Atticus Finch non era un eroe. Dopo più di cinquant’anni dall’uscita de To Kill a Mockingbird (in Italia Il buio oltre la siepe) sembra che il mondo intero, e per primi gli Stati Uniti, abbia deciso di crogiolarsi in questa convinzione e, di certo, il secondo romanzo di Harper Lee – Go Set a Watchman (’edizione italiana tradotto letteralmente con Va’, metti una sentinella) – è stata la causa unica di questa sorta di crollo emotivo.
Harper Lee è morta poche ore fa a 89 anni, si è addormentata nel suo letto a Monroeville – la cittadina dell’Alabama dov’era nata nel 1926 – e non si è più svegliata. Irrequieta figlia di un Sud segregazionista, crudele e affascinante, non portò mai a termine gli studi di legge per dedicarsi alla scrittura, sua vera passione. Ad affrontare insieme a lei il rapporto di amore/odio con carta e penna c’è stato Truman Capote – cresciuto presso alcuni parenti proprio a Monroeville – che aiutò nella stesura di In Cold Blood (A sangue freddo) e che la spronò a mettere nero su bianco i nitidi ricordi della loro avventurosa e non sempre spensierata infanzia.
Così nel 1960, una trentaquattrenne Harper Lee vide pubblicato il suo romanzo Il buio oltre la siepe,un libro che sembra essere contemporaneamente una cronaca, uno zibaldone e uno spaccato di saga familiare, di certo l’evidente tentativo di mettere ordine in un’infanzia costellata di eventi interessanti, difficili, di rapporti d’affetto speciali e, soprattutto, una narrazione da cui trapela la fiducia sterminata in un genitore, un padre vedovo, che mai si nega ai propri figli, nonostante le circostanze e gli affanni della propria esistenza.

Nel 1961 arrivò il Pulitzer, l’anno dopo – lo stesso in cui venne a mancare il padre di Lee – uscì il film tratto dal suo libro con Gregory Peck nei panni di Atticus Finch, Il buio oltre la siepediventò un successo mondiale e Harper Lee venne catapultata nell’olimpo degli scrittori americani di rango. Ma la parabola di Lee sembra esaurirsi in fretta, consegnandola a una vita discreta, sebbene sempre dedicata alla cultura: silenziosamente, ma mai dimenticata, ha condotto la sua vita tra New York e la natia Monroeville. Nel 2007 si è concessa al pubblico per ricevere dalle mani del presidente George W. Bush – che non ha mai incarnato gli ideali di cui Lee è stata di certo un simbolo – la Presidential Medal of Freedom che, insieme alla Medaglia d’Oro del Congresso, rappresenta la massima onorificenza civile riconosciuta negli Stati Uniti.
Il lungo silenzio di Lee è terminato nel 2015, quando, tra non poche polemiche, è stata annunciata l’uscita di un suo secondo romanzo Go Set a Watchman,in cui l’autrice racconta quello che succede a una ventiseienne Scout sedici anni dopo la conclusione della precedente vicenda. Nonostante sia una sorta di sequel, il nuovo romanzo è stato scritto prima de Il buio oltre la siepe, approssimativamente a metà degli anni Cinquanta, di certo dopo il 1951, anno in cui venne a mancare il fratello trentunenne di Harper, Edwin Lee, circostanza a cui si fa chiaro riferimento nel nuovo romanzo.
Ed è esplosa la bomba: Atticus Finch non è più l’eroe anti segregazione del primo romanzo, ma un bianco razzista, terrorizzato all’idea che i “negri” possano divenire parte attiva nella società statunitense. O almeno questa è l’idea prevalente.
In realtà bisogna prendere in considerazione un punto di vista differente sulla questione: Atticus Finch è una creazione della sensibilità di Lee, una proiezione, non necessariamente fedele, di Amasa Coleman Lee, padre di Harper.
Le due narrazioni differiscono soprattutto in un particolare: mentre la piccola Scout racconta in prima persona quello che succede ne Il buio oltre la siepe, in Va’, metti una sentinella ad accompagnarci nella vicenda è una terza persona, spesso intervallata da lunghi flussi di coscienza di Scout, riportati privi di virgolette. Questa differenza nel tipo di narrazione lascia trapelare molto, moltissimo, sullo spirito con cui Lee ha scritto ciascuno dei due romanzi: la scelta della prima persona è determinante per portare il lettore a immedesimarsi totalmente con Scout, e per Scout Atticus è un’entità quasi divina, mai ne metterebbe in dubbio la moralità. In questo sta gran parte dell’abilità letteraria e stilistica di Lee. La terza persona sembra segnare il passaggio all’età adulta, il distacco dalla cittadina natia amata e odiata (“Ogni volta che torno a casa, io mi sento come se questo fosse il mondo, e quando lascio Maycomb è come lasciare questo mondo. È stupido. Non posso spiegarlo, e ciò che lo rende più stupido è che diventerei pazza furiosa se vivessi a Maycomb”), il rifiuto delle convenzioni sociali – vestirsi bene, comportarsi con modestia, sposarsi – a cui deve piegarsi una giovane donna che viva in una cittadina del Sud.
Questo e altri dettagli nel testo (Scout manifesta la sgradevole sensazione di percepire il tempo e la malattia che gravano su Atticus) non fanno che lasciar trasparire il salto che Harper/Scout compie: non è più una bambina, ha idee sue, vive a New York, le secca obbedire alla zietta perbene.

Nella sua ingenuità il pasticcio lo combina proprio Scout, idealizzando il padre nel momento in cui decide di difendere un uomo di colore ingiustamente accusato di stupro. Anche il legame con la domestica di colore Calpurnia confonde la giovane Scout. L’educazione impartita a Scout e Jem appare esemplare e anche in seguito Atticus mostra inclinazioni piuttosto progressiste e tutt’altro che retrive. Forse per questo la sua delusione è così profonda nello scoprire che Atticus è umano, un uomo normale, con i suoi pregiudizi, certo sbagliati, ma tipici della natura umana.
Eppure, nonostante le esternazioni razziste di Atticus – sì ci sono sul serio e affatto velate – è la stessa Lee che offre una chiave di lettura risolutiva: “La legge è il principio che regola la sua vita. Lui farà del suo meglio per impedire a chiunque di usare le maniere forti con qualcun altro, poi girerà i tacchi e cercherà di fermare niente meno che il Governo federale: proprio come te, figliola. Tu hai invertito la rotta e deciso di affrontare nientemeno che il tuo dio di latta… Ma ricorda bene, lui agirà sempre secondo la lettera e lo spirito della legge. Questo è il suo modo di vivere. Ricorda anche questo: è sempre facile voltarsi indietro e vedere com’eravamo, ieri, dieci anni fa. Difficile è vedere ciò che siamo”. Cosa vuol dire? Che Atticus da un lato è legato indissolubilmente al tessuto sociale e storico in cui è cresciuto in cui vive, un Sud che si oppone allo spirito antisegregazionista del Governo federale – sarà Lindon Johnson nel ’64 a “risolvere” la questione con il Civil Rights Act – ma dall’altro fa della Legge il suo baluardo, non interpretandola, ma preoccupandosi di adoperarla in favore di chi è più debole, nonostante la sua fralezza umana non lo ponga al di sopra dei pregiudizi razziali.
Dunque Atticus Finch è davvero il signorotto bianco e razzista che appare a una lettura superficiale del testo? Evidentemente no, perché una totale adesione agli ideali segregazionisti tipici del Klan – di cui a quanto pare Atticus faceva inizialmente parte – implicherebbe un totale rifiuto e riconoscimento dei neri. Semplicemente Atticus non è un eroe, ma un uomo.
In un Paese come gli Stati Uniti, che da decenni lotta per trovare al suo interno un equilibrio sociale che risolva definitivamente la questione razziale, Va’, metti una sentinella è stato sicuramente una doccia fredda, così come la perdita dell’innocenza di Scout, ma la sentinella a cui allude il titolo – la coscienza individuale e collettiva – non ha ucciso l’usignolo, Atticus Finch può essere ancora un modello per tutti coloro che non comprendono che la diversità di vedute non deve assolutamente tradursi in disparità di diritti.