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May 16, 2021
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Intervista a Flavio Bacchia, fondatore di Zoic: il laboratorio che fa rivivere i dinosauri

Da quarant’anni nel settore delle preparazioni paleontologiche, nel suo studio la storia prende vita e si possono incontrare fossili di ogni tipo

Alessandra MorobyAlessandra Moro
Intervista a Flavio Bacchia, fondatore di Zoic: il laboratorio che fa rivivere i dinosauri
Time: 7 mins read

 

Quando la scienza si fa emozione: Zoic è un laboratorio, ma ritrovarsi – letteralmente – a tu per tu con creature che tornano in piedi dopo milioni di anni, ne fa una sorta di meravigliosa macchina del tempo. Ecco un triceratopo, un dinosauro becco d’anatra, un uovo che Sindbad il marinaio avrebbe subito identificato come quello del mitico Roc, una tartaruga gigante, un frammento di meteorite: una vera wunderkammer.

Il padrone di casa – siamo a Trieste – è Flavio Bacchia, da quarant’anni in un settore che vede pochi competitors al mondo, occupandosi di preparazioni paleontologiche (www.zoic.it). «Gli americani del Black Hills Institute sono i nostri riveriti insegnanti, i migliori per me; diciamo che in una top ten ci mettiamo al nono posto, forse di più… C’è, in ogni caso, gente molto brava e competente. I nostri dinosauri sono nei più importanti musei del mondo e in questi tempi duri di Covid, abbiamo retto bene, non solo: abbiamo assunto due persone e ne sono molto fiero».

Black Hill staff

Il Black Hills Institute of Geological Research’s è un centro di riferimento a livello mondiale nella branca degli scavi paleontologici e successivo trattamento dei reperti: “From dinosaurs to mammals, reptiles to pteranodons, ammonites to fish, and crinoids to trilobites, we do it all, and we do it well”: così si presentano gli esperti del South Dakota. https://www.bhigr.com/

La genesi di Zoic? «Sono un geologo; fin da bambino ho collezionato di tutto, specializzandomi poi in fossili, peraltro difficili da trovare da queste parti; dopo aver trovato lavoro nell’ambito degli scavi geologici, ho capito che si poteva creare un’attività alternativa, che negli anni si è concretizzata in questa srl».

Un lavoro quotidiano fatto di meticolosità, concentrazione, pazienza, ma anche di progettualità che portano la paleontologia alla ribalta: «Periodicamente mettiamo in cantiere qualcosa di significativo, continuiamo la “follia” di portare avanti anche divulgazione per il pubblico e in quest’ottica abbiamo affittato lo show room in cui stiamo ora ricostruendo Big John, il triceratopo più grande mai rinvenuto: usufruiamo di uno spazio bellissimo, che ha le caratteristiche che ci servono non solo per lavorare, ma pure per accogliere visitatori». È possibile, infatti, prenotare visite gratuite (ti.ciozobfsctd-56fa3e@egaenots – www.visitebigjohn.it), richiestissime: c’è già stato un primo sold-out e Zoic promette di arricchire il calendario con altre date.  

«Si tratta di un’iniziativa pensata soprattutto per i ragazzini, blindati dalla pandemia, che così riescono a vivere di nuovo un’uscita: apriamo loro la valvola della pentola a pressione!».

Il cranio di Big John

Ma focalizziamoci sul nostro John e capiamo come abbia meritato l’aggettivo “big”: «John arriva dal Wyoming. Abbiamo investito al buio, lo abbiamo comprato dalle foto e con un contratto registrato “not refoundable”, ovvero se qualcosa non fosse andato, non ci sarebbe stato diritto di recesso. E pagamento anticipato, altro che 30, 60, 90! Il venditore è stato assolutamente onesto e corretto e ci ha fornito un supporto tecnico perfetto: il materiale è arrivato in casse con etichettatura del contenuto, ben protetto dalle camicie di gesso. Quando si scava, le ossa che affiorano dal terreno vengono parzialmente pulite, avvolte in una sorta di pellicola, ricoperte da uno strato di gesso e bende, per farle viaggiare in quelli che poi assomigliano a fagioli di gesso, del peso anche di centinaia di chili. Arrivate, vengono aperte e controllate, raffrontandole con quello che ci era detto che ci doveva essere. Ci aiuta l’Università di Bologna con un tirocinante che lavora qui con noi. Bologna segue osso per osso e alla fine ricaverà un dossier, da affiancare ai dati della campagna di scavo e che fungerà da certificazione per l’utilizzatore finale, vale a dire un eventuale compratore. I campioni sono già stati vagliati dalla Soprintendenza statale e ci avvaliamo anche della consulenza del professor Luigi Capasso, paleopatologo dell’Università di Chieti».

Un’autorità nel suo campo, Capasso, che ha svolto consulenze antropologiche – citando a caso fra le numerose e significative – sulla mummia di Otzi, su vittime dell’eruzione vesuviana del 79 d.C. a Ercolano, sulla mummia di San Bernardino da Siena, su resti umani da necropoli italiche, normanne, saracene www.unich.it/ugov/person/1251.

Big John è un esemplare tra i più documentati fra quelli che sono passati da Zoic. Interessante è l’iter legislativo, che da USA (e non solo) a Italia differisce profondamente: «Negli Stati Uniti chi è proprietario del terreno, lo è anche dei reperti; naturalmente occorre documentare inoppugnabilmente la proprietà, visto che poi molti dei nostri dinosauri vanno in case d’aste e queste vogliono avere garanzia di provenienza attraverso google maps e visura camerale: chiedono prove blindate. La carta d’identità di Big John lo è! E chi lo ha trovato, si è accorto di essersi imbattuto in un triceratopo davvero grande».

Zoic acquista solo all’estero: «Una volta eseguivamo anche scavi, ma non si può far bene tutto e abbiamo deciso di concentrarci sulla preparazione; in Italia abbiamo lavorato per il Ministero della Cultura, su incarico gratuito, ma i campioni grandi, di bandiera, arrivano dagli USA».

Come si trova un dinosauro? «Ci sono luoghi già, per così dire, predisposti, e anomalie come dossi o calanchi possono suggerire l’esatta ubicazione. Gli strati sono molto spesso orizzontali e dal fianco della collina spuntano le ossa, come per John, a parte i piedi, che erano già erosi; man mano che le sue ossa andavano nell’interno della compagine rocciosa, si rivelavano più sane. Di letteratura scientifica sui triceratopi ce n’è molta e dunque, dall’analisi comparata effettuata dall’Università di Bologna con quello finora conosciuto e descritto, si è potuto classificare John come il più grande ad ora scoperto: Big!»

Qualche numero: oltre 2,60 metri misura solo il cranio, con corna lunghe circa un metro e dieci; su 23 vertebre che componevano la colonna vertebrale, ne sono state inanellate 19, per una ricostruzione scheletrica che arriverà presumibilmente al 55, 60%. La lunghezza è ancora opinabile, si ipotizzano circa 8.20 metri, dal naso alla coda. Il nostro erbivoro pesava tra le 7 e le 8 tonnellate, massiccio come un tir. Per valutarne l’età, è stata fatta la sezione di una costola, analogamente ai tronchi degli alberi, per ricavare le fasce di accrescimento; l’ordine di grandezza, ancora incerto, oscilla fra i 30 e i 40 anni.

John è vissuto 67, 65 milioni di anni fa, nel Cretaceo, ultimo periodo dell’éra mesozoica, quello che ha visto l’estinzione dei grandi rettili. «I triceratopi – continua Bacchia – sono stati tra gli ultimi dinosauri, coevi del T-Rex, diciamo quelli che hanno visto il meteorite cadere». E a proposito, da un angolo del laboratorio spunta proprio un meteorite ferroso, di provenienza uruguaiana, «splendido esemplare di 32 chili», altra curiosità disseminata.

Ma John ci richiama, intrigandoci con gli interrogativi sulla sua morte. Sull’osso squamoso del cranio è visibile una lacerazione, che è stata esaminata dal sopra citato, eminente Capasso, già collaboratore di Zoic per studi su altri dinosauri; «per Big John ha fatto primo exit poll, descrivendo una ferita inferta dal basso verso alto e da dietro in avanti, da parte di un triceratopo più piccolo, che ha squarciato il collare». Un colpo non mortale, che, tuttavia, ha provocato un’infezione presumibilmente protrattasi per anni, andando a rosicchiare il tessuto osseo – come è tuttora visibile – e causando molto dolore: «quanto sarà stato incazzato il nostro  John!».

In coda alla paleoautopsia, Flavio smaschera alcune fake news: «Non combattevano con i T-Rex! Questo è il dinosauro iconico degli erbivori, il triceratopo, tre corna, il frontale più o meno sviluppato a seconda delle specie. E sapeva che una ferita nelle parti molli inferta da un corno, era mortale. Potevano esserci scontri, ma per motivi specifici, tipo dominio del territorio, femmine, ma con colpi in zone che – secondo me – consentivano di far ben capire la forza predominante, ma non causavano la morte». I combattimenti fra cervi, ad esempio, rappresentano oggi una continuità etologica. Dove si colpivano dunque i triceratopi? «Sul collare, molto vascolarizzato, ma privo di organi vitali».

Il puzzle di Big John difetta di qualche tessera; nell’opera si procede – rubando un termine all’archeologia – per anastilosi, ricomposizione con i pezzi originali, e per quelle mancanti «la pratica più volgare è ricostruzione; ad esempio, se manca una vertebra, si replica sulla base di un’altra originale. Non abbiamo più i piedi di John e ovvieremo con le repliche realizzate sulla base di quelli di un esemplare più piccolo».

Come è stata scelta la postura definitiva per lo scheletro? «Dopo lunghe discussioni all’interno del nostro staff, abbiamo optato per la posizione del toro di Wall street, con la differenza che questo ha la testa proiettata in alto, suggerendo un successivo abbassamento per partire alla carica, mentre Big John è stato immortalato… dieci secondi dopo! Testa bassa e pronto a caricare. Una postura che  che ci aiuta a risolvere anche problematiche tecniche di equilibri e supporti. Oltretutto, con la testa alta le corna sarebbero arrivate a 4 metri, lunghezze decisamente impegnative da collocare».

Big John sarà verosimilmente completato entro giugno 2021: «Pensavamo di finire a maggio, ma ritarderemo per mostrare fasi di lavorazione durante le visite del pubblico». E poi, quale sarà il suo destino? «Andrà in asta in autunno a Parigi».

Altre straordinarie creature popolano l’ambiente intorno a Big John, tra cui Zelda, splendido esemplare di becco ad anatra, originale, 7 metri e mezzo ed una storia che si intreccia… con la storia: è, infatti, andata in asta due anni fa, ed era sotto il martello nel momento in cui bruciava Notre-Dame, dunque è rimasta invenduta. «Non c’è problema. Prima o poi ci saluterà anche lei».

Fa compagnia a Zelda lo scheletro di un Aepyornis, della famiglia degli uccelli elefante, nome che già svela le sue dimensioni enormi, riflesse nelle uova, le più grandi del regno animale, tanto da dar origine alla leggenda dell’uccello Roc nelle “Mille e una notte“. «Gli arabi – racconta Flavio – erano e sono tuttora grandi falconieri e hanno da sempre dimestichezza con le uova di rapace; quando trovarono questi esemplari giganteschi, fecero il paragone con quelle dell’aquila, immaginando la grandezza superiore dell’uccello che le aveva deposte, e favoleggiando del Roc».

Archelon

Ospite del laboratorio è anche una tartaruga Archelon, che Zoic ha ricostruito nelle parti mancanti; «coeva di Big John – puntualizza Bacchia – non e la più grande esistita in assoluto, ma è più grande della più grande tartaruga vivente!».

Rimane un’ultimo aspetto riguardante Big John, quello monetario: la creatura è costata 150.000 euro, alla fonte. «Va poi considerata l’aggravante, per così dire, del rischio d’impresa. Non si vende un dinosauro se non è finito, dunque c’è un investimento imponente per portarlo a termine e far scattare la possibilità di vendita. Ma prima, oltre alla cifra di partenza, ci sono le spese per 5 mesi di lavoro, 9 persone, i prodotti e il materiale, la carpenteria metallica… L’acquirente-tipo oggi si “nasconde” dietro fondi di investimento, è l’ultimo trend del mercato dei dinosauri, anche se abbiamo ricevuto proposte come esporre Big John ad un concerto rock a Londra, questa estate». Strani matrimoni per marketing o occasioni di vetrina per un’attività che altrimenti rimarrebbe chiusa in laboratorio? «Da un certo punto di vista, più se ne parla, meglio è. Ma è anche vero che campioni di elevato interesse scientifico non arrivano a questi livelli. Una volta, in un magazzino in Marocco, dimenticato da Dio, ho trovato un mucchio di ossa che ho riconosciuto come straordinarie, Spinosauro; le ho portate in Italia e donate al Museo di Storia naturale di Milano. Le ho pagate tanto e di tasca mia, ma ho ritenuto fossero di tale interesse scientifico da regalarle. Punto».

Una scelta etica. «Sì, ci è rimasta come valore professionale, sebbene, realisticamente, vada detto che l’etica emerge dalla tasche quando la pancia è ragionevolmente piena. E a proposito di opportunità di guadagno, altrettanto realisticamente, davanti a numerosi curricula che ci arrivano, devo ammettere che questo, sebbene sia un mestiere bellissimo, offre poche possibilità».

Ma i sogni non muoiono sempre all’alba e il futuro prossimo di Zoic è vispo: tanti fans per Big John in vetrina e il progetto per un nuovo show-room, auspicato entro il 2021.  https://www.facebook.com/BigJohnTrieste

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Alessandra Moro

Alessandra Moro

Di radici friulane, è nata a Verona sotto il segno dei Pesci; ha un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Giornalista dell’ODG Veneto, lavora nel mondo della comunicazione come autrice e consulente, con esperienza nella stampa cartacea, radio, tv e web. La scrittura come passione, prima che come mestiere.

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