Il suo nome non è esattamente una novità per i seguaci più attenti delle novità black di questo decennio. Latasha Alcindor è nata e cresciuta a Flatbush, neighborhood di Brooklyn molto legato alla tradizione hip hop. Per fare qualche nome basti pensare ai giganti Busta Rhymes, Talib Kweli, Dre Knight ai Da Bush Babies oppure a Shaggy e Mos Def che vi hanno messo le basi per qualche periodo della loro carriera artistica, o più di recente a nuove stelle del genere come Joey Badass (su cui avevamo scommesso ormai quattro anni fa in uno dei primi capitoli della nostra rubrica) e Bobby Shmurda, o a collettivi molto attivi e influenti come i Flatbush Zombies e l’East Flatbush Project.
Come molti suoi coetanei, anche Latasha ha la fortuna di avere dei genitori che inizialmente assecondano il sogno della figlia, comune a molti giovani di una delle aree meno ricche e “gentrificate” del borough, di farsi una carriera nel mondo dell’hip hop. Non a caso in una famosa lettera aperta a tutti i genitori americani, nel 2016 Latasha mette in evidenza come sia tuttora fondamentale il supporto della famiglia per i giovani rapper che vogliono farsi strada in un percorso ancora oggi pieno di ostacoli.
Artista a 360 gradi e attivista femminista, Latasha che si fa chiamare più semplicemente “L.A.” vorrebbe fare la giornalista, ma il suo talento e la sua predisposizione sembra essere un altro. Dai tempi della scuola inizia a farsi strada da scrittrice di racconti e poeta, ma presto la sua incessante ricerca artistica la sposta su altri binari. Giovanissima inizia a registrare cover e scrivere brani dove riesce ad abbinare il mood hip hop/R&B classico sul solco delle campionesse del genere Erykah Badu, Lauryn Hill, Missy Elliott e quello da strada dei maestri dell’East Coast. Tra le sue altre fonti di ispirazione menziona spesso un’altra artista molto attiva politicamente, M.I.A., cui è stata più volte accostata.
Grazie al suo carisma, al potere delle sue parole e alla sua presenza scenica, con un solo album all’attivo, The L.A. Riots: Mental Fatality, uscito a nome L.A., fa parlare molto di sé, ma ovviamente non basta. Dopo l’esordio segue un durissimo periodo di depressione che la costringe quasi a mollare tutto, anche perché tutti i suoi sforzi economici non sembrano essere ripagati da verosimili prospettive di carriera. Nonostante i continui litigi coi genitori che vorrebbero convincerla ad abbandonare le sue velleità artistiche, dopo due anni davvero bui, riesce a pubblicare un singolo e un video dai contenuti molto forti sul tema dei pregiudizi razziali. Bee Em (Black Magic) è un j’accuse rivolto all’appropriazione culturale bianca del patrimonio black che finisce in esclusiva sul portale musicale di Vice, Noisey, guadagnando migliaia di visite. Grazie a questa pubblicazione, si accorge di lei una benefattrice anonima che colpita dalla storia e dal talento di L.A. decide di donarle 10.000 euro per farle mettere in piedi un suo space dove registrare e organizzare degli happening artistici. Così riesce a vedere finalmente la luce il suo secondo album, Spark.
Questa favola da film impegnato a stelle e strisce rappresenta la svolta per un’artista che in pochi anni aprirà agli show di The Low, Twista, Ghostface Killah, Big Sean, Skyzoo, Nipsey Hussle, con apparizioni e show in festival di riferimento del genere come il BK Hip Hop Festival o il SUNY’s Culture Shock, ma non solo, visto che finirà addirittura a esibirsi in diversi showcase al leggendario SXSW di Austin.
Jay Z la coinvolge nella sua campagna Rocawear e qualche mese più tardi dopo aver fatto da headliner a un appuntamento con i First Saturdays del Brooklyn Museum, diventa ufficialmente la prima artista hip hop a conquistare una residenza al National Sawdust di Brooklyn.
Nonostante la notorietà, Latasha non perde mai la sua verve polemica e non abbandona quei contenuti politici e sociali da sempre parte del suo immaginario artistico e il suo nuovo album B(L)AK uscito a inizio 2017 diventa subito uno dei lavori più potenti e intriganti del momento. Tra sperimentazioni a tratti coraggiosi e avant, rap a bassa fedeltà e sfoghi R&B, si sviluppa in un ubriacante flusso di coscienza che tocca con intelligenza racconti autobiografici, visioni molto forti sui temi dell’istruzione, del femminismo, della gentrificazione e un richiamo all’identità afroamericana mai così attuale.
In questi mesi è tornata a esibirsi dal vivo, seguitela su Facebook, Instagram e Twitter.