Milanese, un diploma al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano in composizione, organo e pianoforte, studi in direzione d’orchestra con Alceo Galliera, Paolo Carignani ha solcato il palcoscenico dei più prestigiosi teatri internazionali, come Staatsoper di Vienna, di Berlino e di Monaco di Baviera, Deutsche Oper Berlin, War Memorial di San Francisco e Met di New York. Per lui, anche un’esperienza importante in Europa, che lo ha visto dal 1999 al 2008 Generalmusikdirektor del Teatro d’Opera di Frankfurt/Main e Direttore Stabile della Museumsorchester/Frankfurt.
Ha diretto Le Duc d’Albe ad Anversa, Le convenienze e inconvenienze teatrali a Zurigo, Cavalleria Rusticana e Pagliacci, Nabucco oltre a un concerto sinfonico alla Nikikai Opera Foundation di Tokyo. È appena tornato da New York dove per la stagione 2015/2016 ha diretto Turandot, Tosca e La Bohème.
Diventa direttore d’orchestra perché è “un percorso di natural evoluzione”. Del resto per lui la musica è sempre stata una necessità. A La VOCE ha raccontato della sua passione per la musica e per lo sport e del suo amore per New York “una città che musicalmente si può raccontare con “West Side story e un brano rap”.
Paolo, hai da poco concluso la stagione al Met di New York con la direzione de La Bohème, Turandot e Tosca. Come è andata? Quale il tuo bilancio personale e professionale?
Ventisei spettacoli con il mio compositore preferito e con un’orchestra, un coro e dei cantanti formidabili. Un autentico privilegio.
Che pubblico è quello del Met rispetto agli altri?
Appassionato, competente e generoso.
Hai diretto e ancora dirigi orchestre, festival nei teatri di tutto il mondo. Un’importante tappa è stata anche la direzione per 10 anni al Teatro dell’Opera di Francoforte. Possiamo parlare di rilevanti differenze nei vari paesi e continenti della produzione e fruizione musicale?
La Germania è l’unico paese al mondo ad avere orchestre e teatri anche nelle “piccole” città. Non credo possiamo dire così degli altri paesi al mondo.
Negli Stati Uniti, ad esempio, in che modo, la sinfonica e la lirica vengono affrontati a livello accademico e del pubblico?
Io le affronto sempre dando il massimo di me stesso, penso che il pubblico se ne accorga.
Invece in Italia, con i fondi per la cultura che diminuiscono, pensi che la musica classica abbia bisogno di interventi significativi per non rischiare di perdere questo patrimonio importante?
Non conosco la situazione italiana, non dirigo nel mio paese da molti anni.
E questo non ti fa un po’ rabbia?
La rabbia è un sentimento che non conosco.
Qual è la cosa più emozionante del tuo lavoro?
Il rapporto e il dialogo con musicisti di diversa estrazione.
Quali autori, opere, ti piacerebbe dirigere e interpretare che secondo te il pubblico ancora conosce poco?
Ho avuto il privilegio di dirigere tutto quello che desideravo, Luigi Dallapiccola è un compositore italiano che andrebbe riscoperto.
Perché hai deciso di non vivere più a Milano e di spostarti in mezzo alla natura?
Vivo tra Ftan nel parco nazionale svizzero e San Ginesio nel parco nazionale dei monti sibillini. Sono sempre in grandi città per il mio lavoro, ma quando “stacco” ho bisogno di stare in mezzo alla natura.
Musicista, pianista e poi la decisione di diventare direttore d’orchestra.
Non l’ho deciso io, mi ci sono trovato a farlo come una naturale evoluzione musicale.
Ma quello di diventare un musicista era un sogno da bambino?
Più che un sogno una necessità.
Paolo Carignani e New York: che rapporto hai con questa città?
Un meraviglioso luogo per cui valga la pena “combattere” per sopravviverci.
New York in musica, cosa sarebbe?
Un musical, West Side Story, e un brano rap.
Sei anche uno sportivo. Lo sport e la musica sono le due grandi tue passioni?
Una droga direi, impossibile vivere senza.