C’è un grande murales a Lampedusa su cui è scritto “Bisogna proteggere le persone e non i confini”. Insomma, bisogna avere paura solo dei muri mentali. E’ su questo che cerca di farci riflettere “Nour”, diretto da Maurizio Zaccaro, che porta sullo schermo una delle storie vere vissute dai migranti e raccolte nel libro Lacrime di sale, scritto da Pietro Bartòlo con la giornalista Lidia Tilotta. Il film sarà nelle sale italiane, come evento speciale, il 10,11 e 12 agosto, e poi dal 20 agosto su Sky.
E’ Sergio Castellitto a dare il volto allo storico ed indefesso medico dell’isola siciliana, ora parlamentare europeo eletto nelle liste del Pd, e già incontrato in “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2016.
Il commovente ed intenso film di Zaccaro – che non vuole essere uno ‘spin off- un derivato” del libro di Bartòlo – ha come protagonista Nour (Linda Mresy), personaggio ispirato dalla Kebrat del libro), una ragazzina siriana di dieci anni, separata violentemente dai genitori pochi attimi prima del suo imbarco. La bambina si ritrova a Lampedusa, tra i sopravvissuti a un naufragio, spaurita e alla ricerca disperata della madre. Se ne prende cura il medico dell’isola, Castellitto-Bartòlo, il quale cerca di ricostruire il passato della bambina e aiutarla ad affrontare il futuro, facendo letteralmente di tutto per trovare sua madre, Fatima, anche trasgredendo alla ‘routine impersonale’ richiesta dalle regole. Una storia vera, non bisogna dimenticarlo mai mentre si guarda il film!
Un lavoro, quello di Zaccaro che ricorda molto i lavori di Ermanno Olmi, a cui ‘Nour‘ è dedicato: nessun tentativo di voler piegare la realtà di questa tragedia umana al proprio volere.
Co-protagonisti sono una giornalista (Raffaella Rea) che arriva al centro di accoglienza di Lampedusa per intervistare Pietro, e poi, colpita dagli avvenimenti, resta essa stessa per aiutare con la lingua araba la ragazzina e Hassan, un uomo che nel tentativo di raggiungere una nuova vita ha perso un figlio e lo ritrova solo come numero 209 in un hangar adibito a cimitero: la fine di tanti disperati scomparsi senza lasciare traccia, la totale cancellazione dell’identità, la perdita del diritto all’esistenza.
“Nour” – che disponeva di un budget limitato ed è stato girato in sole quattro settimane – si guarda bene dall’essere un biopic su Bartòlo: vuole essere semplicemente la risposta alle politiche dell’odio e all’incapacità più che decennale dell’Unione Europea di far fronte all’emergenza umanitaria di cui Lampedusa è testimone ogni giorno.
Un traguardo raggiunto bene, pur se in alcuni punti – pochi, per fortuna – si lascia prendere la mano dal didascalismo direi quasi televisivo. Non si può comunque negare alla fine che “Nour” ha un’innegabile forza emotiva il cui spessore risiede nell’essere testimonianza civile e nell’offrire con il suo finale uno sguardo di speranza per non dare spazio a retoriche disfattiste e al ripiegamento su noi stessi.

Alla fine della proiezione, incontro on line con Sergio Castellitto, Maurizio Zaccaro e Pietro Bortòlo.
Castellitto, questa è stata sicuramente un’esperienza speciale. Ti sei spesso misurato con personaggi esistenti o esistiti, con elementi storici documentali o di conoscenza diretta, come sono andate le cose con Pietro Bartòlo?
“Penso che gli attori devono evocare, mettere in scena e considerare quanto ha il personaggio che interpreta e renderlo vero. Che sia Pietro Bartòlo o Poseidone: se dovessi interpretare Poseidone per me in quel momento, Poseidone è vero, esiste. Questo è il punto di partenza. Inoltre la storia: il percorso straordinario di Pietro non avrebbe bisogno della firma, perché è una vita talmente formidabile la sua che si racconta da sola, si mette in scena da sola. Lo sappiamo tutti, lo sapevamo anche prima del Covid-19 – che forse ha ingigantito questo aspetto – il compito nostro come artisti è quello di offrire, di consegnare un personaggio. Secondo me il film è come una parabola quasi evangelica, è la storia di un uomo che allunga la mano e salva gli altri, la storia di un uomo che mette al centro della propria vita un’idea potentissima. Si può svuotare il mare con un cucchiaio? No!. Eppure Pietro ci prova. Ed è in questo gesto, apparentemente inutile, la grandezza sua e del film. Faremmo un torto al film se pensassimo che ci deve servire per capire la situazione sociologica, politica e quant’altro: dovevamo limitarci a consegnare un gesto ed in questo c’è la poesia del film. Una poesia chiara là dove spesso la politica è polverosa. Ma talvolta proprio là dove la politica non ci fa capire nulla, il cinema certe volte ci riesce, perché ci consegna un segno, una possibilità in più. Ci sono tanti Pietro Bartòlo in questo film, non c’è soltanto un grande medico che salva, che mette la sua vita a disposizione: c’è anche un uomo che si interroga anche sulla tua”.
Un film di finzione e realtà, con anche la documentazione dei morti sott’acqua, ma com’è stata la tua esperienza sul set, l’incontro con molti emigranti al porto?
“Non è stato un privilegio. Eravamo tutti dentro questo cratere che sembra essere Lampedusa, un enorme cratere circondato dal blu del mare e Maurizio ha sfruttato la sua particolare capacità di non far apparire immediatamente il set come il set, ma come un fotogramma di quella realtà. In questo senso è stato un grande privilegio perché abbiamo toccato tutti manu manu davvero: ho toccati quei ragazzi su queste barche, gli ho messo addosso quelle termocoperte luccicanti che li facevano sembrare degli strani re senza corona. Credo sia stata un’esperienza che lascerà una traccia, anche in termini narrativo-poetici. Sono esseri umani che dovrebbe contare come tale sopra ogni altra cosa”.
Come hai affrontato il dover interpretare Bartòlo?
“Con onestà intellettuale, secondo il proprio sentire quel momento della vita. Ho inteso recitare Pietro restando Pietro, e ciò è stato semplice, aiutato anche dal fatto che lui è un uomo molto discreto, che si è presentato molto raramente sul set, dove era molto ‘laterale’, non ha mai invaso più di tanto. Anzi, sembrava una specie di curioso che guardava le riprese. Insomma, ho voluto mettere in scena un essere umano, non il medico. Ad un certo punto parla del padre e in quel momento diventa anche lui figlio, come Nour: racconta un pezzo della sua adolescenza, della sua solitudine, di quella stringente, drammatica, povertà che hanno vissuto in qualche misura quelle persone, quegli emigranti: non dobbiamo mai dimenticarcelo ed è per questo che bisogna salvare, salvare sempre, senza comunque dimenticare le ragioni di tutti gli altri. Noi siamo stati un po’ emigranti, ci siamo presi gli sberleffi e l’ironia dei belgi quando andavamo a fare nella civile Europa i minatori. A noi hanno tolto i pidocchi; in America ci hanno tenuto in quarantena per 40 giorni prima di farci sbarcare e poi diventare là dei grandi imprenditori. Ecco perché questo sentimento è legato a un popolo che che ha come fondamento nella sua storia quello della povertà. Non siamo mai stati un popolo di colonizzatori, e quando lo siamo stati lo abbiamo fatto in maniera abbastanza ridicola, e non siamo mai stati degli approfittatori, in questo senso, della cultura. E’ anche in questo che risiede la nostra forza, la nostra capacità di essere uomini generosi.
E’ un momento caldo per la ricreazione: ci sono stati i fatti di Ragusa, il possibile processo a Salvini per Open Arms, le recenti dichiarazioni del sindaco di Lampedusa: che fare? Chiudere le orecchie o dare ascolto anche ai dissidenti cercando una mediazione?
“Diciamo che per prima cosa bisogna tenere separate le cose: da una parte ciò che dobbiamo fare, dall’altra il film, che è un gesto, innanzitutto artistico. Ripeto, faremmo un torto a tutti, quindi anche a noi, se pensassimo che questo film ci possa consegnare una qualche soluzione alla tragedia che si sta vivendo. Dobbiamo però accettare l’idea che c’è una responsabilità storica e politica. Fondamentalmente, a livello internazionale, un grande assente di questa tragedia è l’Europa, in generale, anche se qualche Paese è più cattivo o più buono di altri. Non è questo un discorso che ci interessa ma la grande e opportunistica disattenzione dell’Europa. Non saliamo le persone perché siamo buoni, ma perché è un dovere. Noi italiani siamo portati anche geograficamente a salvare le persone, c’è poco da fare. Nel fare questo abbiamo rivelato potenza, straordinaria generosità, competenza, con Pietro, e così via. Ma questo non ci deve far dimenticare che il problema è davvero più complesso e atrocemente più serio: Non dobbiamo neanche cominciare a prendercela con gli italiani che rivelano un atteggiamento ostile nei confronti di tutto questo, non possiamo cadere in questa trappola, perché se diamo una multa di 400 un povero disgraziato che entra in un bar senza mascherina per prendere un caffè e poi accadono certe cose, il sentire comune, per quanto semplice, è quello: e noi dobbiamo tenerne conto, perché altrimenti sarebbe fare solo un gesto di onestà intellettuale”.

Maurizio Zaccaro, che ne pensa?
“Io ho fatto una cosa: fin da quando siamo andati a fare i primi sopralluoghi ho cercato di conoscere Bartòlo, la sua famiglia: non solo quella personale, ma la famiglia composta anche dai 1600 abitanti di Lampedusa, che ci hanno accolto bene. Sento che in questo momento c’è un’involuzione, che c’è qualche cosa che sta cambiando, che i giudizi sono più taglienti di prima. Cosa vuol dire questo? Che l’Europa è assente – come ha detto Castellitto – ma non solo l’Europa: tutto il mondo è assente su questo problema, perché la stessa cosa succede sui treni che i messicani prendono per cercare di entrare negli Usa, o sui barconi di asiatici che cerano di andare in Australia. E’ l’evoluzione di un problema, in un mondo in movimento, che la gente vorrebbe fermare. Allora noi dovremmo capire che le situazioni andrebbero affrontate sotto un altro punto di vista, attraverso una bellissima frase presente all’ingresso del Palazzo di Vetro dell’ONU, a New York:
‘TUTTI I FIGLI DI ADAMO FORMANO UN SOLO CORPO, SONO DELLA STESSA ESSENZA. QUANDO IL TEMPO AFFLIGGE CON IL DOLORE UNA PARTE DEL CORPO, ANCHE LE ALTRE PARTI SOFFRONO. SE TU NON SENTI LA PENA DEGLI ALTRI, NON MERITI DI ESSERE CHIAMATO UOMO’.
E’ una riflessione di Saadi Shiraz, filosofo iraniano, fatta nel 1200. Non è una frase che siccome ‘suonava bene’ l’hanno incisa sul muro del Palazzo di Vetro. Perché non riusciamo a farla nostra oggi, nel 2020? Dov’è finito uomo con la testa incastrata nel gommone, quello che è stato in acqua 15 giorni? Non ho più letto nulla, non si sa se il corpo è stato recuperato, non si sa più niente. Non era un uomo quello? Non era un pezzo di plastica, avrà avuto una famiglia, non lo so: so invece che non si può anche sapere più niente di che fine fa una persona. Ho capito allora che ciò che più infastidisce il potere oggi è la realtà, perché la realtà è per forza legata alla libertà d’espressione e se tu non hai la libertà d’espressione, come fai a raccontare delle storie tipo nuovo? “

Pietro Bartòlo, ora parlamentare europeo eletto nelle liste del Pd, quanto è preoccupato?
“Devo dire che Lampedusa rimane accogliente, ma una certa indifferenza comincia a farsi sentire anche per colpa di questa narrazione brutale e menzognera da parte di chi nella sua campagna elettorale ha fatto di questa battaglia una speculazione politica. Oggi, va detto, l’Europa si gira dall’altra parte, mentre, davanti a quei bambini migranti, dovrebbe chiedere scusa. Spero che nel semestre a conduzione tedesca si risolva tutto. In tal caso torno a fare il medico. Gli abitanti dell’isola è gente di mare, è un popolo sempre aperto a tutto quello che viene dal mare, perché per noi il mare rappresenta tutto, anche se c’è qualcuno che oggi la pensa diversamente. La maggior parte dei lampedusani sono pescatori, hanno questo sentimento d’accoglienza, di condivisione, è scritto nel nostro DNA e nessuno può cancellarlo. Nei salotti spesso si parla dei migranti in termini numerici, ma sono esseri umani, grandi e bambini. Sono felice che si sia fatto il film perché spero possa svegliare le coscienze di chi ancora oggi si gira dall’altra parte. La fratellanza, l’amore sono importanti! Qualcuno si vergogna di dire questo? Io non mi vergogno assolutamente perché penso che stiamo parlando di esseri umani: sono uguali a noi, non c’è nessuna differenza. Ho letto recentemente che qualcuno, a proposito del calo demografico, ha detto ‘Non abbiamo bisogno di bambini preconfezionati’. Che ne sanno loro dei bambini che stanno dentro quelle confezioni con la cerniera che hai paura ad aprire: quante volte ho pianto e quante volte ho avuto dei dubbi! Ho anche pensato di lasciare quando ti trovi davanti a un corpicino di bambino, cadavere speciale, e mi sono chiesto ‘Perché succede tutto questo, perché nessuno interviene’. Davanti a quelle scene di orrore puro ho pensato di lasciare, ma solo una volta. Poi, uscito al freddo, mi è spiaciuto e sono tornato indietro e ho chiesto scusa ai bambini. Ma scusa, lo ribadisco, devi chiederlo tutta l’Europa, non solo l’Italia perché non può essere un problema lasciato sulle spalle solo all’Italia o alla Grecia o alla Turchia, ma deve essere l’Europa intera a dare quella risposta. Può far piangere, commuovere quello che ho fatto in questi 30 anni, ma poi qualcuno nel Parlamento europeo ti chiede ‘Ma veramente è così, dottore?. Però poi non cambia nulla e allora ho pensato di entrare in politica anche per questo motivo: sentivo una responsabilità perché ho sempre pensato di non fare abbastanza. Ho pensato dentro di me che la buona politica, quella vera, è quella che deve cambiare le cose: è la politica che deve decidere se chiudere o aprire porte, se considerare degli alieni dei mostri. L’essere stato definito talvolta un eroe mi fa capire che siamo arrivati alla frutta. I decreti che sono stati fatti sono disumani perché è diventato un reato salvare una persona_ il fatto che devo pagare un’ammenda è veramente qualcosa di sconvolgente che al di fuori di ogni idea di essere umano. Credo che devono cambiare tante cose e per questo mi sto battendo”.
Cosa ha provato nel vedere il suo lavoro, anche letterario, insomma il suo impegno in generale, espresso in un film?
“E’ stata un’esperienza straordinaria e sono grato a Zaccaro e Castellitto, due grandi professionisti. Ora più che mai credo che il mio lavoro sia una missione. Pochi giorni fa c’è stato un altro naufragio e non ci si po’ mai assuefare a queste cose: un naufragio dovrebbe scuotere le coscienze. Per trent’anni il molo di Lampedusa e stato la mia prima casa. Devo molto a tutti gli immigrati che ho salvato perché mi hanno cambiato la vita. Io che scrivevo solo ricette mediche mi sono messo a un certo punto a scrivere libri e proprio i migranti mi hanno addirittura curato da un ictus che è come rientrato di fronte alla mia voglia di tornare in ospedale. Vera mia ‘ossessione’ – che traspare anche dal film, ndr – è quella per un bambino che non sono riuscito a salvare e che ho trovato morto in una sacca per cadaveri: aveva i pantaloncini rossi, non lo scorderò mai. Era solo un bambino”.
Zaccaro, cosa ha pensato nel mettere in scena la storia di Nour?
“Mi sono innamorato subito del libro ma ho capito che nulla, in questo film, poteva essere ricreato in modo posticcio. Il film, per essere credibile, doveva collocarsi a metà strada fra il vero vissuto e il vero narrato: due modi di raccontare il vero e il verosimile in modo da rendere una storia, pur complessa che sia, vicina a tutti, anche se affonda le sue radici nella realtà più dura, scomoda e controversa che si conosca”.