Con un ricevimento tenuto al Consolato Generale di New York, è stato salutato martedì sera Giorgio Van Straten per la fine del suo mandato di Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York. Il Console Generale Francesco Genuardi ha ricordato al folto pubblico di amici e colleghi di lavoro di Van Straten presenti alcuni episodi emblematici che fanno capire quanto lo scrittore fiorentino sia stato, a giudizio di chi scrive, uno dei migliori direttori visti all’Istituto di Park Avenue dell’ultimo quarto di secolo. “Non ha mai per esempio nascosto il fatto che a lui il ciclo di romanzi ‘L’Amica geniale’ di Elena Ferrante non piacciono… Farlo capire mentre vanno così forte negli USA è un segno di grande indipendenza e libertà intellettuale” ha detto Genuardi. Che poi ha raccontato il divertente episodio di quando un importante direttore di un museo newyorchese, dopo aver passato affannato perché in ritardo la sicurezza del Consolato per entrare mentre era in corso un ricevimento in onore di un premier italiano, “di colpo si rese conto di essere nel posto sbagliato: non voleva essere qui, ma andare alla mostra all’Istituto di Cultura… e improvvisamente si alzò e uscì dalla nostra cerimonia per andare da Van Straten…”.
Dopo Genuardi, si sono alternati al microfono Vittorio Calabrese, Direttore di Magazzino Italian Art e Giorgio Spanu, Co-Founder del Olnick Spanu Art Program e Magazzino Italian Art, ed entrambi nel lodare la preparazione e le doti di organizzatore, hanno svelato con momenti anche di commozione quanto l’ottimo lavoro svolto insieme a Van Straten fosse stato garantito anche da un rapporto umano intenso, gratificante e sincero.
Anche noi siamo convinti che la gestione dell’Istituto Italiano di Cultura di Van Straten debba essere incorniciata come modello per il futuro. Non riusciamo a ricordare gestioni a questi livelli: bisogna andare molto indietro, agli anni Novanta, ai tempi di Furio Colombo e Gioacchino Lanza Tomasi, per trovare l’IIC di Park Avenue non solo con una serie di eventi e mostre del livello di quelle organizzate da Van Straten e il suo staff, ma anche con una sede che si presenta al pubblico adeguata al compito.
Van Straten mancherà molto a chi ama la cultura italiana a New York, e ovviamente a noi de La Voce di New York mancherà ancora di più in profondità. Con lo scrittore fiorentino, che avevamo subito intervistato al momento del suo arrivo a New York, abbiamo infatti sviluppato nel tempo una collaborazione veramente entusiasmante che è poi scaturita in altre interviste a approfondimenti sul suo lavoro e nella bellissima serie video, prodotta insieme alla bravissima Marta Corradi, intitolata “Il Novecento racconta il Novecento”. In queste collaborazioni, Van Straten non solo ribadiva tutto il suo spessore culturale che non aveva ovviamente bisogno di dimostrare ulteriormente, ma soprattutto mostrava a tutta la comunità italiana di New York una generosità e un’attitudine a “buttarsi” con coraggio in qualunque occasione ci fosse in gioco la promozione della cultura italiana in America. E nel corso di tutto il suo mandato, Van Straten ha sempre accolto con calore e disponibilità i giornalisti di questa pubblicazione di volta in volta incaricati di raccontare le meravigliose iniziative culturali e artistiche organizzate e promosse dal suo Istituto. Dimostrando sempre quanto fosse in grado di realizzare magnifici eventi grazie alle sue capacità di collaborazione con le migliori istituzioni culturali di New York. Fino all’ultima iniziativa, quella della lettura di “Se questo è un uomo” di Primo Levi alla Public Library di New York.
Rileggendo i passaggi per esempio di certe dichiarazione che rilasciò a Maurita Cardone della Voce, all’inizio della sua avventura a New York, si capisce quanto quel suo pensiero di allora abbia poi combaciato perfettamente con l’azione del Direttore.
Eccone alcune, emblematiche:
“La cultura è un po’ tante cose: anche moda, cibo, design, eccetera. Però l’asse portante della cultura di un paese è rappresentato dalle opere d’arte, da quello che si è prodotto in passato e quello che si continua a produrre. E aggiungo anche dalla sua lingua che a volte viene invece sottovalutata, perché tanto la cultura italiana è amata, tanto la lingua italiana è poco parlata e conosciuta”.
E ancora, sulla lingua italiana:
“Non credo tanto nella difesa e nella protezione della lingua, ma ritengo non si debba cadere in forme di subalternità. Per esempio, io trovo che non sia affatto obbligatorio che l’Istituto di Cultura faccia tutte le iniziative in inglese. Se invito uno scrittore italiano, che lavora con una lingua che è l’italiano, non capisco perché gli si debba chiedere di parlare in un’altra. Poi magari invece se chiamo un designer che passa le sue giornate a lavorare con l’inglese, allora magari fa una conferenza in inglese e va benissimo. È la subalternità che a me non piace. Penso che la lingua è una parte della nostra cultura e quindi devo difendere anche la lingua. Tra l’altro la nostra lingua ha un suo fascino, l’italiano ha una sua bellezza riconosciuta da molti, si dice sia la lingua della seduzione, è sicuramente una lingua di cultura…”.
E poi, sempre tanto ottimismo e speranza, che è la forza della cultura italiana a ribaltare qualunque tendenza decadente nel nostro Paese. Così, per esempio, diceva Van Straten all’inizio del suo secondo mandato, sempre al microfono de La Voce e questa volta a Nunzia Marciano: “l’Italia è viva, ricca di creatività e capace ancora di generare cultura”.
Giorgio Van Straten, di una stoffa rara tra gli intellettuali italiani. Un uomo di cultura non dovrebbe seguire supino le tendenze del momento, quelle più gradite dal potere, ma avere la coscienza dell’importanza del ruolo per ribadire il tanto scomodo quanto necessario. Proprio recentemente, Van Straten ha dato esempio dell’essenza dell’ intellettuale, quando nel concedere lo scorso 25 aprile a noi de La Voce di New York la possibilità di celebrare la nostra festa e il nostro premio giornalistico all’Istituto Italiano di Cultura, ha regalato un messaggio giusto e forte ai nostri ospiti sul significato e importanza di continuare a celebrare il giorno della Liberazione. (vedi video sotto).
Sì, col pensiero seguito dall’azione, Giorgio Van Straten ha dimostrato di essere un grande Direttore capace non solo di promuovere, ma di produrre cultura italiana a New York e nel mondo.
Nel suo saluto l’altro ieri al Consolato, Van Straten ha detto di non esagerare con le lodi anche perché, ha ribadito, il segreto del suo successo è stato l’aiuto che ha avuto da tante persone, iniziando dal suo staff fino ai direttori dei musei newyorchesi.
“Senza l’aiuto di molti di voi qui presenti, non avrei mai potuto fare il mio lavoro bene… Qualche volta hai bisogno delle idee degli altri, qualche volta delle loro conoscenze, dei loro soldi. E qualche volta hai anche bisogno dell’amicizia delle persone, del loro amore. Hai bisogno di qualcuno che ti inviti a cena e ti faccia sentir bene. Hai bisogno di qualcun che ti faccia compagnia magari davanti a un drink Negroni… La mia non vuol essere retorica, è la verità: hai sempre bisogno degli altri per far bene il tuo lavoro”.
Quindi, sperando di rivederlo comunque spesso a New York (abbiamo saputo che insegnerà un semestre alla NYU), vorremmo anche ringraziare chi lo scelse quattro anni fa per la sede di Park Avenue, ma lanciando un serio appello a Roma per evitare i terribili e mortificanti errori del passato. Ci riferiamo a quando la sede di Park Avenue veniva lasciata orfana di un direttore per oltre un anno, addirittura qualche volte per due anni, per lasciar campo libero ai giochetti della politica delle appartenenze e a pretese sull’ambito incarico. Il direttore della sede più importante del mondo per la cultura italiana va scelto e inviato senza perder tempo con certi ingranaggi della partitocrazia, qualunque sia il governo in carica a Roma. Chiunque sarà il prescelto, anzi prescelta, se sarà un direttore non solo “di”, ma soprattutto “con” cultura, saprà cogliere bene l’occasione di aver avuto già spianato il solco da Giorgio il magnifico.
ps. Un lettore mi ha fatto notare che come direttore di IIC di NY dell’ultimo quarto di secolo, ha sicuramente lasciato un segno anche il critico d’arte Renato Miracco. Vero! Anche il suo mandato, durato però soli due anni (per colpa di chi?), fu straordinario!