è ancora, purtroppo, questione intoccabile, per alcune comunità e contesti di bassa levatura sociale e culturale: la sessualità nella differenza di genere.

Foto di Alfonso Scognamiglio – Isabella Weiss

Isabella, come hai conosciuto Daniela e la sua storia?

“Ho notato Daniela in una trasmissione televisiva nella quale, come ospite, raccontava brevemente e a grandi linee, la storia della sua vita, concentrandosi soprattutto sui diritti della comunità LGBTQ+. Osservandola mi è venuto subito in mente quanto in Italia, rispetto ad esempio all’America, questi argomenti siano ancora un tabù. Negli USA come in altri paesi, i reati di odio sono puniti molto severamente. Così incuriosita ho cercato il nome di Daniela sul web e sono usciti parecchi articoli, inoltre, dato che è originaria di un paese nei dintorni di Napoli, ho chiesto a Raffaella Anastasio, che è la persona con cui ho ideato questo progetto ed è di Castellammare di Stabia, se magari la conoscesse o avesse la possibilità di contattarla.

Isabella Weiss e Rafaela Anastasio al Social World Film Festival

Considerando che lei è la prima Presidente donna trans del circolo dell’Arcigay di Napoli, alla fine siamo riuscite a parlarle illustrandole il progetto che avremmo voluto realizzare insieme a lei, anche se, all’inizio, era molto schiva. Ci ha confessato che, tante volte, persone o associazioni le hanno proposto di rendere pubblica la sua esperienza di vita. Addirittura, un importante Network straniero, le aveva richiesto di partecipare ad una serie, ciononostante, aveva paura che le modalità, con cui l’avrebbero narrata, sarebbero state contro producenti. Alla fine, siamo riuscite a conquistare la sua fiducia ed è stato bello ascoltarla mentre si raccontava, mettendo a nudo la sua vita e tutti gli ostacoli superati”.

Come ha influito, una famiglia difficile, nella vita di Daniela?

“Nascere come primogenito di un boss della camorra ad oggi all’ergastolo, le ha creato una grande sofferenza, che ancora oggi, le si legge negli occhi. Daniela nasce infatti Raffaele, in una famiglia che faceva parte della criminiltà organizzata del vesuviano. Raffaele: un bambino che fin dai primissimi anni della sua vita, si è sempre sentito sbagliato e fuori posto. Il suo sentirsi donna, si è mostrato fin da subito: la passione non erano le macchinine ma le bambole, se la sera in televisione guardava un cartone animato o un film, immaginava di interpretare la protagonista donna, l’eroina”.

Foto di Alfonso Scognamiglio – Daniela Lourdes Falanga

Vedendo Red Shoes, balza all’occhio un argomento parecchio scottante: le violenze subite da parte della figura materna. Quali sono ad oggi i rapporti con la famiglia, in particolare con la madre?

“I genitori di Daniela si sono separati praticamente al momento della sua nascita, perciò ha sempre avuto a che fare con la mamma, che poco tempo dopo la separazione, fece entrare in casa un nuovo compagno, ucciso da un carabiniere durante una rapina, lasciando due sorelline, alle quali la protagonista è molto legata.

La madre è una donna incastrata nel morbo di una cultura binaria, dove c’è spazio solo per il bianco e il nero e non per le sfumature. Non riusciva, perciò, a capire ed accettare, gli atteggiamenti femminili di Daniela come il truccarsi, mettersi lo smalto o ballare a piedi nudi sul letto. Per questo, per anni, Daniela è stata umiliata e attaccata proprio dalla persona più vicina, che a volte le sputava addosso. Il fatto, inoltre, di vivere in un piccolo paese del Sud Italia, insieme ai nonni materni, pregni di una visione della vita e del mondo arretrata, non ha aiutato la sua condizione.

Nonostante ciò, negli anni la madre, si è pentita delle umiliazioni inflitte alla propria figlia. Attraverso dei professionisti di psicologia, si è addirittura voluta documentare, per aprire la propria mente e comprendere la volontà di Daniela di essere una donna”.

Daniela Lourdes Falanga

Qual è stato il tuo approccio registico?

“Un regista, non tutti lo sanno, ma deve essere anche psicologo. Sul set, non c’erano attori professionisti, ma persone all’apparenza molto forti che in realtà, sotto la corazza, nascondevano grandi fragilità. C’è stato bisogno di entrare in empatia con loro, di farsi conoscere e far capire, soprattutto a Daniela, che avrebbe avuto a che fare con persone dotate di grande sensibilità, che non avrebbero di certo narrato la storia della sua vita, in maniera sensazionalistica ed errata a livello di visione. Il messaggio che ho voluto lanciare, rimanendo comunque neutrale, è stato urlare alle famiglie, alle persone e al mondo: bisogna sempre informarsi, senza pregiudizi, per capire ciò che all’apparenza può sembrare diverso, perché tutti noi siamo semplicemente degli esseri umani, ognuno con un proprio bagaglio di vita, dotato di sofferenze, gioie e dolori”.

Isabella come è nata la passione per la regia?

“In realtà fin da giovanissima sono rimasta affascinata da questo mondo. Ricordo un aneddoto che rimarrà sempre con me: ancora molto piccola, mi ritrovai su un set, di un regista oggi molto importante ed ero sempre presente, non mollavo mai il campo base, mi nutrivo dell’energia che il set emana e lì capii che quella sarebbe stata la mia strada. Successivamente per alcuni anni, solo fisicamente ma non mentalmente, mi sono allontanata dal settore. La mia famiglia ci teneva che io seguissi una strada più sicura, così li accontentai, studiando Giurisprudenza, ma nel fondo della mia anima non ho mai accantonato la mia vera passione, ossia: il cinema. Così, finiti gli studi universitari, frequentai un corso di regia presso la New York Film Academy, perfezionandomi anche a livello tecnico.  L’aspetto, che però, mi portò a realizzare il mio sogno, fu una lunga tessitura di contatti e amici formata da attori, produttori, registi e giornalisti, con i quali iniziammo a produrre cortometraggi, fino alla realizzazione di “Red Shoes – Il figlio del boss”, il mio primo lungometraggio”.

Isabella Weiss (Foto di Alfonso Scognamiglio)

Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole approcciarsi allo studio della regia?

“Le caratteristiche principali che deve possedere un regista sono: un buon carattere, curiosità, psicologia e pazienza, oltre alla creatività e ad una certa originalità e visione. Sul set hai a che fare con tantissime persone, che si appoggiano alla tua figura. Gli attori per esempio sono creature emozionali, ognuno con una personalità ben definita. Un regista deve, dunque, cercare di immedesimarsi, avere resilienza e la capacità di passare dal piano A al B e forse anche al C, perché durante le riprese può succedere la qualunque. Ad esempio: hai programmato tutto per l’esterna, chiesto permessi per poter girare, e poi? Piove! Allora devi cambiare il piano di lavorazione, cercando di mantenere calma un’intera troupe, innervosita dall’imprevisto”.

Isabella Weiss (Foto di Alfonso Scognamiglio )

La sessualità è ancora per certi aspetti un tabù. Qual è il tuo punto di vista in merito?

“La verità è che non dovrebbe nemmeno esserci il bisogno di discuterne. Ognuno di noi deve essere libero di vivere la propria sessualità senza sentirsi “sbagliato” o “diverso”. Stereotipi e omologazione non riusciranno mai ad imprigionare corpi non conformi e persone non binarie. Non ci devono essere definizioni o sottotitoli inutili, bisogna rispettare tutte le tendenze, tutti i gusti, senza pregiudizi. Il non accettarsi o il sentirsi fuori posto con il proprio corpo, dev’essere una sofferenza enorme. Credo dunque che tutti debbano mostrare ciò che realmente sono rispettando le scelte degli altri. Mi piace molto la targa dell’Arcigay Antinoo Napoli che lo definisce come il circolo delle “identità libere””.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

“Per ora con mio gruppo operativo siamo in fase decisionale, abbiamo in cantiere progetti diversi fra loro, vediamo quale si concretizzerà prima”.

A quali festival è stato selezionato?

“Il documentario è appena stato al Social World Film festival di Vico Equense, sarà all’ Ischia Global, al festival Marateale 2021 e all’ Apulia web fest di Lecce. Inoltre il corto tratto dal documentario ha già vinto degli awards ed è in semifinale al Mediterraneo Festival Corto di Diamante. Dopo l’autunno, inoltre, parteciperà a vari festival negli USA”.

 

 

 

 

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Eleonora Puglia

Eleonora Puglia

Sono nata a Piacenza, sotto il segno dello scorpione. Ho iniziato i miei studi come ballerina Classica, a 18 anni mi sono trasferita a Roma. Nella capitale ho iniziato a studiare e lavorare come attrice. Attualmente lavoro per una società di produzione musicale e cinematografica. Mi occupo di regia, stesura di sceneggiature e del lavoro dietro le quinte per alcuni artisti dell’etichetta. Ho in un uscita come cantante e interprete un album tutto anni 80 dal titolo “80s Replica” 

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