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December 14, 2019
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Quando un film ti fa vivere il dramma dei migranti al di là di ogni retorica

Alla NYU avevamo visto e discusso del pluripremiato "It Will Be Chaos" dei "newyorkesi" Lorena Luciano e Filippo Piscopo. Che si veda di più in Italia

Stefano AlbertinibyStefano Albertini
Time: 3 mins read
Lorena Luciano

In English here.

Lorena Luciano e Filippo Piscopo sono due registi e documentaristi. Sono colleghi e soci nella loro professione e sono anche marito e moglie. Sono italiani, sono emigrati negli USA una ventina di anni fa e abitano a Brooklyn. Il loro ultimo film: It Will Be Chaos (Sarà il caos), prodotto da HBO ha vinto l’Emmy Award (l’equivalente televisivo degli Oscar) come miglior film documentario di attualità. È già stato visto da milioni di persone in tutto il mondo: negli USA lo trasmette HBO, in Italia SKY on-demand.

I miei concittadini mantovani avranno occasione di vederlo all’ARCI Tom di Mantova lunedì 16 dicembre alle 21, come parte di una serie di proiezioni sul tema delle migrazioni  del progetto Derive Forzate.

Filippo Piscopo

Sarà il caos è un film che racconta due storie: la prima è quella di Aregai, un ragazzo eritreo che, nel 2013, sopravvive a uno dei più tragici naufragi al largo delle coste di Lampedusa e intraprende un viaggio avventuroso attraverso l’Italia per raggiungere l’Europa del Nord. La seconda è quella dei siriani Wael e Doha Orfahli e dei loro quattro figli, una famiglia in fuga dalla guerra che i registi incontrano a Smirne in Turchia tramite Sara Bergamaschi, funzionaria delle Nazioni Unite originaria di Modena e produttrice associata del documentario. Gli Orfahli sono determinati a ricongiungersi al fratello di Wael in Germania, in un viaggio epico che richiederà loro di raggiungere la Grecia via mare e di attraversare i confini di nove paesi.

L’abbraccio tra Aregai e il pescatore che lo ha salvato (Dal documentario “It Will Be Chaos”)

Le riprese del film hanno portato Lorena e Filippo a condividere per lunghi periodi le condizioni di vita dei personaggi del loro film. Nonostante la necessità di limitare l’attrezzatura al minimo, le immagini parlano da sole e trascinano lo spettatore nell’odissea vissuta dai rifugiati protagonisti del film.

Negli ultimi anni si sono visti molti film sul tema emigrazione a partire da Fuocoammare di Francesco Rosi, primo documentario ad aggiudicarsi l’Orso d’Oro come miglior film al Festival di Berlino del 2016. Ma cosa rende unico Sarà il caos? Perché è un film che ti resta dentro anche settimane dopo che l’hai visto e continua a interrogarti?

Migranti osservano lo sbarco delle bare nel porto di Lampedusa (Dal documentario “It Will Be Chaos”)

Sarà il caos non è un documentario a tesi; è un documentario che racconta delle storie, che, anzi, ti dà quasi l’illusione che le storie si raccontino da sé: non c’è una voce narrante e le didascalie sono ridotte al minimo. La macchina da presa è usata con grande mestiere e allo stesso tempo con grande discrezione, col pudore di chi è consapevole di entrare in spazi intimi e familiari, grazie a un rapporto di fiducia che si è instaurato gradualmente e senza scorciatoie tra i registi e i protagonisti.  È un documentario paziente, che si pone le domande sul ‘dopo’, che rifugge dalle immagini drammatiche degli sbarchi e dei naufragi rimbalzate su tutti i media del mondo e immediatamente utilizzate per costruire la retorica dell’invasione, per concentrarsi sui percorsi individuali di alcune persone, sulle loro speranze, le loro paure, la loro quotidianità.

Per tutti questi motivi sono tentato di dire che le storie che Sarà il caos racconta non sono due, come avevo annunciato, ma in realtà sono tre: oltre a quella di Aregai e degli Orfahli che vediamo svolgersi sullo schermo c’è la storia e la sensibilità dei Luciano/Piscopo, che non appaiono mai, ma che si sono fatti compagni di viaggio e di vita dei protagonisti del loro film e che forse proprio per questo li sanno raccontare con partecipazione ma senza alcuna retorica.

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Stefano Albertini

Stefano Albertini

Sono nato a Bozzolo, in provincia di Mantova. Mi sono laureato in lettere a Parma per poi passare dall'altra parte dell'oceano dove ho conseguito un Master all'Università della Virginia e un Ph.D. a Stanford. Dal 1994 insegno alla New York University e dal 1998 dirigo la Casa Italiana Zerilli Marimò dello stesso ateneo. Alla Casa io e la mia squadra organizziamo un centinaio di eventi all'anno tra mostre, conferenze, concerti e spettacoli teatrali. La mia passione (di famiglia) rimane però l'insegnamento: ho creato un corso sulla rappresentazione cinematografica della storia italiana e uno, molto seguito, su Machiavelli. D'estate dirigo il programma di NYU a Firenze, ma continuo ad avere un rapporto stretto e viscerale col mio paese di origine e l'anno scorso ho fondato l'Accademia del dialetto bozzolese proprio per contribuire a conservarne e trasmettere la cultura. I was born in Bozzolo (litterally 'cocoon') in the Northern Italian province of Mantova. I obtained my degree from the University of Parma, after which I moved to the other side of the ocean and obtained my Master’s from the University of Virginia and my Ph.D from Stanford. I have been teaching at New York University (NYU) since 1994, and I have been running the Casa Italiana Zerilli Marimò of NYU, since 1998. At the Casa, we organize more than one hundred events annually, including exhibitions, conferences, concerts and theatrical performances. My personal passion, however, continues to be teaching: I created a course on the cinematographic portrayal of Italian history, and one on Machiavelli in its historical context. I also run the NYU program in Florence every summer. I continue to have a close and visceral relationship with my town of origin, and 2 years ago, I founded the Academy of the Bozzolese Dialect to conserve and promote the local culture.

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