È stato tra i recenti eventi dedicati al cinema italiano a Manhattan uno degli appuntamenti di maggior riscontro, stiamo parlando del film Manifesto del Neorealismo Newyorkese “Dance again with me Heywood!” che si avvale della special guest di uno dei massimi Maestri della Settima Arte, il premio Oscar James Ivory. Diretto da Michele Diomà, regista e producer “eretico” del cinema italiano, il film ha suscitato molta curiosità tra il pubblico in prevalenza americano della Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University in occasione del Festival NICE, dell’Istituto italiano di Cultura ed anche tra i più giovani, dato che il primo screening del film si è tenuto presso lo IONA College di New Rochelle.
Ma proviamo a conoscere meglio la factory che ha realizzato questo film. Per “La voce di New York” abbiamo incontrato il regista Michele Diomà, che ha risposto ad alcune domande.

Michele parlaci del Neorealismo Newyorkese, cosa accomuna uno dei principali movimenti culturali del cinema e della letteratura del ‘900 con la tua proposta di un nuovo cinema Made in Italy realizzato a New York?
“Grazie allo IACE language, che ha organizzato di recente presso l’Istituto italiano di Cultura di New York una masterclass intitolata “Dal Neorealismo classico al Neorealismo Newyorkese”, ho avuto modo per la prima volta di illustrare l’ idea che ha ispirato il nostro film. Anche in quella circostanza ho spiegato che il tutto è riconducibile alla mia necessità di essere quanto più libero nelle varie fasi di realizzazione di un film, esattamente come accadeva sui set rosselliniani di “Germania anno zero” o “Paisà”, dove il regista poteva sperimentare, come in un film prodotto dall’industria cinematografica italiana contemporanea non è più possibile fare. La scelta di applicare la mia idea estetica e produttiva a New York, girando il film a Manhattan, è dovuta al desiderio che avevo di confrontare il mio background con artisti provenienti da altre culture, e provare insieme a realizzare un progetto”.
A chi è ispirato il nome del protagonista del film “Heywood”?
“Dance again with me Heywood! ” è anche un omaggio a Manhattan, che con le sue architetture tra classicismo e luci sfavillanti da Luna Park è la vera protagonista del film. Ecco perché quando ho scelto il nome da dare al personaggio principale dell’intera favola cinematografica ho pensato subito che dovesse fare riferimento al regista più rappresentativo di New York ed il diminutivo di Heywood è Woody, insomma ho voluto omaggiare anche Woody Allen, che con la sua filmografia ha contribuito a farmi innamorare di questa città”.

Cosa hai provato nel tornare a New York per presentare un film che hai girato proprio in questa città oltre un anno fa?
“La più potente emozione della mia carriera! A volte mentre giravamo il film mi sono sentito come il funambolo Philippe Petit, che il 7 agosto del 1974 camminò da una torre all’altra delle Twin Towers su un filo sospeso, in merito consiglio la visione del bellissimo documentario “Man on wire”. Sapevo che ogni errore poteva essere fatale per il film! Girare nel centro di Manhattan, tra Bryant Park ed il Madison Square Garden, ero consapevole che non sarebbe stato facile, dato che sono luoghi estremamente affollati, ci vuole una certa “follia”, ma alla fine ci siamo riusciti”.
Come ha reagito il pubblico americano alla visione di un film girato in inglese ed a “casa loro” ma da un regista italiano?
“Il film, forse anche per la sua particolarità, è stato accolto con molto entusiasmo ed ho percepito l’affetto del pubblico per quello che è un piccolo film, almeno sul piano produttivo, ma che racconta la loro città da un punto di vista insolito. Porterò per sempre nel cuore ogni singolo sguardo delle persone che hanno visto il mio film a NYC ed alla fine della proiezione mi hanno stretto la mano e ringraziato, ho sentito la loro sincerità e per un regista vi garantisco che è il più gratificante traguardo che si possa desiderare”.

Dopo aver “superato l’esame” con il pubblico di New York il film è atteso in Italia e verrà presentato dove nel 1972 si svolse la prima del capolavoro “Ultimo tango a Parigi”, come pensi risponderà il pubblico italiano?
“Il festival del cinema di Porretta Terme, in provincia di Bologna, è uno dei rarissimi eventi di prestigio storico dove il cinema ha potuto proporre al pubblico film osteggiati da chi deteneva il potere, oltre alla leggendaria pellicola di Bernardo Bertolucci, a Porretta Terme fu presentato “La classe operaia va in Paradiso” di Elio Petri, che poco dopo vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes. In anni recenti vi sono stati ospiti come il grandissimo regista inglese Ken Loach, Giuseppe Tornatore ed ancor prima Francesco Rosi. In questa edizione sarà ospite Abel Ferrara e leggere il proprio nome tra registi che hanno fatto la storia del cinema, mi lusinga, ma al tempo stesso mi fa sentire la responsabilità di non deludere le attese. Vedremo come andrà la proiezione preannunciata per il 7 dicembre”.
Dopo il tuo primo film a NYC ce ne saranno altri?
“Grazie alla factory che ha collaborato alla realizzazione di questo primo “film-esperimento” sento di poter essere ottimista, nel senso che ho il desiderio di realizzare un nuovo progetto cinematografico a New York, anche perchè so di poter contare sull’entusiamo di un team senza del quale non sarei mai riuscito a portare a termine il mio primo film americano. Molte sono le persone che mi hanno fatto subito sentire a casa a Manhattan, anche se mi trovavo dall’altra parte dell’oceano, tra cui il Professor Mario Costa, docente della leggendaria Fame, la Fiorello La Guardia High School, che due anni fa mentre mi trovavo a NY per presentare il mio film “Sweet Democracy” al quale ha partecipato anche il premio Nobel Dario Fo, mi propose di tenere una Q&A nella sua classe. In seguito, in pieno stile neorealista, gli ho proposto di interpretare un piccolo ruolo nel mio film con Ivory, e lui generosamente ha accettato”.
Puoi anticiparci qualcosa del tuo prossimo film?
“Sarà anch’esso una favola cinematografica, è una soluzione narrativa che trovo molto congeniale al mio modo di raccontare come vedo il mondo, forse perché nelle favole vi riscontro l’essenza delle cose. Non a caso spesso le favole vengono scritte per i bambini, con i quali grazie alla loro istintiva saggezza è impossibile essere ipocriti”.
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