Il ritrovamento del Termopolio della Regio V dell’antica Pompei, con i suoi splendidi affreschi rimasti quasi intatti, è spunto per una riflessione sul fascino che, dalla sua scoperta, questo luogo ha avuto e continua ad avere su visitatori, studiosi, semplici curiosi.
Roma non è mai morta. Roma vive imperitura nella memoria collettiva con il suo mito. Il simbolo, il mito, rimane sepolto in alcuni periodi e poi riappare rinnovato diventando modello e ideale.

Nelle epoche successive alla fine dell’Impero si perdono le testimonianze degli usi e dei costumi specifici della città che è stata per secoli il polo attrattivo del mondo conosciuto accentrando – grazie alle sue ricchezze – il meglio del saper vivere, della cultura e dell’arte. Mille anni di supremazia politica stratificati in un unico luogo, con una popolazione connotata dalle funzioni che il potere richiede, si dissolvono. La Roma dei papi – soprattutto nei primi secoli – è una città relativamente piccola, ma principalmente è un’altra Roma con una missione completamente diversa da quella dei tempi imperiali. Ed è naturale che la vita della città prenda altri percorsi, perdendo traccia e memoria con il passare del tempo.

Ma a Napoli sotto 5 metri di terra e cenere tutto è rimasto com’era. Pompei è una fotografia del 79 d.c. quando il tempo si è fermato, una testimonianza come non ne esistono in nessuna altra parte del mondo.
Nel 1748 grazie agli scavi voluti dai Borbone la città comincia a rivedere la luce. Questo dà modo di scoprire non soltanto splendidi monumenti ed opere d’arte, ma anche di conoscere molti aspetti della vita quotidiana oltre agli usi e costumi dei romani, stimolando in questo modo la fantasia di artisti e letterati.
La riscoperta di Pompei desta curiosità in tutta Europa, illustri personaggi ne parlano nei loro scritti, uno su tutti: Goethe che, nell’ambito del suo “Viaggio in Italia”, la visita insieme agli amici pittori Johann Heinrich Tischbein e Jakob Philipp Hackert. Quest’ultimo al servizio dei Borbone, anche lui attratto dalle rovine di Pompei ne fa il soggetto di alcuni suoi pregevoli dipinti neoclassici realizzati dalla parte del visitatore, che ben rientrano nella sua peculiare visione di paesaggista. Tra questi: Veduta delle rovine dell’antico teatro a Pompei, la tomba della sacerdotessa Mamia sulla via dei sepolcri, la Porta di Ercolano sulla via dei sepolcri a Pompei, realizzati tra il 1793 e il 1794.
Pompei si aggiunge alle tappe del Grand Tour, il viaggio in Italia che rappresenta per tutti gli uomini di cultura un elemento essenziale della loro vita ed è finalmente documentata “scientificamente” nell’urbanistica e nell’architettura, con le tavole dell’opera di Mazois finanziate da Carolina Murat.
Dal 1823 il pittore russo Karl Pavlovič Brjullov (1799 – 1852) compie lunghi soggiorni in Italia. Nel 1827 si reca in Campania e visita gli scavi di Ercolano e Pompei. E’ in quel momento che nasce l’idea del grande dipinto L’ultimo giorno di Pompei, uno dei più importanti dell’arte russa del secolo XIX, oggi all’Hermitage. Per realizzarlo l’artista si documenta anche studiando quanto narrato da Plinio il Giovane nella sua lettera a Tacito. Brjullov dipinge sull’argomento un’opera di grande impatto visivo, realizzata in chiave romantica, esaltando l’eroicità di un’umanità che soccombe fiera alla catastrofe. La esegue a Roma negli anni seguenti terminandolo nel 1833 dopo una lunga gestazione fatta di disegni e studi preparatori. Ma è soprattutto a partire dall’anno successivo che, sotto la direzione dell’illuminato archeologo Giuseppe Fiorelli, antesignano dei criteri di conservazione moderni, prima ispettore, poi dal 1860 al 1875 direttore degli scavi, che Pompei accresce la sua notorietà in Italia e all’Estero. Messo a capo della soprintendenza di Napoli si occupa con serietà e grande dedizione degli scavi, studiando i carteggi settecenteschi, avviando altre campagne, riorganizzando gli uffici preposti. A lui si devono la realizzazione di una pianta in scala di tutta la parte emersa, la massima apertura al turismo, l’introduzione del biglietto di accesso. Fiorelli riesce anche a dare vita, nel 1866, alla “Scuola archeologica di Pompei” per formare i futuri archeologi sul posto e a creare il “Giornale degli Scavi di Pompei”, sempre aggiornato sulle nuove scoperte.

Un ruolo importante per la conoscenza della storia e della vita di Pompei è in questo periodo da attribuire a una famiglia di architetti e studiosi: i Niccolini. Il capostipite, Antonio (1772 – 1850), originario di San Miniato al Tedesco, era arrivato a Napoli nel 1807, nel decennio francese. E’ ricordato per molte importanti imprese come i progetti per la villa Floridiana e la ricostruzione del teatro San Carlo. Fu anche direttore dell’accademia di Belle Arti della città. Mostrò grande interesse per Pompei, ebbe diversi mandati nell’ambito delle campagne di scavo e per questo, nel 1825, fu incaricato di progettare l’allestimento scenico dell’opera di Giovanni Pacini L’ultimo giorno di Pompei nel quale la stampa notò la verosimiglianza con le antichità del luogo che aveva approfonditamente studiato. Ma, soprattutto, per quanto concerne l’influenza che Pompei ebbe in pittura, vanno ricordati i figli: Fausto (1812-1886) e Felice (1816-1886), i quali, raccogliendo alcune idee del padre che aveva fatto realizzare i rilievi delle strutture più significative alle idee innovative di Fiorelli, decisero di pubblicare un testo, in più volumi divenuto fondamentale: Le case ed i monumenti di Pompei disegnati e descritti, uscito inizialmente in fascicoli nel 1854. Per le tavole di quest’opera furono cooptati i principali personaggi già impegnati a Pompei come l’architetto e direttore Gaetano Genovese ( 1795 – 1875), i disegnatori degli scavi Vincenzo Loria ( 1849 – 1939), Giuseppe Abbati ( 1836 – 1868), Geremia Discanno ( 1839 – 1907); nonché pittori attivi a Napoli, già noti per essere esperti paesaggisti, ai quali furono affidate opere meno tecniche con scorci caratteristici, come Achille Vianelli ( 1803 – 1894), Giacinto Gigante (1806 – 1876) e Teodoro Duclère ( 1812 – 1869). L’immane opera pubblicata, nota anche all’Estero, contribuì notevolmente alla conoscenza della realtà pompeiana in Europa e oltreoceano.
Nel mondo dell’arte la novità della riscoperta crea nuovi stimoli che sono linfa vitale per la fantasia del pittore. In quasi tutte le opere realizzate, si ripropone il colore per eccellenza dell’antica Roma: il rosso, in questo caso specifico poi è un rosso particolare che prende addirittura il nome dalla città “rosso pompeiano”. Esponenti della pittura del vero, soprattutto meridionali, mirano a “fotografare” la situazione degli scavi con l’occhio del contemporaneo che osserva attonito la scoperta di quanto sta emergendo. Dipingono silenziose e deserte rovine pittori come Alessandro La Volpe (1820 – 1887) o figure tra gli scavi, come fa Filippo Palizzi ( 1818 – 1899) con la sua Fanciulla pensierosa agli scavi di Pompei .

Parallelamente a questo genere volto a “fotografare” la situazione contemporanea, nasce uno stile – il neopompeiano – che ripropone scene di vita quotidiana accomunando alla ricerca storica una proiezione fantastica rivolta alla rappresentazione di vari aspetti della vita dei romani.
Già nel 1853, il pittore francese Théodore Chasseriéau (1819 – 1856) espone con successo al Salon di Parigi un grande dipinto ispirato a questi soggetti: Il Tepidarium, ambientato nelle terme del foro dell’Insula VIII.
Ma il principale divulgatore di questo filone in Europa è senz’altro l’olandese naturalizzato inglese Lourens ( poi Lawrence ) Alma Tadema ( 1836 -1912) . Artista di grande talento è letteralmente innamorato di Pompei, tanto che nel 1863 ne fa la meta del suo viaggio di nozze con la prima moglie e vi ritorna più volte, interessato a scoprirne i misteri.
A Pompei si ispira per una serie di opere di soggetto romano, spesso con precise ambientazioni dal sapiente gusto archeologico e, con il suo trasferimento a Londra nel 1870, contribuisce ad alimentare il gusto per il revival classico che prende prepotentemente piede in Europa nel secolo XIX . Realizza sul posto molti schizzi e fotografie che poi utilizzerà per i suoi quadri. Già allora ricco e affermato, dopo il viaggio in Italia si immerge fantasticamente nelle usanze e nei fasti della Roma antica contagiando con i suoi meravigliosi quadri la borghesia vittoriana che in qualche modo si rispecchia nel lusso austero e nella decadenza dei ricchi proprietari romani delle ville pompeiane. Nascono opere straordinarie come: Agrippina con le ceneri di Germanico, A roman lover of art, Coign of vantage.

Alma Tadema reinterpreta l’antica Roma con intenti assolutamente edonistici come dimostrano la minuzia e il virtuosismo con cui descrive stoffe meravigliose, marmi, fiori. La presenza di questi sfarzosi elementi, così ben descritti tende a sollecitare nello spettatore non solo la vista, ma anche gli altri sensi rendendolo pienamente partecipe della scena.
Tra i primi italiani ad adottare questo stile troviamo il noto pittore napoletano Domenico Morelli ( 1823 – 1901 ) con il suo Bagno pompeiano del 1861. L’artista ambienta la scena nell’ apodyterium, lo spogliatoio delle terme stabiane, fornendo l’anteprima di un luogo da poco riportato alla luce e ancora inaccessibile alle visite. Nello stesso anno il pittore e scenografo bolognese Luigi Bazzani (1836 – 1927) si trasferisce a Roma, ritenendo questa città più consona alla sua ricerca pittorica. Si specializza infatti nelle vedute con ruderi romani e, soprattutto in vedute e scene di vita quotidiana della Pompei antica, utilizzando sempre colori molto accesi e, immancabilmente, l’ormai famoso rosso pompeiano. Acquarellista d’eccezione si reca più volte a Pompei realizzando, anche con questa tecnica, diversi studi delle architetture e degli scavi, molti dei quali oggi conservati nei principali musei del mondo.
La pittura neopompeiana si fa strada in Italia coinvolgendo le mostre ufficiali e le istituzioni. All’Esposizione Internazionale di Roma, del 1883, vi partecipano con dipinti su queste tematiche, oltre all’onnipresente Alma Tadema, Camillo Miola, con diverse opere tra le quali, Il fatto di Virginia ( acquistato dallo Stato per il Museo di Capodimonte), in cui l’artista offre una meticolosa descrizione dei costumi e delle botteghe dell’antica Roma; il grande, ma oggi poco noto, Alessandro Pigna (1862 – 1919) che si presenta con Tepidarium, realizzato nel 1882 ( acquistato dal Municipio di Roma per la nascente Galleria d’Arte moderna).
Ancora nei primi decenni del Novecento l’antica città campana e le sue vicende ispirano diversi artisti tra cui, in Italia, il romano Augusto Bompiani ( 1852 – 1930). Continua poi ad esercitare il suo fascino di memoria vivente anche più tardi, nel dopoguerra, quando Hollywood per le sue spettacolari scene cinematografiche, attinge a piene mani proprio a questi dipinti ormai ben noti in America. Scene memorabili queste, grazie alle quali intere generazioni sono rimaste affascinate dagli sfarzi dell’impero romano.
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