D’Ambrosi, un ex giocatore di calcio di Napoli, è stato il creatore del movimento teatrale chiamato Teatro Patologico, una forma d’arte che unisce il teatro con la patologia. Il suo one man show, che mostra un detenuto di un reparto psichiatrico vittima di negligenza nel mondo esterno all’istituzione, è stato un successo immediato che ha attratto da sempre file di spettatori. Scritto e interpretato dallo stesso D’Ambrosi, Tutti non ci sono/We are not alone, racconta la storia di un uomo schizofrenico che se ne va da un manicomio nel New Jersey e arriva per le strade di New York. Vestito con una vestaglia, un pigiama e un paio di pantofole, arriva a teatro e lamentandosi parla di una voce nella sua testa che gli dice di uccidersi: “Tutte le notti la voce mi dice ‘buttati dalla finestra’. Perché sono nato con questa voce in testa? Non vuole tornare a dormire. Per favore aiutatemi a farla riaddormentare “. Si rivolge direttamente al pubblico e gli chiede di ripetere alcune parole che dice, di abbracciarlo o di fare qualcosa di stupido, mettendo a disagio le persone che spesso reagiscono come si fa di solito con i ritardati. Il pezzo è stato scritto come reazione alla Legge Basaglia del 1978 (Legge 180), che fu la prima a riformare il sistema psichiatrico in Italia imponendo la chiusura dei manicomi, sostituiti apparentemente da servizi di igiene mentale pubblici anche per pazienti in crisi acuta.
In occasione del 40° anniversario della Legge Basaglia, Tutti non ci sono/We are not alone aprirà la sesta edizione di In Scena! il 7 maggio, al Cherry Lane Theatre, in lingua inglese, presentato da Kairos Italy Theater e KIT Italia.
Come è stato concepito Tutti non ci sono/We are not alone e come ha influito la Legge Basaglia del 1978?
Dopo la Legge 180 e la chiusura dei manicomi in Italia ho deciso di farmi rinchiudere nel manicomio P. Pini di Milano per capire da vicino il mondo della malattia mentale. Tutti non ci sono è stato creato e allestito attraverso l’esperienza nel manicomio e vuole raccontare le difficoltà che un malato di mente ha potuto trovare e affrontare dopo essere stato rinchiuso per molti decenni dentro un manicomio italiano. Quella legge mi ha colpito molto perché, pur essendo una legge all’avanguardia, l’Italia non era ancora pronta a integrare migliaia di malati di mente con patologie molto gravi. Nonostante la Legge Basaglia fosse molto importante non c’era una vera alternativa al manicomio.
In che modo la società ha accolto le persone con problemi mentali? E oggi, è cambiato qualcosa?
Nel 1978 la società italiana, come ho detto, non era ancora preparata a integrare il malato di mente ma ora dopo tanto lavoro, grazie anche al mio Teatro Patologico, si è riusciti a far capire alla società “normodotata” che anche il malato di mente può essere utile per quello che riesce a fare. Tanto che siamo riusciti ad essere il primo paese al mondo a creare il primo Corso Universitario di Teatro Integrato per ragazzi disabili. Spero che in pochi anni molti paesi in tutto il mondo adottino la stessa tecnica del Teatro Patologico per ragazzi con malattie mentali (D’Ambrosi è infatti il creatore del Teatro Integrato delle Emozioni, un programma universitario per diversamente abili che è stato sviluppato dal suo Teatro Patologico in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata e il MIUR ndr).
La reazione del pubblico varia…passano dalla paura al rimorso. Qual è la reazione tipica che ha il pubblico al tuo spettacolo? E come cambia da paese a paese?
Infatti ogni paese reagisce in modo diverso al personaggio che interpreto in Tutti non ci sono. In Europa il pubblico reagisce cercando di capire quali sono le difficoltà che il personaggio sta cercando di comunicare, mentre in America c’è un distacco da parte del pubblico che non vuole essere quasi toccato dal problema. In Sud America invece il pubblico partecipa molto e instaura un rapporto sia emotivo ma anche di confronto.
Quanto spazio c’è per l’improvvisazione durante la performance?
Tutto lo spettacolo è basato sull’improvvisazione e sulle reazioni del pubblico, infatti Tutti non ci sono, rappresentato in diversi paesi del mondo, ha avuto sempre durata e reazioni diverse. È molto bello vedere il pubblico come reagisce agli stimoli e alle provocazioni del “matto” che si trova di fronte. Se penso che Andy Warhol ha visto Tutti non ci sono per ben tre volte nel1980 a La MaMa di New York pur non conoscendo l’italiano, questo ti fa capire il livello di provocazione che suscita lo spettacolo.
Per maggiori informazioni: InScena!