Eccoci dunque alla prima proposta, cari amici. Lasciamoci rapire da Bach (1685 – 1750) e dal suo Oster Oratorium (oratorio di Pasqua) BBW 249, quinto brano: Seele, deine Specereien sollen nicht mehr Myrrhen sein
Aria in Si Minore per soprano, flauto traverso o violino solo e continuo. Agnès Mellon, soprano; Patrick Beuckels, flauto barocco; Collegium Vocale, Gent – Philippe Herreweghe, direttore.
Siamo nel 1735 o giù di lì. Bach compone l’oratorio utilizzando materiali già composti per altre occasioni, residui di lavorazione che diventano a loro volta gemme preziose in un nuovo contesto artistico.
Prassi consolidata, quella del riuso musicale – tecnicamente: ‘parodia’ – in un’epoca in cui la musica scritta è oggetto di amore; di studio, di ricerca e di cura. Molto interessante, l’aspetto della cura, che riveste in un altro contesto una valenza altamente specifica del linguaggio musicale. Ci torneremo. Per quanto interessa qui, ovvero la lettura della composizione, teniamo presente i concetti di amore, di oggetto amato, e di ricerca dell’oggetto amato.
L’oratorio è un genere musicale drammatico per voci e strumenti, a soggetto sacro, in cui Bach ha modo di esprimere la potenza vibratoria che gli è propria. Lo fa, nell’oratorio in questione, con un organico strumentale che comprende almeno quindici strumenti, tra fiati, archi e tastiera, oltre a quattro solisti vocali e coro. Un complesso, quindi, non monumentale, ma in cui sono rappresentati tutti i colori e i registri di quella che diventerà, alla fine della vita del compositore – morto a Lipsia nel 1750 – la prima incarnazione della moderna orchestra sinfonica. L’unica compagine strumentale che da bambini ci abbiano fatto conoscere. Dandola per altro per data, alla stregua del resto del creato.
O almeno questo è capitato a me ed ai Blues Brothers di cinematografica memoria, come alunni di una scuola gestita direttamente dalle Suore/Pinguine. La differenza è che Jake ed Elwood venivano puniti a bacchettate, mentre io dovevo sedere nella Fila degli Asini. In comune subimmo il supplizio del banco-sedia, orrendo presidio che scatenò all’inizio del ‘secolo breve’, la rivolta pedagogica di Maria Montessori.
Ma torniamo al 1735, estrapolando dall’Oster Oratorium il quinto brano, l’Aria col Da Capo che ascoltiamo insieme: Seele, deine Specereien sollen nicht mehr Myrrhen sein. L’organico si restringe a due solisti, ovvero flauto traversiere e voce di soprano, più tre accompagnatori: gli strumentisti che ricoprono la funzione del basso continuo.
Non possiamo dilungarci sulla prassi del continuo, è lussuria musicale cui ci abbandoneremo in altra sede. E tuttavia chi ama il Jazz può trovare addentellati con la sezione ritmica del combo o della big band, in cui le note portanti, scandite puntuali dal contrabbasso, vengono espanse in sapidi accordi dalla mano del pianista. Il quale, anche al tempo di Bach – magari all’organo – è il sapientone che li snocciola al momento, in varie combinazioni, sulla base del basso obbligato, ovvero scritto. La formazione poteva mutare, secondo i contesti e le occasioni, prevedendo duplicazioni ed estensioni. Qui ascoltiamo la linea di basso al violoncello, raddoppiato un’ottava sotto al contrabbasso. Il tutto avviene – ed è pensato per avvenire – in chiesa. Una chiesa luterana. La voce è impostata per quel tipo di spazio. Il flauto è di legno e senza chiavi.
Bach ha composto quest’opera nella terza fase della sua parabola artistica. Il periodo di Lipsia, dove assunse il ruolo di Thomaskantor, ovvero direttore musicale della scuola di San Tommaso, provvedendo alla composizione della musica liturgica della relativa chiesa. Una fase in cui la Cantata da chiesa diventa dunque il genere predominante, con ampio ricorso, di conseguenza, alle parti vocali.
Bach seppe sempre ricondurre a unità espressiva gli elementi in gioco: il sentimento religioso dell’argomento liturgico, le parole del testo, e la composizione musicale. Se il testo redatto da Picander (pseudonimo del librettista Christian Friedrich Henrici) non risultava pienamente rispondente alle esigenze drammatiche dell’opera, non esitava a mettervi mano egli stesso, sino a raggiungere l’equilibrio formale e la coerenza interna che percepiamo anche qui distintamente, consegnandoci all’ascolto dell’intreccio delle voci sostenute dal continuo, che caratterizza quest’aria. Sentiamo rincorrersi, darsi il turno, e integrarsi, due linee melodiche indipendenti – e questo, amici, è il contrappunto – sin dalle prime battute affidate al flauto.
Quando la voce del soprano fa il suo ingresso, dando vita al testo, la linea del flauto la segue a vista, passo dopo passo, riempiendo ad arte gli spazi lasciati vuoti dai respiri e dalle strofe. Come l’ordito di un arazzo, l’intreccio delle voci raffigura lo scenario religioso della resurrezione. Maria la madre di Gesù può finalmente elevare il suo canto liberatorio. Dolore e nostalgia si disciolgono nella trama melodica delle due voci in contrappunto: la preesistente mirra lascia il posto alla più splendente corona di alloro.
Il brano doppia il ciclo di inseguimenti grazie al Da Capo – espediente tutto italiano mutuato da Bach attraverso lo studio di Corelli, Bonporti e Vivaldi – rafforzando il sentimento e rinnovandone la gioia. La più insperata e sublime, per una madre sopravvissuta al proprio figlio. Il dispiegamento melodico corre sul filo delle proporzioni e delle simmetrie, udibili nell’alternanza delle voci e internamente alla struttura delle singole linee.
Se delle due quella vocale può contare sul sostegno espressivo del testo, è il flauto che deve prodursi nelle più ardite circonvoluzioni. Deve infatti dire tutto con i suoni, e con estrema precisione. Ecco che la melodia strumentale che incontriamo sin dall’apertura giunge al culmine con una terna di elevazioni – stabilendosi dapprima su un gradino per poi elevarsi al successivo – lambendo la nota più alta nello spazio di quattro battute.
Discende poi in picchiata, la linea del flauto, dritta alla nota di base. E questa volta in sole due battute, dando quindi l’idea del raddoppio di velocità dimezzando lo spazio temporale. La discesa avviene in forma di serie ininterrotta di terzine, il profilo più fluido e rotolante che la metrica musicale possa offrire. Like a Rolling Stone.
Amore, dicevamo, oggetto amato e ricerca dell’oggetto amato. Aprendosi all’ascolto dell’opera intera, spicca nell’oratorio la figura drammatica di Maria Maddalena, Maria di Magdala. Fonti apocrife la danno per consorte del Maestro (Vangelo di Filippo), fonti testamentarie la attestano come allieva determinata e costante, colei che ama con perseveranza. E così la dipinge l’arte, nella deposizione e poi al sepolcro. Unica a visitare la tomba del condannato, la legge lo vietava, è la prima a vedere il risorto: ‘noli me tangere’, le dirà Gesù rivolgendosi a lei prima che a chiunque altro.
Del tutto ingiustificato è identificarla con la prostituta redenta di cui parla Luca – Lc 8,36-50 – sebbene l’equivoco sia a lungo resistito nell’immaginario esegetico: tra le due figure non c’è alcuna connessione logica, solo prossimità narrativa nel testo. Ebbene ella cerca instancabilmente l’amato, in ogni dove. Come del resto avviene nel Cantico dei Cantici, apice lirico dell’Antico Testamento e della letteratura erotica universale: Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda alla città: “avete visto l’amore dell’anima mia?” (Cant, 3,3).
Se in Seele la componente materna della figura femminile in amore – la più giustificata a gioire per la resurrezione – è messa in musica da Bach alla voce più alta, nella prima aria della composizione (N.5), in Saget mir geschwinde, wo ich Jesum finde (ditemi, su, ditemi dove posso trovare Gesù) la più profonda voce del contralto volge in cerca dell’amato da amante, da consorte e compagna, quale prima e più assidua discepola.
A questo punto si rende necessario un punto medio: l’equidistanza tra le due polarità. L’arte ci ha sempre raffigurato presso il Cristo tre Marie, quindi mi interrogo. Viene dunque a proposito il Vangelo di Filippo, dove al capitolo 32 ci informa: “Erano tre che andavano sempre con il Signore: sua Madre Maria, sua sorella, e la Maddalena, che è detta sua consorte. Infatti era ‘Maria’ sua sorella, sua madre e la sua consorte”. La rappresentazione della sorella è dunque la risoluzione necessaria al completamento delle declinazioni della figura femminile sul piano immaginale. L’amore che si manifesta tra gli estremi della madre e della consorte, il legame della complicità, dell’ascolto, e della protezione. L’aggancio che permette di identificare come Fratelli in Cristo gli attoniti discepoli del cristianesimo delle origini.
L’unità come condensazione del ternario: eccoci dunque all’organico di Seele, oggetto del nostro primo incontro: flauto, soprano e basso continuo. Il circolo è compiuto. Potete ascoltare ad occhi chiusi, oppure lasciarvi ipnotizzare dalla gestualità dei musicisti. Scegliete voi come elevare lo spirito: gas propellente ne avete. Poi diteci che cosa avete vissuto, dove siete stati sospinti o che cosa ha generato l’esperienza musicale dentro di voi.
Potete rispondere per iscritto, sarà fantastico leggerci. Oppure con un quadro della pittura coeva, o di qualsiasi periodo della storia dell’arte; o se volete con un vostro disegno, un grafico, un mandala. Ma scrivete qualcosa. Create una chiacchiera, che è per definizione l’essenza della comunicazione umana [*].
[*] La definizione: “Messaggio da un emittente a un destinatario lungo un canale in base a un codice” è spacciata come Teoria Standard della comunicazione: in realtà è un caso limite, applicabile solo alle macchine. Comunicazione umana è premessa implicita, non-detto, sottinteso, chiacchiera, contatto, gratuità e implicazione
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