Davanti al Tribeca Film Festival si rimane quanto mai impressionati dalle cifre. Come riporta Chiara Barbo nel suo bel reportage pre-festival, “Il programma include film provenienti da 30 paesi, 78 premiere mondiali, 37 opere prime e 32 registe donne, che su 98 film totali non sono ancora moltissime ma comunque di più rispetto alla percentuale di altri festival internazionali. Quest’anno il Tribeca Film Festival ha ricevuto oltre 8.000 proposte di film, di cui 3.362 film di finzione”. Chiara, saggiamente, aggiunge anche che questo non significa affatto che i film migliorino di qualità, ma certo i numeri contano. E conta anche il fatto che sia, insieme al Sundance, uno dei maggiori film festival americani.
L’Italia ha fatto parte dei 30 paesi coinvolti, ma soltanto con un’opera. Il cortometraggio Viola, Franca, della giovanissima Marta Savina, che per l’occasione è volata a New York City. Ma senza attraversare l’oceano. Ha sorvolato gli Stati Uniti: Marta si è laureata nel corso di regia MFA della UCLA, ed ha scelto di abitare a Los Angeles — dopo aver studiato filosofia al King’s College di Londra. Completano il suo curriculum, di tutto rispetto, la collaborazione con James Franco nell’adattamento del racconto di William Faulkner Elly, e con Francis Ford Coppola per il suo ultimo progetto Distant Vision.
La incontriamo nel cuore di Tribeca, il giorno della proiezione del suo corto, insieme ai protagonisti Carlo Calderone e Claudia Gusmano. Trentenni che dimostrano meno anni a guardarli, ma molti di più sentendoli parlare. La combinazione che preferiamo.

Viola, Franca è una storia vera. Che fa paura, perché non risale al Medioevo, ma al 1965. La giovane siciliana Franca Viola rifiutò le attenzioni di Filippo Melodia, giovane di buona famiglia e modi animali. Ferito nell’orgoglio, Filippo le usò violenza. La consuetudine del tempo voleva che la donna “svergognata” si piegasse al matrimonio per salvare l’onore suo e della sua famiglia. E non solo consuetudine: la legge italiana ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale qualora fosse stato seguito dal matrimonio riparatore. Franca, sostenuta dal padre, si oppose a questa “tradizione” e disse no a Melodia. Il caso, dopo le numerose polemiche sollevate fuori e dentro il Parlamento italiano, portò alla modifica della legge: lo stupro, da reato contro la morale passò a reato contro la persona. E Melodia fu condannato a undici anni di carcere.
“È stato il personaggio di Viola ad attrarmi. Questa giovane ragazza, molto discreta, molto silenziosa, cresciuta in Sicilia, quasi reclusa, a farmi scattare l’attenzione. Di solito si pensa alle persone che hanno cambiato la storia come a dei caratteri molto esuberanti, molto esposti pubblicamente, mentre Franca era esattamente l’opposto. M’interessava molto capire come una persona così riservata avesse potuto assumere questo ruolo semplicemente con una parola: no”, ci dice Marta. Riguardo all’avere preferito il cortometraggio al lungometraggio, la regista aggiunge, “Questo è il mio film di diploma alla UCLA. E non mi sarei sentita di reggere la stazza di un lungometraggio così: in costume con una vicenda etica di questo tipo. Perciò si è inserita una scelta di poetica, che mi interessava molto artisticamente, di dire ‘vediamo quanto essenziale possiamo rendere questa vicenda, ritrovando lo scheletro, l’essenza vera di questa storia. Vediamo se riusciamo a raccontarla in un corto’. Quindi è partita da una necessità mia — non sentendomi ancora pronta a muovere i primi passi con una storia così — che poi è diventata una scelta poetica. Però stiamo già sviluppando l’idea di un lungometraggio. Non posso svelare ancora molto: sarà una co-produzione tra Italia e America, e il corto fungerà un po’ da primo atto del lungometraggio che avrà tutto un altro sviluppo. Per me la cosa divertente del corto era trovare l’essenzialità, cosa decidere di far dire e non dire ai personaggi. In questo devo ringraziare lo sceneggiatore Andrea Brusa, che ci ha regalato delle battute azzeccatissime, come ‘la Chiesa può trasformare il peccato di una ragazza nella virtù di una moglie’, pronunciata dal prete per convincere il padre di Franca a darla in sposa a Filippo e riparare “la vergogna” con il matrimonio. Abbiamo fatto un gran lavoro di sfoltimento del materiale passando attraverso quindici riscritture, in cui la luce guida era Franca e tutto doveva ruotare attorno a lei. Il procedimento somiglia un po’ a quello della scultura: si prende un blocco e si toglie, si sgrossa, si lavora per sottrazione”.
Savina ci confessa di essere “cinematograficamente onnivora”. “Mi fa star bene guardare i film di Federico Fellini, Agnès Varda, Emir Kusturica, registi che, alla base, hanno una ricerca visiva: personalmente credo che le scelte estetiche debbano sempre essere riportate alla storia”.
Quando le chiediamo del rapporto con l’Italia, la regista risponde con un “amore e odio”. E spiega: “Sono lontana da dieci anni ormai, e mi sento fortunata ad aver scavallato. Ma la mia identità è italiana e mi piace ‘importare risorse’: abbiamo un pozzo di storie regionali, un bagaglio preziosissimo! D’altro canto qui in America posso fare questo mestiere. E ho imparato che lo spirito di collaborazione è fondamentale, che il cinema è un lavoro di squadra”.

Marta Savina sembra aver imparato la lezione e averla messa in pratica con il suo team, presente con i due protagonisti Claudia Gusmano e Carlo Calderone. Gusmano, che viene dalla recitazione teatrale ma si muove anche fra televisione e cinema, ci dice di non essersi posta tante domande nella preparazione del personaggio di Franca. “Ho chiuso gli occhi, affidandomi a un tipo di comunicazione più epidermica che verbale. Nell’Italia, paese del bel parlare, Franca non dice nemmeno una parola. Concentrarsi sul ‘no’ di Franca mi ha insegnato a dire ‘sì’ più belli. Ho cercato di capire cosa fare attraverso questo suo silenzio. L’attore deve avere una missione: portare un messaggio con amore e determinazione”.
Così come Marta Savina porta la sua italianità a Los Angeles, Claudia Gusmano porta la sua sicilianità a Roma, dove si è trasferita per lavoro. “Ogni volta che parto è un dolore, per il distacco dalla mia terra che lascio, misto naturalmente a piacere, per il lavoro che amo. Porto sempre con me la Sicilia”.
Carlo Calderone, anche lui passato per il teatro, e per la televisione con Squadra Antimafia 6, è alle prese, in Viola, Franca con il villain, il cattivo, del film. Dopo aver ribadito il grande spirito di collaborazione creatosi sul set, ci spiega la ricerca dentro di sé di un personaggio non facile come Filippo Melodia. “Cerco di fare questo mestiere come si deve, e di non giudicare mai il personaggio che interpreto, una reazione che sarebbe molto spontanea nel caso di Filippo. I personaggi danno modo a un attore di sperimentare, e di dar seguito alle esigenze che uno sente dentro. E Marta è stata straordinaria: mi ha fornito gli strumenti necessari per ricercare quel ruolo, e giocarci”.
Ricordiamo con piacere che Viola, Franca è stato anche nominato ai David di Donatello come miglior cortometraggio, e ad un Emmy come Miglior Dramma per il College Television Award. Tornando al Tribeca Film Festival, in un’edizione in cui le registe donne hanno incassato tutti i maggiori premi, ci sarebbe piaciuto che il riconoscimento al miglior corto andasse a Marta Savina. Non per questioni di gender o nazionalismo, ma perché una vicenda come quella di Franca Viola andava ri-raccontata oggi — aveva ispirato, nel 1970, La moglie più bella al regista Damiano Damiani. A Marta Savina, quindi, il merito di aver frugato fra i soprusi della Storia recente — di cui ogni paese è ricco, e non solo l’Italia — e di averlo riprodotto cinematograficamente con tanta originalità e finezza. Queste storie, di dolore particolare e giustizia universale, non bisogna mai smettere di dirle e ridirle. La memoria collettiva di un paese si costruisce anche così.