Buio. Luce. In scena, due giovani uomini. Il primo basso e magro, il secondo alto e muscoloso. Entrambi indossano gli stessi vestiti: pantaloni verdastri e una maglietta bianca. “Dai, raccontami un po’ di te”, dice l’uno all’altro, che non ha nessuna voglia di parlare. Il primo è un inguaribile sognatore, innamorato della vita e della sua “Lisa” della quale continuamente vanta bellezza e unicità. Il secondo, scorbutico e solitario, ha negli occhi il disincanto di chi è abituato – come un leone – a leccarsi le ferite da sè. Leo e Buff sembrano essere gli esatti opposti. Forte e debole. Luce e ombra. Bianco e nero. Eppure, durante l’ultima notte della loro vita, scopriranno di non essere poi così diversi.
La pièce “Lions don’t hug” scritta e diretta da Stella Saccà, andata in scena all’Hudson Guild Theatre di New York il 23, 25 e 26 gennaio, è il racconto dolce amaro di due umanità che si incontrano nel momento più difficile della loro esistenza. Un momento che annulla ogni differenza. Il testo è ben scritto. Il ritmo della commedia è serrato. Anche le pause regalano momenti di alta intensità emotiva.

I personaggi sono tridimensionali, ricchi di sfumature caratteriali rese magistralmente dagli attori in scena. Giorgio Cantarini (Buf), alla sua prima prova teatrale qui a New York, porta a casa un risultato eccezionale nonostante reciti in una lingua non sua. Naturalezza, mimica, emotività. C’è tutto in come l’attore ha scelto di far vivere il suo personaggio, che forse è il più riuscito dei tre. Convincenti anche la performance di Stephen Cofield jr nei panni di Leo e di Skyler James Bailey (Gordo).
La scenografia è scarna, perché non vi sia alcuna distrazione dall’umano in scena. Il pubblico gioisce e piange insieme ai protagonisti in un climax di emozioni che porta all’abbraccio finale. Perché non importa da dove vieni o quale storia tu abbia alle spalle: di fronte alla paura della morte siamo tutti uguali. E l’amore resta il più grande antidoto.
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