
Lorena Luciano e Filippo Piscopo sono due registi e documentaristi. Sono colleghi e soci nella loro professione e sono anche marito e moglie. Sono italiani, sono emigrati negli USA una ventina di anni fa e abitano a Brooklyn. Il loro ultimo film: It Will Be Chaos (Sarà il caos), prodotto da HBO ha vinto l’Emmy Award (l’equivalente televisivo degli Oscar) come miglior film documentario di attualità. È già stato visto da milioni di persone in tutto il mondo: negli USA lo trasmette HBO, in Italia SKY on-demand.
I miei concittadini mantovani avranno occasione di vederlo all’ARCI Tom di Mantova lunedì 16 dicembre alle 21, come parte di una serie di proiezioni sul tema delle migrazioni del progetto Derive Forzate.

Sarà il caos è un film che racconta due storie: la prima è quella di Aregai, un ragazzo eritreo che, nel 2013, sopravvive a uno dei più tragici naufragi al largo delle coste di Lampedusa e intraprende un viaggio avventuroso attraverso l’Italia per raggiungere l’Europa del Nord. La seconda è quella dei siriani Wael e Doha Orfahli e dei loro quattro figli, una famiglia in fuga dalla guerra che i registi incontrano a Smirne in Turchia tramite Sara Bergamaschi, funzionaria delle Nazioni Unite originaria di Modena e produttrice associata del documentario. Gli Orfahli sono determinati a ricongiungersi al fratello di Wael in Germania, in un viaggio epico che richiederà loro di raggiungere la Grecia via mare e di attraversare i confini di nove paesi.

Le riprese del film hanno portato Lorena e Filippo a condividere per lunghi periodi le condizioni di vita dei personaggi del loro film. Nonostante la necessità di limitare l’attrezzatura al minimo, le immagini parlano da sole e trascinano lo spettatore nell’odissea vissuta dai rifugiati protagonisti del film.
Negli ultimi anni si sono visti molti film sul tema emigrazione a partire da Fuocoammare di Francesco Rosi, primo documentario ad aggiudicarsi l’Orso d’Oro come miglior film al Festival di Berlino del 2016. Ma cosa rende unico Sarà il caos? Perché è un film che ti resta dentro anche settimane dopo che l’hai visto e continua a interrogarti?

Sarà il caos non è un documentario a tesi; è un documentario che racconta delle storie, che, anzi, ti dà quasi l’illusione che le storie si raccontino da sé: non c’è una voce narrante e le didascalie sono ridotte al minimo. La macchina da presa è usata con grande mestiere e allo stesso tempo con grande discrezione, col pudore di chi è consapevole di entrare in spazi intimi e familiari, grazie a un rapporto di fiducia che si è instaurato gradualmente e senza scorciatoie tra i registi e i protagonisti. È un documentario paziente, che si pone le domande sul ‘dopo’, che rifugge dalle immagini drammatiche degli sbarchi e dei naufragi rimbalzate su tutti i media del mondo e immediatamente utilizzate per costruire la retorica dell’invasione, per concentrarsi sui percorsi individuali di alcune persone, sulle loro speranze, le loro paure, la loro quotidianità.
Per tutti questi motivi sono tentato di dire che le storie che Sarà il caos racconta non sono due, come avevo annunciato, ma in realtà sono tre: oltre a quella di Aregai e degli Orfahli che vediamo svolgersi sullo schermo c’è la storia e la sensibilità dei Luciano/Piscopo, che non appaiono mai, ma che si sono fatti compagni di viaggio e di vita dei protagonisti del loro film e che forse proprio per questo li sanno raccontare con partecipazione ma senza alcuna retorica.